Halloween, la notte delle streghe e dei travestimenti, non poteva trovare un luogo migliore per essere celebrato durante il Sunday Night Football.
New Orleans, la città dove i fans degli amatissimi Saints vengono vestiti da carnevale anche alla prima domenica di settembre, la città del Mardi Gras, la città dove a maggior ragione, in quella particolare notte, si poteva trovare di tutto e di più, persino un tifoso con uno spiccato senso dell’umorismo, che portava un’uniforme bianca e porpora con il numero 4, ed una vistosa fasciatura al braccio.
Sì, il nuovo costume da Halloween era quello di Brett Favre fatto a pezzi dagli infortuni, lo stesso che era già passato dal Superdome quando i Saints sconfissero i Vikings nell’opener della presente stagione, vincendo senza convincere del tutto.
New Orleans non ha mai dato l’impressione totale di essere una squadra in grado di bissare la vittoria del Super Bowl. L’attacco ha stentato parecchio, si è dimostrato sicuramente lontano dal reparto in grado di produrre punti e yards da capogiro, si è ritrovato meno equilibrato avendo perso importanza nel gioco di corse, con Drew Brees a lanciare un non troppo usuale numero di intercetti nelle gare disputate sinora, giunto già alla doppia cifra abbondante. La difesa, che aveva avuto grossi meriti nella cavalcata felice del 2009, non era più stata capace di creare quella marea di turnovers che ne avevano decretato l’impronta opportunistica, la quale aveva così fortemente contribuito a coprire alcune evidenti problematiche difensive perché in qualche modo, restituiva sempre e comunque il possesso ad un attacco che andava in meta come e quando voleva.
La notte di Halloween era la notte della verità per Brees e i Saints, una squadra che avrebbe ancora potuto dominare in lungo e in largo molte delle sue avversarie, ma che aveva sempre trovato dei motivi per farsi sorprendere da franchigie come Cleveland, che al quarterback Mvp dello scorso Super Bowl avevano inflitto 4 intercetti, due dei quali riportati direttamente in endzone.
Di fronte a questa sconfitta, lo scoglio Pittsburgh Steelers pareva insormontabile, presumendo che per battere l’armata di Tomlin sarebbe servito quel gioco aereo così latitante, e tenendo conto che un pessimo gioco di corse si stava per scontrare contro la miglior difesa della lega contro il rushing game. Un potenziale disastro, in poche parole.
I Saints si sono ricordati al momento giusto chi sono, quale impresa abbiano compiuto lo scorso anno, e che forse possono essere in grado di riprovarci. Brees ha riconosciuto il significato della parola clutch, quella che simboleggia l’importanza di farsi trovare presenti nei momenti topici della stagione, quando degli errori è naturale che vengano commessi, l’importante è non ripeterli. La difesa ha provocato i turnovers che era necessario forzare per tornare a decidere le partite, ed i forti Steelers sono tornati a casa con le mani vuote.
Dopo un primo tempo combattuto e sudato da entrambe le formazioni, che si era concluso con un field goal per parte, la macchina da punti dei Saints si è svegliata al momento giusto, anche per merito delle correzioni al volo apportate all’attacco dalla grande mente di Sean Payton, uno degli allenatori più celeri e consistenti nell’eseguire aggiustamenti negli spogliatoi.
Il reparto offensivo dei padroni di casa è riuscito ad avere successo pur rimanendo mono-dimensionale, evento eccezionale se si considerano le statistiche secondo le quali New Orleans ha vinto tantissimo, sia quest’anno che l’anno scorso, quando forniva un rusher vicino alle 100 yards, cosa che Julius Jones, il miglior corridore di serata con 16, non era riuscito ad avvicinare nemmeno con cannocchiale dei più potenti.
