Un quarterback al primo anno è sempre fonte di dibattito, negli ambienti interni alla Nfl. Le esperienze del passato dimostrano che non sempre le decisioni vanno prese allo stesso identico modo, perché i risultati che ne conseguono possono essere diversi a seconda di tantissime circostanze, che partono dall’ambiente in cui ci si trova a giocare e che finiscono con il sistema di gioco stesso. Poco importa da quale lato si cerchi di interpretare il più probabile scenario che si possa costruire attorno ad un rookie che andrà ad occupare la posizione più importante del gioco, quella del comando e dei nervi saldi, qualcuno sosterrà sempre che un regista deve sempre osservare almeno per un anno gli altri lavorare, capire gli schemi, le chiamate, la velocità del gioco semplicemente osservando. Così successe a Steve McNair, a Carson Palmer, a Vince Young, a Philip Rivers ed a tanti altri giocatori scelti in alto, ma non utilizzati da subito.
Poi capita anche di trovarsi per le mani un Ben Roethlisberger, che rimane imbattuto per tutta la sua annata da rookie, o un Matt Ryan, che vola ai playoffs al suo primo anno da pro, e ci si chiede cosa mai si debba fare per non bruciarsi immediatamente un quarterback a livello psicologico e fisico.
I Rams se lo sono chiesti con Sam Bradford, ed hanno deciso che lui era pronto per esordire con successo tra i professionisti contro l’opinione di molti esperti, che avevano predetto per lui una stagione difficile, perennemente di corsa per evitare l’inevitabile pressione che la linea offensiva considerata scarsa avrebbe lasciato passare, dicevano che l’avrebbero fatto a pezzi. Ma Sam, su cui gravavano dubbi su quella spalla che gli tolse gran parte dell’ultima stagione passata ad Oklahoma e di conseguenza la possibilità di vincere un titolo nazionale, è proprio lì, alla guida dei suoi Rams, la squadra più perdente della Nfl degli ultimi anni, e li ha guidati ad un record che sinora parla di 4 vittorie ed altrettante sconfitte. Niente di speciale? Sì, molto più di speciale, considerando che dal 2007 al 2009 la squadra di gare totali ne aveva vinte 6, ed aveva ottenuto tre ultimi posti consecutivi nella Nfc West, posizionamenti che avevano l’aggravante di essere stati ottenuti nella division più mediocre della lega. I Rams, dopo il Greatest Show on Turf di Kurt Warner, erano passati direttamente all’essere la squadra più scarsa tra le peggiori.
Ne sono passate i scelte sbagliate al draft ed allenatori arrivati e partiti con una frenesia non replicabile, ma anche in questo caso la chiave di tutto sta alla base. Una maggiore stabilità equivale sempre ad una maggiore motivazione per dare il meglio di se stessi, e dal punto di vista motivazionale l’arrivo a St. Louis di un coach richiestissimo come Steve Spagnuolo, è stata un’iniezione di fiducia pazzesca, esattamente quella che serviva. Grandissimo stratega difensivo, protagonista ed architetto di quella pass rush tremenda che portò i New York Giants a vincere il Super Bowl da sfavoriti contro i Patriots, Spagnuolo era stato a colloquio per due anni con tutte le squadre Nfl che avevano licenziato il proprio head coach precedente, prima di scegliere i Rams davanti a progetti potenzialmente più vincenti di questo, ma che per lui non avrebbero rappresentato sfide altrettanto stuzzicanti. Dopo un anno per così dire tradizionale, di adattamento e di comprensione del tipo di personale presente a roster con la conseguente progettazione delle mosse future, l’assunzione del coach ha cominciato a pagare i suoi dividendi già da questo suo secondo anno: la difesa è miglioratissima dal punto di vista della pass rush, e Sam Bradford, il ragazzino dai tratti cherokee che doveva essere annientato dalla pass rush degli altri, è ancora lì con i suoi occhi a mandorla ed il suo sorriso smagliante, a dimostrare agli esperti che stavolta avevano predetto il futuro sbagliato.
Merito anche di una linea offensiva che ha trovato coesione, grazie al coraggioso inserimento di Roger Saffold, rookie assolutamente privo di esperienza Nfl, nella lineup sin dal primo istante, amalgamatosi molto bene con i già presenti a roster, tra cui il secondo anno Jason Smith ed il centro Jason Brown. La rapidità di piedi di Saffold è stato il fattore determinante che ha fatto propendere il coaching staff per il suo utilizzo immediato, un segno di fiducia che si è addirittura ampliato quando il giovane è stato, di recente, spostato nel ruolo più delicato della linea, quello di left tackle, nel quale ha svolto un egregio lavoro di protezione sul lato cieco di Bradford.
