Pazza offseason. Si dice sempre così, in condizioni normali, quando i più impensabili movimenti di mercato hanno luogo grazie all’era della free agency e del mercato libero, anche se il termine, quest’anno, pare ancora più azzeccato nonostante lo si ripeta troppo spesso, quasi alla noia.
E la sensazione è senza dubbio elargita dalla situazione che si creata per colpa del lockout, con tutti i general manager Nfl impossibilitati a pensare con calma e razionalità, stretti in mezzo ad una tempistica che ha visto le cose tornare alla normalità da pochi giorni e con praticamente un solo mese davanti per assemblare il roster e far quadrare il salary cap prima che cominci il campionato.
Il periodo di offseason attiva, se così la vogliamo chiamare, quest’anno durerà molto poco, ma non per questo ci ha dispensati da quei classici passaggi da una squadra ll’altra che oramai costituiscono una stagione a sè stante. Vediamo quali degli eventi accaduti hanno dato luogo alle storie più interessanti in vista del prossimo campionato.
L’effetto disciplina e l’audacia dei Patriots
A volte la Nfl può dare messaggi confusi, ed essendo le società composte da esseri umani ci sta sbagliare, basta non perseverare nell’errore. Quest’anno può essere visto come un esempio di come ci si possa stancare presto di un giocatore per diventa un vero e proprio problema per uno spogliatoio composto da più di cinquanta persone, particolare di non poco conto quando si parla di uno sport fondato sul perfetto sincronismo di movimenti che devono essere effettuati con la massima armonia possibile, un’armonia che deve anzitutto trasparire dai rapporti personali tra i giocatori, dall’assenza di astio e invidia tra loro, dalla mancanza di protagonismo pur avendo la coscienza di essere più bravo di un altro.
Molti proprietari cominciano (finalmente, aggiungiamo noi – ndr) a non tollerare più determinati comportamenti e a non sopportare più le primedonne, in un gioco che di superstars ne deve avere per vendere bene il proprio prodotto, a patto che si rispettino determinati codici etici che sono stati calpestati fin troppe volte. Il caso di Albert Haynesworth è emblematico, e poggia tutto il suo sviluppo sull’avidità con cui tanti giocatori Nfl firmano contratti esagerati (c’è comunque chi li offre – ndr) acquisendo poi uno status molto discutibile, pretendendo privilegi che non dovrebbero essere consentiti, spesso ricambiando i datori di lavoro con azioni che inquinano in primis l’immagine della squadra.
A Washington il comportamento da star preziosa del defensive tackle preso a cifre pazzesche durante la free agency di tre anni fa è cozzato duramente contro il muro eretto dalla nuova dirigenza, contro una personalità come quella di un Mike Shanahan poco incline ad accontentare i piagnistei di una persona solo perché più pagata delle altre, rifiutando una situazione altrimenti un po’ troppo in voga altrove, la quale sancisce che non bisogna far innervosire il giocatore più costoso della squadra, perché potrebbe piantare il muso e andarsene.
Haynesworth il muso l’ha piantato duro, non voleva giocare fuori posizione nonostante fosse il giocatore più pagato della squadra creando malcontenti in spogliatoio, imbarazzo alla franchigia e scatenando un braccio di ferro alla fine vinto da Shanahan, che ha agito secondo logica con durezza e senso della disciplina con sospensioni e retrocessioni in panchina, fino alla trade che ha visto il difensore fare i bagagli per un quinto giro del 2013, pochino per alcuni, ma molto per il grosso problema che ha tolto a Washington.
New England, che si è presa l’onere di sobbarcarsi nel contratto, è un’organizzazione molto migliore che non quella di Washington e probabilmente troverà il modo giusto di rimettere tra le righe il personaggio e farlo rendere come quando era il difensore più consistente della lega ai tempi di Tennessee, pur dovendo fare i conti con l’ennesima testa disabitata che con troppi soldi attorno non riesce più a tenere il controllo della sua vita e delle sue azioni negative fuori dal campo, la lista delle quali si sta oramai allungando a dismisura.
