Etichettare le squadre Nfl troppo presto, può essere una pratica sconsigliata e considerata troppo frettolosa, la disciplina si presta a troppi cambiamenti repentini, siano essi dati da elementi riferiti ad episodi verificatisi in campo che vanno a cambiare l’esito di una gara e di una stagione, siano essi aggiustamenti fatti in corsa da dei coaching staff preparati ad altissimo livello, il migliore del mondo.
Tanti addetti ai lavori avevano liquidato i New York Giants come squadra incostante, declinante, incapace di ottenere risultati consistenti dalla sua linea offensiva, un tempo la più decorata della Nfl, messa sotto pressione dalle tante palle alzate dai ricevitori che si erano trasformate in un numero eccessivo di intercetti ai danni di un tutto sommato incolpevole Manning già nelle primissime gare, ed infine un sistema difensivo che, essendo questo da collaudare, sembrava non fosse pronto a portare la squadra da nessuna parte.
I Giants si erano sbarazzati abbastanza in fretta di un Matt Moore fin troppo propenso all’errore, battendo Carolina nonostante una gara giocata tutt’altro che in modo impeccabile, per poi, dicevano, presentarsi nella loro vera versione, quella che aveva portato a casa due sconfitte consecutive contro Indianapolis e Tennessee, che avevano letteralmente dominato gli uomini di Tom Coughlin e creato qualche imbarazzo all’interno dello spogliatoio. E la testa del Generale, in quella New York così acida quando cominci appena a perdere, veniva già chiesta a gran voce, con spifferi da tabloid che inseguivano la tanto prominente quanto improbabile figura di Bill Cowher.
Da lì in poi i Big Blue hanno sempre più convinto, distruggendo i Bears ed estromettendo ben due dei loro registi dal campo in una partita difensivamente storica (9 sacks nel solo primo tempo, 10 in totale), dominando una franchigia in forma come Houston in trasferta, ed avendo ragione dei Lions seppure a fatica. Chi aveva sottolineato che, per via di un bizzarro calendario che fino a ieri notte aveva risparmiato ai Giants qualsiasi rivale della Nfc East, i veri test dovevano ancora arrivare, ma ancora una volta ecco arrivare le smentite. Anche se le cose, a dire il vero, non erano esattamente cominciate nel verso giusto, restituendo a New York quella strana identità di squadra incerta e confusa.
Dallas, dunque. Un Texas Stadium pronto ad esplodere per sostenere le difficoltà dei propri beniamini, alle prese con una situazione paradossale tradotta nel record di 1-4, una squadra inconsistente a livello offensivo per via della sua mono-dimensionalità rappresentata dall’incapacità di correre bene la palla e quindi di possedere un playbook equilibrato, ed una difesa incostante soprattutto nelle secondarie, dove a gare spettacolari venivano alternate prestazioni da mani nei capelli, esemplificate dalle troppe giocate in profondità elargite da Mike Jenkins e compagni di reparto, spesso con la semplice complicità di una penalità.
Ma era proprio Dallas che pareva destinata a dominare questa gara, perché l’inerzia si era spostata da subito dalla parte dei texani, bravi ad approfittare di due lanci scagliati da Eli nelle mani dei propri ricevitori e puntualmente finiti per aria, prede delle fauci approfittatrici dei defensive backs, con l’attacco dei Cowboys a capitalizzare l’opportunità con una meta ed un field goal nel giro dei primi sei minuti di gara. Ed il fatto che non siano state due mete, ha probabilmente salvato la serata dei Giants.
I quali avevano sussultato tramite un passaggio da touchdown, l’ennesimo della sua grandissima seconda stagione professionistica, raccolto da Hakeem Nicks (9×108, 2 TD), asso proveniente da North Carolina che si sta confermando essere il ricevitore primario che i Giants cercavano quando lo selezionarono al draft, presa che cancellava la partenza di un Eli Manning lodevole nel recuperare psicologicamente da uno 0/4 con 2 intercetti in neanche metà primo quarto.
