Dopo giorni di trattative tanto speranzose quanto inutili alla fine l’inevitabile è accaduto, e la National Football League sta vivendo il suo primo momento di stop del nuovo millennio.
Il tanto chiacchierato lockout è diventato realtà, i proprietari hanno agito secondo quanto avevano promesso ed hanno di fatto posto il veto ai giocatori di frequentare gli impianti messi a disposizione dalle squadre per gli allenamenti di offseason.
I giocatori hanno mosso le proprie pedine proprio come da copione, proclamando la temuta decertification, una mossa che toglie all’unione giocatori la possibilità di essere un sindacato e quindi di firmare un nuovo accordo con i proprietari.
Si va quindi per vie legali, e si profila una lunga stagione morta, fatta di appelli, contrappelli, citazioni in giudizio e lunghe frequentazioni dei tribunali americani. Non tutto è perduto, perché i presupposti affinché la stagione 2011 venga giocata non sono del tutto decaduti, ma ora è ufficiale: la Nfl ha chiuso i battenti fino a nuovo ordine, ovvero fino a che proprietari e giocatori non avranno siglato un nuovo contratto collettivo. Lo spettro è diventato carne ed ossa, reale come non mai.
Le ultime ore prima della chiusura
Per più volte, nelle scorse settimane, l’unione giocatori aveva accettato di posticipare di qualche giorno la data di scadenza dell’attuale contratto, in modo da stare a sentire le nuove proposte dalla controparte, e tentare in extremis di dare il via ufficiale alla nuova stagione Nfl, che comincia non con il football giocato, ma bensì con la free agency.
Venerdì scorso tutto il mondo del football è stato scosso dalla notizia del mancato accordo.
I giocatori hanno citato una sorta di presa in giro perpetrata loro da parte dei proprietari, che hanno rifiutato di essere completamente trasparenti di fronte alla richiesta di aprire i libri contabili e studiarne i contenuti. Tali bilanci pare siano stati messi a disposizione in via superficiale, ovvero dimostrando che i profitti di quattro anni fa erano effettivamente più alti di oggi, ma è comunque venuta a mancare la parte più importante, ovvero l’elenco delle voci comprese nelle spese.
Evidentemente, qualcosa che non doveva essere visto c’era, qualche pagamento di troppo a personale di facciata, qualche uso improprio dei mezzi a disposizione dei proprietari, ed altre voci che gli stessi avrebbero dovuto non inserire nel computo delle spese di squadra, ma magari provvedervi a parte.
Gli owners, tuttavia, hanno perso l’occasione di vincere la partita, perché magari, di fronte all’elenco di tali spese, i giocatori avrebbero potuto rendersi conto meglio di tutte le migliorie che negli anni sono state approntate per loro stessi, nuovi stadi, nuovi impianti di allenamento, nuove attrezzature sempre più tecnologiche.
Venerdì scorso, alla scadenza prestabilita, l’unione giocatori ha così attivato la citata decertification, ed ha smesso di essere considerata tale, attivando i presupposti legali per avanzare una causa nei confronti dei proprietari, avente per oggetto la violazione delle leggi antitrust. I giocatori non hanno vinto la loro partita durante le trattative, ed ora sperano di vincerla attraverso i tribunali, in un procedimento che potrebbero sfociare in diverse conseguenze, a seconda delle decisioni che prenderanno i giudici.
L’unica cosa sicura è che fino ai primi giorni di aprile non vi sarà sviluppo alcuno, perché solo in quel momento avrà inizio tutto il procedimento legale che porterà alla prima decisione del giudice David Doty, che dovrà decidere se sia il lockout imposto dai proprietari che la decertification impostata dai giocatori possano essere considerate mosse legali.