I Patriots hanno scommesso forte anche con la seconda trade che li ha messi sulle prime pagine dei giornali, la quale ha sancito l’arrivo di Chad Ocho Cinco da Cincinnati per un altro pugno di mosche, un contraccambio di poco valore, ma di enorme significato per la salute dello spogliatoio dei Bengals, che di problemi se ne tirano addosso di continuo già da soli, e poi si chiedono perché in 14 anni abbiano accumulato solo due stagioni vincenti e come mai Carson Palmer abbia deciso di essere scambiato o di ritirarsi piuttosto che vestire di nuovo quella maglia. Anche qui c’è da denotare la stanchezza del dover sopportare un personaggio bizzarro, costantemente alla ricerca della luce dei riflettori e dall’ego smisurato, tanto quanto il suo talento. Oggi come non mai, le squadre stanno misurando sempre più con attenzione quanto un giocatore faccia questa carriera per amore del gioco invece che per il contratto della vita, e gente che fa più notizia per le esibizioni danzanti che vanno tristemente di moda anche dalle nostre parti che non per le sue prestazioni domenicali è giusto che veda scendere la considerazione nei propri confronti.
Ai Patriots non si sgarra. Si vince e comanda Bill Belichick, si fa come dice lui. Mezza parola non consona a Tom Brady e Ocho verrà gestito di conseguenza. Come Haynesworth. Il rischio è grosso, ma il posto sembra quello giusto.
Desert News
Senza necessariamente nascondersi dietro un dito facendo a meno di dire le cose come effettivamente stanno, era noto da tempo immemore che le trattative tra Philadelphia ed Arizona per l’acquisizione di Kevin Kolb erano già cominciate prima del lockout e che l’operazione sarebbe stata finalizzata ufficialmente una volta riprese le operazioni. Era già scritta e fatta, anche se qualcuno aveva provato a sviare le indagini. Gli Eagles si sono così tolti un problema interno dopo aver saggiato l’effettiva consistenza di Michael Vick al reintegro dopo la detenzione, ed aver capito che Kolb non avrebbe avuto diritto di cittadinanza in una corsa ipotetica la ruolo di starter per via della sua mancanza di costanza (il talento c’è) e che sarebbe stato solamente un sostituto in caso di bisogno.
Nella più classica situazione win/win ambedue le parti sono rimaste reciprocamente soddisfatte da un affare che ha portato Dominique Rodgers-Cromartie e le sue assenze mentali in Pennsylvania e l’apparente quarterback del futuro in Arizona, all’interno di un’organizzazione storicamente mediocre che ha vissuto i migliori anni della sua storia solo di recente, per merito di un guerriero come Kurt Warner, e che oggi ha disperatamente bisogno di continuità a livello di vittorie per continuare a scrollarsi di dosso tutti quegli anni nei quali la franchigia è stata sinonimo di sconfitte.
Nel deserto Kolb potrà ripartire con una mentalità fresca, senza concorrenza, ed essendo stato designato come uomo capace di salvare le sorti della squadra dopo la pessima parentesi con Derek Anderson titolare e con la scelta errata di Matt Leinart, godendo quindi della fiducia di un ambiente che l’ha tanto desiderato appena si è saputo che sarebbe stato accontentato nel desiderio di essere scambiato, una fiducia che Andy Reid, per motivi comprensibili, non è mai riuscito a dargli completamente.
La fine dei fuochi artificiali
Ogni anno era contraddistinto dal mercato scapestrato condotto dai Redskins, che non perdevano mai occasione per firmare l’uomo del momento, per scialacquare scelte per gentaglia, e via discorrendo. Pur essendosi portati dietro un errore commesso anche dalla nuova dirigenza come lo scambio McNabb e la conseguente gestione personale del rapporto, a Washington la mano di Shanahan comincia davvero a farsi concreta. Via i problemi interni, leggi McNabb (destinazione Minnesota per lui) ed Haynesworth, e maggiore attenzione alle esifenze di una squadra che ha affrontato tanti cambiamenti senza avere il personale adatto per farlo. O almeno non del tutto.
L’adattabilità degli elementi a roster è stata oggetto delle attenzioni di Shanahan e del GM Bruce Allen fin dal draft di quest’anno, che ha portato ai Redskins ben 12 giocatori, andando sempre a pari passo con l’imposizione dello stile di Shanahan anche nella free agency, preferendo ai soliti nomi senza concretezza di fondo (se non per il sensazionalismo dei giornali) un gruppo di giocatori affamato di un posto a roster, poco costoso e preferibilmente semi-anonimo, sulla falsariga di quanto ottenuto l’anno scorso con Ryan Torain, divenuto ad un certo punto il running back titolare della squadra dopo anni di inattività professionistica.
