Chiariamo subito un aspetto fondamentale della faccenda prima ancora di fare considerazioni che potrebbero durare una o due settimane: il campionato di college football è appena partito e lo sgambetto può essere fatto da chiunque ai danni di chiunque, ed il danno per chi lo subisce potrebbe cancellare quanto scritto nelle prossime righe.
Tuttavia non possiamo nemmeno esimerci nello scrivere ed omaggiare quella che è stata la prestazione più consistente della settimana di apertura che ci ha restituito finalmente la visione di caschi e palla ovale, e collegare quanto visto sul campo alle aspettative di un ateneo che desidera scrollarsi di dosso l’etichetta di squadra sopravvalutata a discapito del notevole carico di talento che si porta appresso, squadra la quale, per una volta, vuole fortemente tenere fede alle attese e regalare qualcosa di grande ai propri affezionati.
Come detto in sede di preview i Clemson Tigers sono in modalità ora o mai più, perchè una combinazione così particolare e vincente raramente sono riusciti a produrla in quel di Death Valley. A fine stagione i pezzi pregiati se ne andranno al piano superiore e di conseguenza, come capita sempre in tali circostanze, l’ambiente è molto carico ed affronta ogni passo del suo campionato conme fosse una missione senza domani, facendo nel contempo i conti con le pressioni derivate dal fatto che ogni organo di stampa cartacea o web pone la squadra in cima alle classifiche della Acc una volta che i giochi saranno terminati e qualcuno si è sbilanciato pronunciando le due magiche parole che farebbero felice chiunque: National Championship.
Clemson non ci sta ad essere l’eterna incompiuta, Florida State e chiunque voglia intralciare i sogni di gloria delle tigri arancioni prenda cortesemente nota.
In una settimana di apertura dove moltissime squadre di prima fascia affrontano appositamente delle avversarie battibili per 70 a 0 perchè c’è il sistema offensivo cui togliere ruggine o una difesa nuova che deve prevedere i giusti accorgimenti prima di andare ad affrontare le squadre realmente pericolose, oppure per un misto dei due aspetti e non necessariamente presi in quest’ordine, i Tigers hanno cominciato il loro cammino contro Georgia, ovvero quella stessa squadra andata vicinissima dall’estromettere Alabama dalla possibilità di vincere ancora una volta la Sec – “solamente” la prima conference di tutti gli States per qualità e per titoli consecutivi attualmente vinti dalle proprie appartenenti – e che quindi nella presente stagione era partita con intenzioni similarmente bellicose rispetto a quelle messe su carta e campo dai ragazzi guidati da coach Dabo Swinney.
La bella notizia è che Tahj Boyd c’è, è presente, ed è al momento concentrato sul condurre in porto un campionato memorabile senza curarsi che al termine dello stesso sarà sicuramente una scelta di primo giro in Nfl. Il quarterback ha concluso la sua prima apparizione in campo mostrando le stesse qualità che l’hanno portato ad essere universalmente riconosciuto quale giocatore decisivo e risolutivo delle situazioni più difficoltose a livello offensivo, effettuando azioni con il braccio ma perchè no, anche con le atletiche gambe che si ritrova, una fantastica doppia minaccia – o dual threat come la chiamano al di là dell’oceano – che ha fatto felice la spread offense con concetti di zone read qui vigente e che persino in Nfl si sono messi a sperimentare, per giunta con un discreto successo. Boyd è parito con il piede giusto procurando in un modo o nell’altro 5 touchdown per la sua squadra (tutti, visto che i punti a referto sono stati 38), può sicuramente migliorare ancora e basta da solo a mantenere tutto l’entusiasmo che si respira attualmente da quelle parti del South Carolina.
Una notizia ancora migliore? L’attacco uptempo diretto da maestro Chad Morris – ricordate? quello che aveva fatto del reparto offensivo di Tulsa quella meraviglia per gli occhi che ancora tutt’oggi è – ha ritrovato le prestazioni funamboliche di un altro arancione candidato all’Heisman Trophy, quel Sammy Watkins reduce da una stagione con sole tre mete a referto, colpa questa di cattive condizioni fisiche e qualche sospensione non necessaria, che sabato notte ha dimostrato di essersi ripreso a gran forza tutta l’esplosività che ne aveva contraddistinto l’annata da true freshman, che detto per inciso è finita direttamente negli annali dell’università per i numeri messi a segno e per capacità di spostare l’inerzia della partita con una sola giocata. Chiedere alla difesa dei Bulldogs, che sta ancora cercando di prendergli la targa dopo il gioco di 77 yards finito in meta (e dove sennò?) confezionato durante il primo tempo, un gioco dove persino il replay mostrava in maniera impietosa l’accelerazione in dote ad un altro ragazzo degno del primo giro al prossimo turno di scelte.
Per chi chiedeva notizie del futuro successore di Andre Ellington, andato a riempire i vuoti del backfield degli Arizona Cardinals, ecco infine spuntare Roderick McDowell, che regala al reparto running back dei Tigers un elemento in grado di guadagnarsi qualche sudatissima yard correndo nel mezzo come anche di rimbalzare sull’ammasso di corpi che occupano la tasca andandosi a cercare aria respirabile all’esterno, tanto la velocità non manca, l’accelerazione nemmeno, e di determinazione ne abbiamo certamente da vendere.
La difesa della vergogna, quella che all’Orange Bowl di due anni fa concesse il settantello a Geno Smith, Tavon Austin ed a tutti gli altri festanti Mountaineers, ha sempre la tendenza ad elargire giocate su lunga distanza (Todd Gurley e la sua galoppata di 75 yards ringraziano sentitamente) e mostrato qualche sofferenza di troppo nel limitare alcuni drive scoprendo il fianco per effetto di qualche placcaggio eseguito male, ma quando il coordinator Brent Venables ha visto e capito la situazione mettendo in ordine tutto ciò che non andava la partita è cambiata a vista d’occhio, più di quanto non raccontino i soli tre punti di scarto nel punteggio. La spinta perpetua di Grady Jarrett nel mezzo, le giocate di un instancabile Spencer Shuey, il buon livello di una secondaria che si è fatta pizzicare in fallo ma che è tuttavia riuscita ad effettuare quelle interruzioni nel gioco aereo che andavano eseguite nei momenti più decisivi della gara, sono stati ingredienti chiave per questo successo anche se è proprio da questo lato del campo che ci si deve preoccupare di più.
La strada è lunghissima, tortuosa, coma di pericoli, ma come avrebbe poi detto Swinney nel post-partita c’è da essere orgogliosi di questa squadra, una compagine che ha prodotto una vittoria per molti impensabile e che ha tanta voglia di aumentarla quella stessa produzione, estendendola nei mesi in cui si decide a chi va la posta più alta in palio.
Quello di Clemson è un segnale di presenza importantissimo, i Tigers andranno tenuti d’occhio ogni settimana perchè sono forti. Se poi topperanno la classica partita annuale, qualità negativa che ne ha spesso scolpito la fama di bella ma incompiuta, beh, questa è un’altra storia, resta però il fatto che la squadra ha lasciato una gran bella impressione per come ha affrontato la prima gara della stagione, che si presuppone sia quella più difficoltosa per via dei meccanismi da oliare, considerando pure chi aveva davanti.
Nel frattempo, prendiamo ispirazione per la conclusione di quanto scritto da una frase scritta su una t-shirt indossata da un inserviente sulla sideline dei Tigers: new team, same dream.
Tutto è appena iniziato, ma il sogno continua.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.