Nel secondo tempo Brees (34-44, 305, 2TD, INT) ha lanciato con successo anche quando si sapeva benissimo lo avrebbe fatto, eludendo la pressione tremenda della 3-4 più temuta della lega attraverso passaggi di vario raggio, che sono tornati a sfruttare tutte le armi a disposizione di questo grande arsenale offensivo. I Saints sono stati prevedibili (288 yards su 318 totali ottenute su passaggio), ma non si sono fermati davanti a nulla, se non dinanzi ad un turnover che sarebbe potuto costare caro.
Marques Colston (6×75, TD) ha segnato un touchdown per la seconda partita consecutiva, un segnale di fiducia importante per lui, che in mezzo ai tanti è il talento che spicca maggiormente e che finora ha avuto una stagione statisticamente incostante, Lance Moore ha dimostrato di essere ancora una volta un’arma vincente che si fa trovare sempre pronto quando viene chiamato in causa, ed ha segnato la sua quinta meta stagionale, e Robert Meachem è riuscito a rendersi pericoloso in profondità, la sua caratteristica migliore, raccogliendo 76 yards in 6 ricezioni, tra cui un big play di 50 yards.
Nonostante quanto detto e spiegato, la partita è stata quanto di più vicina si possa immaginare da tale descrizione.
Se il primo touchdown della gara, segnato nel quarto periodo proprio da Colston, aveva posto i Saints sopra di 13 punti, gli Steelers avevano risposto con un drive finalmente convincente dal punto di vista offensivo, culminato con la corsa in endzone da parte di Rashad Mendenhall, che per l’occasione aveva galoppato per 38 delle sue 71 yards complessive. Pittsburgh avrebbe potuto mettere le mani avanti se solo non avesse avuto luogo un’incredibile botta e risposta in termini di cambio di possesso, che aveva visto Brees cadere a terra perdendo il pallone sotto pressione, colpito da Bryant McFadden su un DB blitz costruito dal geniale Dick LeBeau, e Heath Miller perdere un inusuale fumble poi ricoperto da Darren Sharper, alla sua seconda gara stagionale dopo i noti problemi fisici, il tutto accaduto nel giro di neanche quattro minuti.
Da quel momento in poi il dominio dei Saints si è accentuato ulteriormente: in un drive alimentato anche da un roughing the passer comminato ad un James Harrison a tratti incontenibile, Brees ha pescato Moore con un passaggio di 8 yards per i punti del +10, in un’azione che ha ricordato a tutti la mentalità offensiva di Payton, che in quella particolare situazione, a ridosso del two minutes warning, avrebbe potuto chiamare con tranquillità una corsa per far continuare il cronometro fino alla pausa obbligatoria, e che invece ha posto le basi per una playaction truffaldina che ha ottenuto esattamente lo scopo prefissato, l’esatto contrario dell’ovvio, ovvero uno degli aspetti tatticamente più divertenti del football americano.
L’intercetto che ha poi chiuso la gara, subìto da un Ben Roethlisberger talvolta incerto (17/28, 195, INT) ad opera di Leigh Torrence, ha inoltre fatto tornare d’attualità le memorie di quella difesa che sigillava le gare con i turnovers, una difesa aggressiva, spietata ed approfittatrice. Torrence giocava in una secondaria che si trovava costretta a spostare Malcolm Jenkins a cornerback per le assenze di Jabari Greer e Tracy Porter, senza contare l’uscita a gara in corso del rookie Patrick Robinson. Una difesa così menomata nelle retrovie non ha concesso neanche una meta su passaggio, ed ha tenuto Hines Ward, autore di 131 yards una settimana prima, a sole 15 in 3 ricezioni.
Forse i Saints si sono svegliati in tempo, perché questa è una vittoria che pesa molto in termini di fiducia. New Orleans ha battuto quella che con tutta probabilità è la miglior squadra della Nfl, quella più in forma, quella con la difesa più punitiva della Nfl. Contemporaneamente, ha mandato un messaggio a tutti quanti vorranno mettere le mani su quel trofeo che lei stessa detiene, che è pronta a difendere fino allo stremo delle forze. In questo campionato così strano ed altalenante, è un messaggio da non sottovalutare.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.