Le notizie che hanno fatto più rumore a Washington (unica eccezione: O.J. Atogwe, firmato prima del lockout – ndr) sono state la conferma di Santana Moss con un triennale, la firma del defensive tackle Barry Cofield, provenienza Giants ed estremamente utile alla profondità di un roster notevolmente ringiovanito, e la trade che ha portato in città il running back Tim Hightower, che proprio a Torain contenderà il posto di starter.
C’è sempre tempo per i botti, ci sono ancora dei giocatori in odore di trade che potrebbero fare comodo ai Redskins (Kyle Orton su tutti), ma forse l’esperienza negativa ha finalmente portato consiglio. Orton? Più facile vada a Miami. Palmer? Non lo scambiano e non sarebbe comunque la soluzione a lungo termine che si sta cercando. E allora via con il semi-anonimato che si diceva prima, con tante scelte giovani pronte a rendere la squadra competitiva per il futuro e veterani che faranno da traghettatori, su tutti Rex Grossman e John Beck, scelte completamente avverse alla moda e che potrebbero causare qualche sconfitta di troppo nel 2011, con la prospettiva di poter finalmente scegliere il regista del futuro nella prossima primavera lasciando nel frattempo la squadra in gestione ad un giocatore decente e nulla più.
Washington ha inoltre fatto praticamente passare sotto il radar la firma di un free agent importante come il cornerback Josh Wilson, reduce da una stagione molto consistente a Baltimore che consentirà la tranquilla sostituzione di Carlos Rogers, ex prima scelta, defensive back che non è stato trattenuto tirando fuori soldi in eccesso, e che andrà a portare i propri servigi a San Francisco.
La Nfc East fa ancora notizia a livello di clamore delle acquisizioni, ma per una volta il posto dei Redskins è stato preso dagli Eagles, che dopo Nnamdi Asomugha, Dominique Rodgers-Cromartie, Vince Young, Cullen Jenkins, Ryan Harris e Jason Babin hanno inchiostrato anche Ronnie Brown, ex running back dei Dolphins.
Mercato rapace
Se degli Eagles abbiamo già parlato altrove nei giorni scorsi, c’è da sottolineare la forte attività di altri rapaci, i Seattle Seahawks, che attraverso il mercato dovevano per forza di cose sistemare la questione quarterback per i prossimi due o tre anni non avendo la sicurezza che Matt Hasselbeck, come poi è accaduto avendo lo stesso firmato per i Titans, sarebbe tornato al suo posto per gli ultimi spiccioli di carriera.
A dire il vero i movimenti che più hanno fatto strabuzzare gli occhi hanno toccato altri reparti dell’attacco, vista la sorprendente firma di un Sidney Rice che pareva essere pronto a tornare ai suoi Vikings e che ora andrà a rimpinzare un reparto ricevitori che vive problemi insormontabili da anni, con la sola eccezione dell’exploit 2010 di Mike Williams. Nelle scorse ore Seattle ha inoltre ottenuto le prestazioni di uno dei giocatori più sottovalutati della free agency, il tight end Zach Miller, precedentemente in forza ai Raiders dove faceva da bersaglio principale per i vari quarterbacks con cui giocava per via delle scarse alternative tra i wide receivers.
Due aggiunte non di poco conto che aprono di conseguenza un altro discorso importante, esattamente quello del regista volutamente accennato ma tralasciato in apertura. La prima mossa di Pete Carroll dopo la dipartita di Hasselbeck, il quarterback dei 10 anni precedenti, è stata quella di firmare Tarvaris Jackson dai Vikings, un giocatore più volte criticato per la sua inconsistenza e per gli enormi dubbi che lo hanno sempre attanagliato dovendolo vedere titolare in prospettiva. Ebbene Jackson è stato dichiarato a priori starter entrando in fase training camp, mossa forse azzardata di Carroll che va ad ammettere tra le righe che Charlie Whitehurst, acquisito in trade da San Diego un anno fa, probabilmente non è la risposta a lungo termine che si pensava potesse essere. E, peggio, il fatto che i Seahawks si presentino al 2011 senza un regista di qualità effettivamente attestata in campo pone in secondo piano le importanti acquisizioni nel settore ricevitori, da sempre fortemente dipendente da un quarterback capace di mettere il pallone nelle mani giuste con i tempi giusti.
