Josh McDaniels non è durato nemmeno due stagioni alla guida dei Broncos.

Quando i buoi sono abbondantemente già scappati dal loro recinto, non resta che cercare una soluzione per rimediare alla meno peggio. Una metafora, questa, che sembra identificarsi alla perfezione con la pessima situazione degli attuali Denver Broncos, una squadra andata inesorabilmente alla deriva, che non ha più obbiettivi nella presente stagione se non quello di salvare il salvabile, l’onore prima del resto, una franchigia che si ritrova senza né capo né coda dopo nemmeno due stagioni complete trascorse sotto un regime a dir poco fallimentare.

Il team del Colorado appartiene ad una città dedita al football, legatissima alla tradizione vincente di un’organizzazione che ha disputato costantemente stagioni di altissimo livello fino a riuscire a salire l’ultimo gradino verso la gloria, coinciso con la fine della carriera del grandissimo John Elway, non può permettersi di tradire i suoi affezionati con le prestazioni attuali, che al momento della scrittura di questo articolo parlano di 3 vittorie misere e ben 10 sconfitte già accumulate, peraltro nel peggiore dei modi, ovvero facendosi sovente surclassare dai propri avversari soprattutto a causa di una difesa completamente inadeguata.

E’ partito tutto con la fine dell’era Shanahan, che ha dei curiosi legami con il regime direttivo attuale, il quale ha evidentemente commesso gli stessi sbagli del passato, ripetendoli in maniera quasi diabolica.
Negli anni post-doppietta nel Super Bowl a fine anni ’90 Denver aveva vissuto una ricostruzione veloce, senza perdere troppo tempo a rimettere assieme una squadra capace di qualificarsi costantemente per i playoffs, una delle migliori quando c’era da elencare il top della Afc. Solo nell’ultimo quadriennio con Shanahan a capo delle operazioni il rendimento generale era calato a vista d’occhio, una sola stagione dal record vincente, il che aveva fatto intuire alla dirigenza che era giunta l’ora di cambiare strada definitivamente, e dichiarare chiuso il pur felice ciclo simbolizzato prima da Elway, e quindi dall’attuale head coach dei Washington Redskins.

L’errore, si diceva, era stato quello di aver concesso troppo potere all’allenatore, che interveniva puntualmente in decisioni legate al roster, fossero esse scelte al draft o movimenti di offseason a livello di free agency, ed era proprio questo aspetto che non si sarebbe voluto e potuto replicare.
La decisione per proseguire appariva vincente, secondo chi stava ai piani alti, anche se in realtà le statistiche dicevano il contrario: per ritornare a vincere il proprietario Pat Bowlen aveva pensato che non ci sarebbe stato nulla di meglio che un discepolo di Bill Belichick, Josh McDaniels, che a New England aveva diretto un attacco fantascientifico all’interno di un ambiente organizzato come meglio non si poteva, un esempio duraturo di come si potesse avere successo con continuità in una lega che impone continuamente il cambiamento.

Una nota battuta che gira all’interno del circuito Nfl riporta (ecco le statistiche che dicono il contrario – ndr) che Bill Belichick sia diabolico nel (non) preparare i suoi assistenti a futuri ruoli di capo allenatore, e che come si dimostrano tutti eccellenti alle sue dipendenze, non altrettanto riescono a fare una volta usciti dal guscio protettivo, proprio come dimostrano gli insuccessi recenti di Romeo Crennell a capo dei Cleveland Browns, e di Charlie Weis nell’esperienza negativa di Notre Dame in ambito collegiale. Stando a questi dati, c’era chi si era già esposto sostenendo che McDaniels avrebbe presto fatto la stessa fine.

L’inizio non era stato dei migliori, e varie vicissitudini avevano portato alla frattura irrimediabile con Jay Cutler, forzando il famoso scambio con Chicago dal quale era arrivato, oltre alle scelte, l’attuale quarterback Kyle Orton, in un evento dove McDaniels aveva fatto valere la sua rigida disciplina probabilmente per non farsi calpestare in testa data la giovane età dando un messaggio chiaro allo spogliatoio (qualche giocatore a roster ne era quasi coetaneo), ed aveva diviso l’opinione dei fans, tra chi ne criticava l’eccesso di potere nonostante fosse nuovo nell’organizzazione, e tra chi riteneva Cutler un inutile piagnucolone che aveva fatto la fine che meritava.