Il touchdown su ritorno di Dez Bryant, che avrebbe poi firmato un career high con 3 mete nella medesima partita, è stato l’ultimo episodio che il pubblico del Texas Stadium abbia guardato con piacere, perché da quel momento in poi Manning ha abusato a piacere della difesa texana, e l’attacco è rimasto orfano del suo pezzo migliore, Tony Romo, estromesso da un erroraccio in pass protection ad opera del fullback Dan Gronkowski, diretto responsabile del colpo terminale che Michael Boley era riuscito a comminare al quarterback, costretto ad abbandonare la partita per una frattura alla clavicola, che lo terrà fuori per la bellezza di due mesi. Al suo posto entrava Jon Kitna, che non assaggiava l’ufficialità di una gara dal 2008.
Da quel momento in poi, si sarebbe vista praticamente una sola squadra in campo. Manning (25/35, 306, 4 TD, 3 INT), manco fosse il fratello Peyton, continuava a cambiare giochi sulla linea di scrimmage scovando matchups favorevoli visti solamente da lui, azioni che avevano portato alla seconda meta di serata di Nicks e ad altre due rispettivamente per Smith e Manningham, tanto per fare contenti tutti quanti. Una serie di placcaggi sbagliati aveva quindi concesso al treno Jacobs di involarsi abbastanza tranquillamente in endzone per la meta della staffa, il parziale di 38-20 era diventato pesante ed oramai irrecuperabile, nonostante i successivi tentativi di suicidio collettivo praticati da New York nel quarto periodo.
E proprio questa sarà una delle principali aree di intervento su cui il coaching staff capeggiato da Coughlin dovrà lavorare sodo, in quanto si è visto l’ennesimo fumble perso dai running backs (uno a testa per Jacobs e Ahmad Bradshaw), unico difetto riscontrabile in un gioco a terra che ha prodotto 200 yards contro le sole 41 di Dallas, nonché la capacità da parte di Eli Manning di prendere decisioni costantemente eccellenti, fattore che quando la concentrazione è calata per via del divario nel punteggio, per poco non costava cara a New York. Il pallone lanciato direttamente nelle mani di Keith Brooking per un riporto fermatosi in redzone è stato il terzo intercetto di serata per Eli, il quale ha dimostrato di essere maturo abbastanza per recuperare e dominare una partita del genere, ma che deve comunque imparare a limitare i suoi errori anche a risultato già acquisito, magari scagliando la palla fuori dal campo invece che insistere sulle doppie coperture.
Questi, ad ogni modo, sono i Giants, piacciano essi o meno. Solo dopo venti giorni di campionato sembravano tagliati inesorabilmente fuori dal gruppo, sempre ad opinione dei frettolosi, che poco conto avevano tenuto di una division considerata di ferro ma che quest’anno è considerevolmente scesa di livello. New York è stata la squadra più costante in una Nfc East continuamente in cambiamento e la capeggia con merito, davanti a quei Washington Redskins ancora presi con la transizione dei sistemi Shanahan, agli Eagles che non capiscono più che tipo di quarterback abbiano per le mani visti gli alti e bassi di Kevin Kolb, ed a questi Cowboys che cadono ad 1-5 e che dovranno tentare un’impresa disperata, senza il loro regista titolare e con il peso di un possibile Super Bowl da giocare in casa che ha evidentemente schiacciato la squadra più del previsto.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
I Giants concedono troppi punti è vero, ma è il rovescio della medaglia di avere una difesa spettacolarmente votata al blitz, forse troppo, perchè se si incappa in una partita dove l’attacco non segna a dovere sono guai. Blizzano tutti, anche quelli in panchina, per fortuna Eli e i suoi ricevitori mi sembrano in gran spolvero, e il gioco di corse anche se con due fumble è indubbiamente consistente, ce l’hanno in pochi efficace come il nostro e questa varietà ci rende imprevedibili. Certo mettiamo a casa quarterback a ripetizione, la cosa mi gusta un casino devo dire…. sotto un’altro!! certamente i Giants possiedono una batteria di defensive end che fanno impressione anche a vederli fisicamente e ormai sono il terrore dell’intera lega da anni. Devo dire che non è solo la nfc east e cioè il cosiddetto girone di ferro ad essere scesa di livello, ma l’intera nfc.