L’attacco possiede una marcia in più rispetto anche solo all’anno scorso, dove Steven Jackson era sostanzialmente un predicatore nel deserto, che accumulava statistiche in quantità industriale in termini di yards, tuttavia senza segnare molto per via dell’asfittico reparto offensivo che nella offseason ha chiuso il rapporto con il perennemente infortunato Marc Bulger. Una piacevole sorpresa è stata il reparto ricevitori, che trova costanza e presenza quando conta attraverso li contributi di membri insospettabili. Michael Clayton, purtroppo per i Rams finito in injured reserve per tutto l’anno, si era difatti dimostrato tutt’altro tipo di giocatore rispetto ai deludenti tempi di Baltimore, detenendo la più alta media di squadra per yards medie a ricezione, più di 13, e segnando un paio di touchdowns. La sua assenza ha richiesto che altri giocatori facessero il classico passo avanti per non farne sentire la mancanza, passo che Danny Amendola ha effettuato senza pensarci troppo sopra, risultando ad oggi il bersaglio più ricercato da Bradford con le sue 45 ricezioni, mentre qualcosa si è visto pure da Brandon Gibson e Danario Alexander, quest’ultimo voluto da Spagnuolo per le sue doti caratteriali nonostante i sospetti degli scout sulla sua cronistoria infortunistica. Infine, il ruolo di tight end è tornato ad assumere un significato diverso in fase di ricezione grazie a Daniel Fells, il quale giàin un paio di circostanze si è fatto trovare preparato segnando nelle ultime 20 yards.
Grazie a questa maggiore varietà di soluzioni, unità alla soddisfacente precisione di Bradford nelle percentuali di completi sinora ottenute, segno che le situazioni di 3 & out sono notevolmente scese, Steven Jackson non risulta ovvio e solo come lo poteva essere nel 2009. Il running back ex-Oregon, che la scorsa settimana ha superato un importante record di franchigia passando nientemeno che Eric Dickerson nella speciale classifica di yards accumulate di corsa in carriera, è un combattente nato, gioca, come al solito, anche se infortunato, e non si tira indietro di fronte ad un blocco ben eseguito in pass protection, cui aggiunge all’attualità 676 yards stagionali e solo 2 mete, dato che richiama la povertà di touchdowns da lui segnati, e unico punto di miglioramento che gli si possa imputare.
Il lavoro di Spagnuolo, tuttavia, è conseguito in una radicale trasformazione della difesa, che ha trovato un modo per mettere costantemente pressione sui registi avversari. I 25 sacks sinora registrati sono il simbolo ed il sunto del credo difensivo dell’head coach, cui piace da morire far partire i blitz da posizioni sempre diverse confondendo le idee all’attacco, che spesso si vede pressato da più parti facendo collassare la tasca.
James Hall, il giocatore che ha sorpreso più di tutti essendo un veterano con dieci anni di Nfl alle spalle che si pensava avesse quasi dato tutto, è a quota 7 sacks ed è in pieno ritmo per raggiungere il massimo di carriera in tale specialità, senza tenere conto del fatto che da quando il defensive end veste la maglia dei Rams il meglio che gli era riuscito era stato un 6,5. Chris Long, al suo terzo anno pro, sembra essere maturato al punto giusto per poter offrire quella pass rush costante che al college aveva fatto di lui un’autentica bestia, mentre il cuore della difesa è governato da James Laurinaitis, che sembra seriamente intenzionato a ripetere i 120 placcaggi del suo campionato d’esordio rendendosi altresì efficace in blitz, dove di tanto in tanto raccoglie qualche sack dimostrando di essere un linebacker in grado di stare in campo in diverse situazioni di gioco.
Psicologicamente, è significativo vedere la squadra non ritenersi soddisfatta di quanto fatto finora, risultato che per tutti gli altri rappresenta invece un passo gigantesco per uscire dalla melma degli ultimi tre anni. Molti giocatori hanno detto ai media di poter migliorare tantissimo, e che il 4-4 attuale non può essere considerato un risultato su cui adagiarsi troppo in fretta. Il basso livello, oramai storico, della Nfc West post riallineamento permette a St. Louis di sognare imprese apparentemente proibitive, Seattle è prima con solo una sconfitta in meno ed è già stata battuta dai Rams, Arizona (3-4) ha sensibili problemi nel ruolo di quarterback e non riesce a contenere i turnovers, mentre San Francisco sta vivendo, come noto, un’annata disastrosa.
La postseason non è un’esagerazione per il team di Spagnuolo, ma semplicemente un traguardo che, settimana dopo settimana, sta sempre più diventando a portata di mano. Il traguardo di vincere la scommessa Bradford e vederlo giocare bene fin da subito, i Rams l’hanno invece già raggiunto da un pezzo.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.