Reggie a Miami, Houston migliora
Una delle trade più significative di questa breve offseason è stata senza dubbio quella che ha portato Reggie Bush a Miami, spogliando New Orleans di un’ex seconda scelta assoluta che non ha mai raggiunto il potenziale che la sua classe aveva fatto intravedere, e che si è rivelato fin troppo costosa per un giocatore che non ha mai avuto un ruolo di primaria importanza nel backfield affollato dei Saints, liberando contemporaneamente il posto necessario all’esplosione di Mark Ingram, rookie da Alabama.
Bush è stato un ottimo ricevitore fuori dal backfield, un running back di situazione che ha fornito diverse giocate elettrizzanti ed a lunga gittata, ma oramai non era più ciò che serviva ai Saints per il loro tipo di attacco, che ora potrà vivere sulle portate di potenza di Ingram e sulla duttilità di Pierre Thomas e Chris Ivory, che pur essendo degli sconosciuti rispetto a Bush hanno senza dubbio funzionato molto bene negli ingranaggi dell’attacco gestito da Sean Payton.
Il ruolo di velocità che Reggie rivestiva sarà sostituito dal minuto Darren Sproles, in arrivo da San Diego. Bush dovrebbe invece funzionare meglio dell’attacco dei Dolphins, cui mancano giocate sensazionali e cui manca una valvola di sfogo per un quarterback che ad oggi non è ancora stato nominato sicuramente titolare come Chad Henne.
Da anni si sostiene che ciò che separi i Texans dai primi playoffs della loro esistenza Nfl sia una secondaria degna di tale nome. Il resto c’è tutto, una linea offensiva migliorata di anno in anno, un talento debordante come Andre Johnson, un quarterback esplosivo come Matt Schaub, un dominatore difensivo come Mario Williams.
Tutto ciò che Houston ottiene in attacco lo subisce in difesa, spesso con lanci lunghi che trovano i defensive backs impreparati, con la conseguenza che da tempo immemore le statistiche della difesa contro i passaggi sono assolutamente di scarso livello. Ecco perché l’acquisizione di Jonathan Jospeh risulta essere un miglioramento istantaneo per un reparto così colpito, dando per la prima volta in anni la sensazione che ci sia qualcuno dove è meglio non lanciare, viste le comprovate capacità in copertura di Joseph, che con Leon Hall formava a Cincinnati una grandissima coppia di cornerbacks.
Chicago Cowboys & Underrated Chiefs
Il roster dei Cowboys si è privato di un paio di elementi della quale rinuncia si parlava già da tempo, con la conseguenza che i nomi di Roy Williams e Marion Barber III sono risultati tra i più illustri tra quelli tagliati dalla squadra di Jerry Jones. Williams ha tradito dopo essersi fatto riportare a casa nel Texas giungendo a suo tempo da Detroit, non ha mai giocato all’altezza delle sue capacità ed ha terminato il tempo a disposizione per mostrare qualcosa di più di una mera sufficienza.
Barber è stato spesso infortunato e probabilmente male utilizzato, e la sua rinuncia non porta grossi rimpianti dato che libera spazio per Felix Jones e Tashard Choice, ai quali si aggiungerà il rookie DeMarco Murray. Curiosamente Barber e Williams continueranno a rimanere compagni di squadra, essendo stati firmati entrambi da Chicago. Dallas ha tagliato anche il tackle Marc Colombo, che a Chicago aveva invece giocato ad inizio carriera, ma luogo in cui non farà ritorno essendo stato preso dai Dolphins. La razzìa texana dei Bears si è conclusa con l’acquisizione di Amobi Okoye, defensive tackle molto giovane (il più giovane mai entrato in nfl a suo tempo) stavolta proveniente dai Texans.
I Chiefs sono stati spesso sottovalutati per via di qualche stagione perdente di troppo, ma la resurrezione vissuta nel 2010 si è portata dietro un po’ di prospettive positive per quanto riguarda i successi futuri. La batteria ricevitori, già ottima, ha visto un’aggiunta significativa come quella di Steve Breaston, che se in salute può essere un wide receiver secondario da non sottovalutare, mentre la difesa contro le corse ha visto l’addizione di un veterano specializzato come l’ex Ravens Kelly Gregg, magari non conosciutissimo ai più, ma fondamentale per parte del successo della difesa di Baltimore, che oltre a lui ha tagliato anche Willis McGahee, il quale non ha faticato a trovare casa a Denver.
Conferme importanti
Finora è stato un mercato importante anche dal punto di vista delle conferme, nel senso che non sempre un free agent è destinato a lasciare la squadra dove ha giocato fino a quel momento.
