Nonostante la loro costante permanenza presso i piani alti dei ranking Nfl, i Pittsburgh Steelers del 2010 non erano stati accreditati da molte persone quale squadra capace di percorrere tutta la tortuosa strada che conduce ad un Super Bowl. In pre-stagione gli occhi di tutti erano puntati sul forte mercato dei Jets, capaci di firmare free agents di caratura notevole e di organizzare trade che avrebbero condotto ad altri veterani importanti, nonché sui sempre forti New England Patriots, ed i Baltimore Ravens, tre favorite per raggiungere il titolo della Afc.
A dire il vero, esisteva anche un’aggravante di non poco conto da mettere sul piatto della bilancia, tradotta nella forzata assenza di Ben Roethlisberger per tutto il primo mese di campionato: in seguito all’ultima bravata di Big Ben, il commissioner Roger Goodell aveva difatti deciso di dargli una lezione morale sospendendolo per sei giornate, in seguito ridotte a quattro una volta che il giocatore avesse dimostrato una buona condotta ed una ferrea volontà nel frequentare i programmi di “recupero”, e per questo motivo sarebbe stato intuitivamente più facile pronosticare un’annata di transizione per gli Steelers, presi in mezzo a problemi interni come quelli creati da un leader che avrebbe dovuto lavorare duro per riconquistare non solo la fiducia dei tifosi, prima di tutte quella dei compagni di squadra.
Ogni cosa, come spesso accade nelle grandi organizzazioni di successo, è tuttavia tornata al suo posto lasciando passare il tempo necessario per dimenticare, mettere alle spalle e ricominciare esattamente da dove ci si era interrotti.
Ovvero da una squadra costruita attorno ad una grande difesa, che aveva scomodato illustri paragoni con gli Steelers dei quattro titoli ottenuti nella seconda metà degli anni settanta, e che avrebbe dovuto ritrovare un gioco di corse possente e fisico, proprio come da sua tradizione, qualità non riscontrata in un’edizione 2009 che aveva visto Roethlisberger fare gli straordinari mettendo per aria la palla più sovente, con tutti i rischi derivanti dall’operazione.
Restava da fidarsi solo del gran reparto difensivo, visto che il rushing game aveva molte cose da dimostrare dopo aver ceduto il testimone da Willie Parker a Rashad Mendenhall ed i suoi noti problemi con i turnovers, peggio ancora se l’attacco rimaneva senza la propria guida emotiva, proprio Big Ben, il quale, oltre ad avere vinto già due Super Bowl aveva ampiamente legato la sua fama alla capacità di gestire la situazione negli ultimi minuti dei quarti periodi, e di saper prendere molto spesso la decisione giusta anche sotto pressione. Per questi motivi, gli scettici stavano tutti quanti addosso ai Pittsburgh Steelers, facendo di loro al massimo la quarta o quinta forza elencabile su carta.
I fatti, ancora una volta dando ragione alla grande gestione di squadra, avrebbero però dato ragione a Mike Tomlin ed ai suoi ragazzi d’acciaio.
Primo mese da passare con notevoli difficoltà, dunque, dal quale la franchigia usciva nettamente a testa alta, compilando un ottimo 3-1 quale partenza che aveva visto solo un passo falso contro Baltimore, in un testa a testa che avrebbe acceso la Afc North per tutto il campionato, ed importanti affermazioni contro Atlanta, pronosticata da tutti (a ragione) come la nuova potenza emergente della Nfc, e contro Titans e Buccaneers, con questi ultimi erroneamente etichettati come ancora in ricostruzione, ma squadra in realtà ostica quando si trattava di venirne a capo.
Durante questa serie di scontri era partito titolare Dennis Dixon, che aiutato dalla difesa era stato messo in condizioni ideali per svolgere il suo compito e non fare danni eccessivi, ma un infortunio al ginocchio l’aveva tolto di scena dopo neanche aver terminato la seconda partita di regular season, costringendo Charlie Batch a fare il suo ingresso in campo per concludere il traghettamento verso il rientro di Big Ben.