La proposta dell’ultimo minuto
Nell’opinione di molti addetti ai lavori, l’unione giocatori ha rinunciato ad un contratto proposto all’ultimo minuto dalla propria controparte. Roger Goodell, il commissioner della Nfl, e Jeff Pash, il mediatore assunto per cercare di avvicinare le parti, hanno tenuto colloqui congiunti e separati con membri di entrambe le parti per cercare di capire la sensibilità di ognuno riguardo alle richieste di ciascuna parte coinvolta, per poi riportare all’altra le esigenze e tentare un accordo in extremis.
Si è difatti venuto a sapere che l’unione proprietari aveva fatto un passo indietro su una delle questioni di fondamentale importanza della questione, ovvero l’allargamento della regular season a 18 partite. Nella proposta d’accordo presentata lo scorso venerdì veniva difatti sancita la permanenza per altre due stagioni del format attuale, composto da quattro partite di pre-season e 16 di stagione regolare, venendo così incontro alla comprensibile posizione ferma dei giocatori, che di infortuni ne subiscono già tanti e non vogliono giustamente correre rischi ancora maggiori di quelli che già corrono. Per la cronaca, la proposta delle 18 gare era stata messa sul tavolo dai proprietari per compensare la diminuzione di profitti dell’ultimo quadriennio, semmai questa ci sia mai realmente stata.
La proposta prevedeva anche delle importanti novità nel trattamento post-carriera dei giocatori ritirati, nel senso che sussisteva l’idea di poter creare un fondo assicurativo che garantisse ai giocatori un trattamento nettamente migliore di quello odierno, nel quale i giocatori con almeno quattro anni di servizio possono accedere a cure gratuite per infortuni assortiti e provocati dal football fino a cinque anni dopo la fine della loro carriera.
Con la nuova soluzione, attraverso il pagamento di una quota assicurativa annua, ogni giocatore che avrebbe superato i cinque anni gratuiti dopo il ritiro avrebbe goduto dell’assistenza medica necessaria per tutta la vita, un trattamento senza dubbio meno dispendioso del normale. Inoltre, un giocatore costretto a ritirarsi per infortunio ed ancora titolare di un contratto, avrebbe preso una cifra pari ad un milione di dollari nell’anno successivo al suo ritiro. Oggi, in condizioni uguali, lo stesso giocatore non riceverebbe null’altro che lo stipendio della stagione in corso.
Poi il rookie wage scale, ovvero una struttura salariale studiata per i giocatori più giovani, sovente arricchiti in eccesso senza aver mai messo piede in un campo d’allenamento professionistico. La proposta avrebbe avuto molto senso per i veterani, soprattutto per tutti quei giocatori che, ammaccati dopo un decennio di placcaggi e scontri frontali, lamentava di percepire molto meno rispetto ad un qualunque giovanotto scelto al primo giro del draft in uscita dal college.
Infine due questioni di non poco conto: le squadre avrebbero dovuto spendere come minimo il 90% del tetto salariale previsto per i primi tre anni dell’ipotetico nuovo accordo collettivo, senza possibilità di giocare stagioni di scarsa qualità al fine di risparmiare, e, importante per giocatori, gli appelli per le squalifiche per abuso di steroidi sarebbero state affidate ad entità neutrali, modificando l’attuale impostazione che vede gli appelli presentati presso la Nfl, ovvero la stessa entità che emana le squalifiche, il che ha poco senso.
Secondo DeMaurice Smith, il rappresentante dell’unione giocatori, le parti rimanevano molto distanti anche dopo queste nuove proposte giunte dai proprietari, i quali hanno sottolineato l’atteggiamento completamente privo di intenzione di trovare un accordo da parte dei giocatori fin dagli inizi delle trattative.
Seondo l’opinione di molti giornalisti, i giocatori hanno rinunciato ad un contratto a loro favorevole.
Le prossime tappe
Come detto, non si muoverà una foglia fino alla prima settimana di aprile, quando si legifererà sulla regolarità o meno delle mosse eseguite da ciascuna delle due parti. E le conseguenze potrebbero essere migliori del previsto. Vediamo perché.