McDaniels era stato assunto come head coach ma aveva pure potere decisionale a livello di roster, proprio come Shanahan, perciò i Broncos avevano sostanzialmente ripetuto l’errore fatto in precedenza, pur dichiarando che avrebbero cambiato strategia.
I risultati? Via Cutler, il franchise quarterback che Shanahan era andato a prendere a sorpresa (ma con cognizione di causa) salendo al primo giro del draft di qualche anno addietro, e dentro giocatori assolutamente inefficaci del calibro di Robert Ayers, primo giro 2009 che non si è mai adattato completamente alla nuova 3-4 predisposta all’epoca, e di Alphonso Smith, per il quale era stata organizzata una trade suicida per salire a prenderlo al secondo round, sacrificando una prima scelta 2010 per un giocatore che è stato lasciato andare a Detroit per un tozzo di pane.

Poi, nell’aprile scorso, la discussa scelta di Tim Tebow al primo giro, un giocatore che aveva le credenziali soprattutto morali per avere successo lavorando con McDaniels, ma che avrebbe dovuto affrontare un processo di miglioramento tecnico non da poco per affrontare la transizione dalla spread offense di Florida al gioco diverso dei professionisti, oltre al dover raffinare una meccanica di lancio quantomeno sospetta, che ne faceva un prospetto da scegliere una volta terminato il primo giro.
Ma vista la volontà dei Ravens di scendere dalla posizione numero 25, era stata organizzata un’altra trade per andare a prendere un quarterback che si sapeva già non sarebbe partito da titolare al posto del più esperto Orton, e che avrebbe dovuto battere la concorrenza anche di Brady Quinn, altra perla di questa gestione, preso da Cleveland in cambio di Peyton Hillis, sì, quel Peyton Hillis che con l’uniforme dei Browns addosso ha stirato avversari fino ad accumulare 1.070 yards ed 11 mete a tre partite dalla fine del campionato.

Se nel 2009 le pecche dell’era McDaniels erano state mascherate da un ottimo inizio di campionato, nella seconda parte del cammino i Broncos erano inceppati in un male che avevano già sofferto con Shanahan nell’ultimo quadriennio della sua esperienza a Denver, quando avevano sprecato delle leadership di division apparentemente inattaccabili perdendosi completamente per strada nel rush finale, finendo in più di qualche occasione persino fuori dalla postseason, in sostanza la stessa sorte che avevano dovuto amaramente inghiottire anche nel 2009.

Ma quest’anno è stato diverso, gli amati Broncos sono stati ridotti a squadra materasso della lega e sono in perfetta media per chiudere il peggior campionato degli ultimi 28 anni (2-7 nel 1982, stagione azzoppata dallo sciopero dei giocatori), e questo fatto non è stato assolutamente digerito dai fans locali, che hanno cominciato a disertare l’Invesco Field o lo hanno abbandonato ben prima del quarto periodo, come accaduto nella gara contro i Rams, ed hanno cominciato a chiedere solamente una cosa: la testa di McDaniels.

I sentimenti negativi sono poi stati accentuati dallo spiacevole episodio battezzato dai media americani come Spygate II, nel quale un dipendente dei Broncos è stato riconosciuto colpevole di aver ripreso il walktrhrough (la serie di giochi del primo drive offensivo – ndr) dei San Francisco 49ers affrontati a Londra, episodio del quale McDaniels era a conoscenza ben prima di denunciarlo al commissioner, e del quale l’head coach si è dissociato dichiarando di non esserne stato a conoscenza, sostenendo che l’operatore avrebbe agito in solitaria (ma perché, poi? – ndr), ma uscendone comunque con la reputazione macchiata, visto che durante la madre di tutti gli Spygates, quello che vide i Patriots privati della prima scelta 2008, organizzazione alla quale, all’epoca, McDaniels apparteneva. Qualche giornalista aveva ironizzato sull’accaduto, sottolineando che se proprio si doveva imbrogliare, almeno si doveva vincere la partita del Wembley Stadium. Ma non era andata così…

Ed il licenziamento del coach è stato esattamente ciò che il popolo Broncos ottenuto, nonostante l’ennesimo dubbio comportamento registrato da Bowlen negli ultimi anni, contraddittorio nel dichiarare pubblicamente che McDaniels sarebbe rimasto al suo posto il giorno prima, dandogli il benservito poche ore dopo. Neanche due anni di gestione, ed è tutto da ricominciare daccapo, senza nemmeno sapere da dove partire.