La difesa aveva forzato ben 7 palloni persi a Tennessee concedendo un solo ed insignificante touchdown nell’ultimo minuto di gioco, a risultato ampiamente acquisito, Rashad Mendenhall aveva risolto in overtime la gara con Atlanta con una meta di 50 yards, e Mike Wallace si era divertito a perforare le secondarie dei Buccaneers siglando mete da 46 e 41 yards, in una giornata che Charlie Batch aveva raramente vissuto in carriera a livello statistico. Ogni cosa era andata a posto, o forse fuori posto non c’era mai stata realmente, fatto sta che se gli Steelers avevano giocato in questo modo senza Roethlisberger, con lui in campo le cose sarebbero semplicemente andate ancora meglio. E così è stato.
Non senza polemiche, perché se l’esordio stagionale del quarterback contro una squadra non irresistibile come Cleveland era tutto sommato passato inosservato in quanto giudicato “secondo le previsioni”, in seguito i maligni avevano immediatamente puntato il dito verso la gara contro Miami, che Pittsburgh aveva portato a casa a fatica aggiudicandosela di un punto. Gli Steelers avevano goduto del vantaggio di una chiamata sospetta, che aveva trasformato un fumble di Roethlisberger nella continuazione del drive offensivo, in quanto, dopo il review degli arbitri, nessuno era riuscito a stabilire chi avesse tenuto il possesso del pallone una volta risolta l’affollata situazione. Ciò aveva determinato il field goal con cui la squadra si era sbarazzata dei Dolphins, creando un gran chiacchierio sugli arbitri e su tutte le chiamate positive che di tanto in tanto piace tirar fuori a favore di Pittsburgh, senza tener conto del fatto che gli Steelers medesimi erano stati “perseguitati” in molte gare per colpi violenti ritenuti non necessari, su tutti quelli inferti agli avversari da James Harrison, creando un acceso dibattito sulla sicurezza dei giocatori e sul limite dove vanno separate questa sicurezza e la naturale durezza dei colpi derivanti dai placcaggi, fattore determinante per ogni defensive coordinator che voglia testare la grinta di un suo giocatore.
Proprio in questo istante cominciava un piccolo periodo di crisi, usciti dal quale gli uomini di Mike Tomlin avevano portato a casa qualche vittoria stiracchiata (vedi il 19-16 in overtime contro Buffalo, a causa del drop di Steve Johnson in endzone), ma soprattutto un paio di sconfitte pervenute da squadre dal record positivo, ponendo punti di domanda sull’efficienza di Pittsburgh contro le maggiori pretendenti al Super Bowl.
Gli Steelers erano difatti usciti con le ossa rotte dall’impietoso confronto con i Patriots, in una gara dove la ditta Brady/Gronkowski aveva creato notevoli mal di testa alla difesa, mentre la linea offensiva diventava ancora una volta oggetto di mille critiche dopo i 5 sacks ai danni di Roethlisberger, impossibilitato in diverse situazioni a prendere decisioni lucide circa le proprie letture. Un paio di settimane prima era stato Drew Brees ad infierire con più di 300 yard su lancio, anche se i maggiori problemi erano derivati dal 30% con cui Pittsburgh aveva chiuso le conversioni di terzi down, statistica che aveva evidenziato tutti i problemi avuti nel muovere le catene con continuità.
La partita-capolavoro della regular season sarebbe divenuta la sfida divisionale contro i Ravens in diretta nazionale, nel Sunday Night, un’autentica guerra difensiva risolta ancora una volta con uno scarto minimo, un field goal, grazie ad una straordinaria giocata di Troy Polamalu nel quarto periodo, il quale aveva provocato a Joe Flacco un fumble poi ricoperto da LaMarr Woodley; l’azione avrebbe restituito il possesso offensivo a Roethlisberger, che giocava con il naso rotto ed un problema al piede, e che avrebbe pescato Isaac Redman per il touchdown decisivo.