Se il giudice dovesse dare ragione ai proprietari il lockout sarebbe ufficiale a tutti gli effetti, il che sospenderebbe in automatico tutte le attività di offseason. Una volta vinta la causa, le sorti del campionato dipenderebbero solo ed esclusivamente dai proprietari medesimi, nel senso che solo essi potrebbero decidere di interrompere il lockout, facendo questo mentre l’unione giocatori non è più una delle due parti contrattuali, ovvero mentre è sciolta.
In questo caso interverrebbe un mediatore che faciliterebbe le negoziazioni tra i contendenti, e nel frattempo si creerebbe una situazione particolare: in tali condizioni, difatti, le operazioni riprenderebbero tutto sommato normalmente, perché non essendoci un’unione giocatori e non essendoci lockout, la lega si troverebbe a dover funzionare secondo le regole del contratto collettivo appena scaduto, quello del 2010, dando luogo ad una seconda stagione consecutiva senza salary cap ed attuando le regole previste sulle free agency. Il sindacato giocatori tornerebbe ad esistere nel momento stesso in cui si riterrebbe pronto a siglare il nuovo accordo collettivo.
Nel caso il giudizio andasse contro i proprietari decretando l’illegalità del lockout, i giocatori avrebbero via libera al processo di decertification, e potrebbero seriamente provocare danni ai proprietari avendo molte più possibilità di vincere la causa per non rispetto delle normative antitrust. In questa situazione si creerebbero i medesimi presupposti appena citati, dando il via ad un’ulteriore stagione dettata dai criteri del contratto collettivo attuale, una situazione la cui convenienza suggerirebbe ai giocatori di non sciogliere il loro sindacato, o perlomeno di re-istituirlo nel più breve tempo possibile. In questo caso, il campionato sarebbe giocato regolarmente.
Quindi, le possibilità che torni tutto alla normalità ci sono. Il problema grave sono le tempistiche. I procedimenti legali richiedono settimane per essere visti e giudicati, e mesi per porre fine alle svariate possibilità di ricorso che entrambe le parti possono presentare per cercare di avere la meglio. Nel frattempo si cercherà si sanare la frattura, ma non sarà semplice, ed il campionato potrebbe esserci come anche no, oppure potrebbe essere giocato parzialmente. I movimenti di mercato sono al momento bloccati, ed il draft potrebbe essere boicottato dai futuri rookies, una mossa promossa dall’unione giocatori (al momento fittizia) che sa di esagerazione.
Tutti sorridono, quando intervistati, dicendo che una soluzione si troverà. Tutti sono costernati per non essere riusciti a reperire una soluzione idonea e per le conseguenze che potrebbero esserci per i tifosi, gli unici che restano realmente penalizzati da tutta la situazione. Comunque si risolva questa situazione né i proprietari né i giocatori saranno meno ricchi di quanto sono già ora, ed alla mente resterà impressa l’inefficienza delle parti nel non riuscire ad accordarsi sulla spartizione di qualcosa come 9.5 bilioni di dollari, ovvero l’ultimo fatturato prodotto dalla Nfl.
Un fatturato di cui sono responsabili soprattutto i fans, americani e non, che riempiono gli stadi pagando prezzi sempre più alti, che acquistano le partite dall’estero, che comprano le uniformi delle loro squadre per sostenerle in ogni momento possibile.
Gli stessi fans che spesso non sanno cosa voglia dire permettersi uno stile di vita pari a quello dei proprietari delle loro squadre, o dei beniamini che vedono esibirsi in campo.
Gli stessi fans di cui non sembra importare un accidente a nessuno.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
gran bell’articolo
spriamo che ci sia il campionato ( dato che già mi sembra che duri pochissimo );
inoltre è chiaro che dei tifosi ai giocatori e ai proprietari non freghi ninte
E’ chiaro che del destino dei tifosi importi poco ai proprietari ed ai giocatori, ma questi ultimi ci mettono le ossa, gli altri solo i soldi: non è una piccola differenza.
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