Di certo non ci si attendeva nulla da un giocatore-franchigia come Peyton Manning, per il quale era già chiara la permanenza ad Indianapolis per il resto della carriera in una situazione dove andava solamente ridiscusso tutto non appena terminato il lockout e capito quanto spazio salariale avrebbero avuto i Colts per agire di conseguenza. Manning ha strutturato il suo contratto in modo da consentire di lasciare al management lo spazio necessario per rifirmare pezzi importanti come Joseph Addai e Melvin Bullitt, quest’ultimo chiamato a sostituire definitivamente Bob Sanders ed i suoi infortuni.
Diverso il discorso per un giocatore come Santonio Holmes, più volte accostato a due o tre squadre diverse da quei New York Jets con i quali ha siglato un quinquennale quale ricompensa dell’eccellente stagione 2010 passata in biancoverde, più o meno la stessa sorte toccata ad Antonio Cromartie, altra acquisizione dello scorso anno con ha rinnovato il suo vecchio annuale con un accordo più duraturo e ricco, anche se in realtà tale firma è giunta solamente dopo aver perso la corsa a Nnamdi Asomugha, che costituiva il bersaglio principale del mercato dei Jets.
Un paio di rinnovi sono stati pure oggetto di discussione presso gli uffici dei Panthers, che hanno riportato a casa il defensive end Charles Johnson ed il running back DeAngelo Williams. Ambedue le mosse portano con sé un minimo di dubbio, nel senso che Johnson è stato pagato più del dovuto per toglierlo effettivamente dal mercato concorrente (c’era la rivale Atlanta sulle sue piste, che poui ha rimediato con l’ingaggio di Ray Edwards, ex Minnesota), ricevendo cifre (32 milioni garantiti) e durate (6 anni) per le quali era stata ingaggiata una lotta all’ultimo sangue che aveva portato Julius Peppers a forzare la trade con i Bears. Williams, star del backfield degli ultimi anni, è riuscito ad ottenere un pluriennale quando sembrava sulla strada per Denver, nonostante un grave infortunio che gli ha fatto perdere quasi tutta la stagione scorsa e nonostante l’incombenza della crescita esponenziale di Jonathan Stewart, che sarebbe altrimenti titolare in qualsiasi altra franchigia Nfl.
Evidentemente l’enorme numero di free agents perso per strada negli anni dai Panthers ha fatto ricredere l’owner Jerry Richardson, la cui strategia maggiormente aggressiva ha fruttato anche la conferma del linebacker James Anderson e la trade che ha portato in Carolina il tight end Greg Olsen, del quale i Bears si sono incredibilmente sbarazzati.
Prossimamente su questi schermi
I Giants continueranno di sicuro a far notizia, dal momento che dopo al conferma di Ahmad Bradshaw più nulla si è saputo dello status del wide receiver Steve Smith, fondamentale convertitore di terzi down e reduce da una delicata operazione al ginocchio. New York è al centro delle prime pagine sportive anche per la particolare situazione di Osi Umenyora, che aveva richiesto un nuovo contratto senza riceverlo e che ora ha avuto il permesso di cercare un’altra squadra con la quale verrà orchestrata una trade dalla quale salterà fuori in cambio una seconda scelta.
Restano in aria le situazioni due ricevitori quali Terrell Owens, senza squadra, e Braylon Edwards, non più nei piani dei Jets, e prima dell’inizio del campionato potrebbe pure sbloccarsi la situazione di Kyle Orton, quarterback dei Broncos che sta per perdere il posto di starter a favore di Tim Tebow.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Bell’articolo complimenti.
P.S.
Sentir parlar bene dei mei poveri Redskins una volta ogni tanto fa proprio piacere.
Non dirlo a me, che li adoro e mi tocca sempre parlarne male…:lol:
una bella panoramica,complimenti. Eagles vincitori morali del mercato,mentre personalmente mi intrigano alcune scelte Broncos (mcghee su tutte..). Ottimi i miei Chiefs con l’innesto dell’ultima ora dell’AllPro McLaine FB ex Ravens. Acquisto che se possibile dovrebbe migliorare ulteriormente il miglior running game della NFL. Abbiamo un calendario tremendo,ma siamo la mina vagante dell’intera lega. Buona NFL a tutti
Bravi bravi, tutti contenti, mentre i miei bengals invece fanno i classici cavallucci marini ;-)
Che bello però, tra poco si ricomincia!!!!