Polamalu si sarebbe ripetuto una settimaa più tardi contro i Bengals, sconfitti per la seconda volta grazie anche ad un suo ritorno di intercetto di 45 yards, poi accompagnato da un altro turnover riportato in meta da Woodley.
La battuta d’arresto contro i New York Jets dell’ex Santonio Holmes veniva provocata dauna disattenzione degli special teams, che concedevano un ritorno di kickoff di 97 yards a Brad Smith facendogli segnare i punti che sarebbero poi stati la differenza nel 22-17 finale, ma la leadership divisionale non era più in discussione per via della vittoria nello socntro diretto con Baltimore, e gli Steelers non avrebbero sbagliato gli ultimi due impegni dell’anno contro i derelitti Panthers e contro Cleveland, sommando uno scarto totale di 56 punti.
Poi i playoffs, il ricordo più recente, la terza sfida dell’anno contro i Ravens dentro un mare di trash talking derivato dalla grande rivalità tra le compagini, uno svantaggio di 21-7 recuperato nella ripresa grazie alla puntualità delle giocate di Roethlisberger ed un big play confezionato grazie ad Antonio Brown, un sesto giro passato fuori dal radar di molti concorrenti ed autore della presa di 58 yards che convertiva un 3° down con 19 yards da prendere, fruttando in seguito la meta del sorpasso di Rashad Mendenhall.
E proprio il running back da Illinois sarebbe stato tutto ciò che gli Steelers desideravano da lui la settimana successiva di nuovo contro i Jets, quando giocava un primo tempo dominante che accumulava un notevole vantaggio in tempo di possesso a favore degli Steelers, mentre la difesa concedeva una sola yarda su corsa a New York in tutto il primo tempo, ed un solo misero field goal. Mark Sanchez e i suoi mai arrendevoli Jets avrebbero tentato la rimonta, portata quasi a compimento ma smontata da un’altra grande giocata di Roethlisberger e Brown, che convertivano il terzo down decisivo per far scendere il cronometro a zero, regalando la terza qualificazione al Super Bowl in sei anni ad una delle franchigie più vincenti di sempre.
E’ stato un cammino duro, non sempre agevole, coronato con il sudore e la grinta, proprio come piace alla gente di Pittsburgh. La squadra ha saputo reagire alle difficoltà e la profondità del roster non ha fatto soffrire durante le squalifiche o in occasione delle sostituzioni degli infortunati più illustri, Aaron Smith su tutti, facendo degli Steelers un grande esempio di continuità vincente in un periodo dove le vincitrici dei Vince Lombardi Trophy faticano addirittura a qualificarsi per i playoffs. Ora si preparano ad uno scontro denso di storia e tradizione contro Green Bay, nel moderno scenario di Dallas, nel nuovo Texas Stadium, il giocattolo di Jerry Jones, che ci avrebbe volentieri visto i suoi Cowboys.
Domenica, invece, sarà anch’egli testimone di un grande scontro, che riporterà gli appassionati indietro nel tempo, regalando ad una delle due squadre un pizzico di leggenda in più, chiunque vinca.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
Rimango dell idea ke in questi ultimi anni le squadre migliori siano i Pats i Colts i gli Steelers nella AFC..le altre sono presenze occasionali..
Baltimora e Jets sono ottime squadre difensive ma in attacco devono migliorare molto..in particolare nel ruolo di QB..sono anche convinto ke se avrebbero incontrato Pats o Colts (bestie nere x gli Steelers) non so se sarebbero andate avanti (giudizio personale)
Adesso attendo con impazienza questo SB..sperando ke regali grandi emozioni..simpatizzo + x i GreenBay ma qualsiasi risultato andrebbe bene..
BigBen é tra i migliori in circolazione..e un altra soddisfazione x lui mi farebbe solo piacere!!
in effetti il decennio è stato sostanzialmente dominato da team AFC con qualche sopresa NFC… un caso certo ma se Pitt dovesse vincere…. si potrebbe parlare di grande squadra come lo è New England!