Probabilmente dalla difesa e dal gioco di corse, il pane e burro di ogni squadra che miri a traguardi ambiziosi, senza i quali è impossibile avere successo nella Nfl. Il reparto difensivo, che ha cambiato defensive coordinators con la stessa frequenza con cui gli sciupafemmine cambiano compagna, è il 31 della lega contro le corse ed ha recentemente concesso 200 yards totali agli Arizona Cardinals, una squadra che non sa certo correre bene, mentre la difesa contro i passaggi è la 19ma in termini di yards concesse, ma non ha minimamente saputo mettere in difficoltà un rookie come John Skelton, alla sua prima esperienza professionistica di sempre.
La pressoché totale efficacia nel mettere pressione al quarterback si è tradotta in soli 18 sacks, una statistica chiaramente insufficiente, mentre l’inesperienza delle secondarie ha fatto il resto, lasciando il grande Champ Bailey solo a predicare nel deserto più assoluto, in situazioni dove spesso il ricevitore migliore degli avversari è stato estromesso dal gioco, lasciando però che fossero protagonisti secondari a fare i danni maggiori.

L’assenza di un rushing game bene impostato (714 yards e 5 mete per Knowshon Moreno, poi il nulla più assoluto) è stato il motivo principale per i numeri fantascientifici messi su da un improbabile protagonista come Brandon Lloyd, che ha disputato la stagione della vita con 1.185 yards e 9 segnature nelle 14 gare finora disputate, mentre Kyle Orton, spesso criticato ingiustamente, si è rivelato molto più di un semplice gestore del gioco come lo si conosceva a Chicago, ed ha fatto vedere di poter giocare bene in un sistema con soluzioni più profonde, accumulando qualcosa di più di 3.600 yards con 20 mete e 9 intercetti, coinvolgendo spesso e volentieri anche Eddie Royal e Jabar Gaffney.

L’attacco è stato spesso esplosivo nonostante la sua prevedibilità, ed è all’attualità il quinto della lega in termini di yards prodotte su passaggio, ma non è servito certo a limitare i danni di una difesa che nelle ultime quattro partite ha concesso l’esorbitante media di 31 punti, in un parziale mortifero di 0-4 che lascia Denver sola in fondo ad una Afc West altrimenti molto combattuta.

Ora il timone è in mano all’ex coach dei running backs, Eric Studesville, che ha dichiarato lui stesso di non avere un lavoro molto semplice da svolgere, pur essendo ridotto al semplice traghettamento della squadra verso la fine dell’agonia. Essendo difatti un allenatore di reparto non conosce bene tutti i giocatori del roster, e dovrà affidarsi ad una consulenza interna per capire chi far giocare nei reparti di cui non si occupava in precedenza, tentando di comprendere quali giovani meritino di essere messi in rampa di lancio in vista del 2011 e chi sono i giocatori che hanno mollato, che non sembrano essere pochi.

A Denver, una piazza con tradizione e vittorie, serve però qualcuno di più esperto, che sappia cosa vuol dire portare costantemente una franchigia ai playoffs. Non sarà facile trovare la persona giusta dopo un disastro come quello messo in scena in questi neanche due anni di sgraziata gestione. Intanto è già uscito il nome di Elway quale posssibile futura manageriale/amministrativa, se non altro per porre nell’organizzazione una figura che ci tiene tanto al futuro della squadra, essendone stato il simbolo passato. Resta da capire se, come alcuni suoi predecessori, Elway possa essere il classico ex giocatore preso per figurare e far star buoni i fans per un pò, oppure se abbia effettivamente le capacità per ricostruire un roster che ha bisogno di un pesnate intervento chirurgico.

Ci provò anche Dan Marino a Miami, ma i risultati sono noti a tutti.

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