Per recitare un costante ruolo di primo piano nel vasto panorama del college football, servono parecchi requisiti, che non sempre è facile rispettare dal momento che le cose tendono a cambiare in maniera fulminea, oggi più di ieri, vista la sempre crescente attrazione delle star più forti verso la Nfl, fatto che spesso significa il salto a piè pari dell’ultimo anno accademico di eleggibilità.
Ogni stagione richiede di dover fare i conti con i pezzi che si sono persi per strada, tra chi esegue appunto il balzo verso i professionisti sperando di sistemarsi definitivamente l’esistenza e tra chi finisce semplicemente il canonico quadriennio e sceglie una professione completamente diversa, o perché sa che nella Nfl non ci saranno possibilità di scelta, o semplicemente perché ritiene che ci siano cose più importanti del football americano nella vita.
Succede a tutti ed è successo pure ad Alabama, con la differenza che la bravura del coaching staff, capeggiato da un grande allenatore come Nick Saban, può permettere al programma di football, che proprio dall’avvento di Saban medesimo ha vissuto una nuova crescita verso l’alto, di frequentare con costanza la cima del ranking Ncaa.
A due anni dal titolo nazionale ottenuto contro Texas, il ciclo è ben distante dall’essere terminato, e nonostante le tre sconfitte patite nel 2010, tra le quali il pazzo Iron Bowl giocato contro Auburn, abbiano impedito nel 2010 ai Crimson Tide di recitare nuovamente un ruolo di primissimo piano non essendo riusciti a ripresentarsi al Championship, la squadra ha comunque mantenuto un livello competitivo molto alto nei confronti delle avversarie della Sec, conference che “solo” da cinque stagioni consecutive possiede la squadra che si laurea campione nazionale.
Come ci piace sempre sottolineare, dopo due sole partite non è mai idoneo cominciare a giudicare una qualsiasi squadra, e si rischia di andare in difficoltà anche con le università più forti se non altro per il facile calendario che viene appositamente stilato per far riscaldare i motori e gli ingranaggi ai ragazzi, e per permettere ai nuovi titolari di inserirsi a dovere.
Questo non vuol comunque dire che Alabama non abbia già fornito dei segnali interessanti, essendosi già confermata essere una compagine concreta, il cui livello di talento è sembrato essere rimasto inalterato anche dopo aver perso il fenomenale Mark Ingram, possente running back che ha vinto l’Heisman Trophy, ma anche la classe cristallina del wide receiver Julio Jones, e la grande voglia di vincere del quarterback Greg McElroy, un giocatore tanto anti-spettacolare quanto perfetto per far funzionare un attacco mantenendo gli errori al minimo indispensabile.
Lasciando perdere il test contro Kent State, che serviva a Saban ed al suo staff per osservare una moltitudine di cose tra cui la battaglia per il posto di quarterback, la gara vinta e dominata sabato scorso contro Penn State ha dato molte impressioni positive, e seppure nemmeno i Nittany Lions del mitico Joe Paterno fossero una contendente seria nemmeno per la loro conference di appartenenza – figuriamoci per un titolo nazionale – Alabama ed il suo stile di gioco hanno convinto su tutti i fronti davanti ad un numerosissimo pubblico ostile, in quello che per quanto poco è pur sempre stato un confronto tra due grandi nomi del college football.
In primis, la decisione più importante potrebbe essere già stata presa: dopo aver condiviso il palcoscenico con il collega Philip Sims nell’opener contro Kent State, il quarterback A.J. McCarron ha giocato una gara sostanzialmente vicina alla perfezione pur partendo senza molta esperienza precedente da titolare, per giunta in un ambiente potenzialmente intimidatorio, seguendo i dogmi che già in passato gli attacchi di Saban imponevano, ovvero lanciando con precisione, mantenendo il ritmo, cercando di esaltare al massimo le qualità del passatore senza forzarlo ad eseguire aspetti del gioco per lui innaturali. Il tutto, ovviamente, tenendo allo stretto necessario il numero degli errori, impresa riuscita benissimo ad un regista che non ha commesso alcun turnover completando il 61% dei suoi passaggi, con 163 yards, poche ma solide, ed una meta lanciata.
Va da sé che senza un gioco di corse in grado di guadagnare costantemente tutto questo non sarebbe possibile, e diventerebbe molto più complicato riuscire a togliere pressione ad un ragazzo inesperto chiamato a vincere sempre per tenere inalterate le speranze di pigliarsi uno dei primi due posti del ranking.
Trent Richardson ha ricominciato da dove aveva finito l’anno passato, quando in molti avevano cominciato a sostenere che fosse addirittura più talentuoso di Ingram, fatto che quindi non pone troppa preoccupazione riguardo al passaggio ai professionisti del running back figlio dell’omonimo ex wide receiver dei New York Giants, ed ha marchiato a fuoco la partita martellando la difesa con le sue corse, caratterizzate da una grande agilità e da un ampio arsenale di movenze laterali, che unite alla sua fisicità hanno prodotto altre 111 yards e due mete, una delle quali ha definitivamente tagliato le gambe ad una difesa stanca, e decretato anzitempo l’esito del risultato finale. Il funzionamento del gioco a terra è stato pure garantito da Eddie Lacy, già contribuente nel 2010 con oltre 7 yards di media a portata e 6 touchowns, che assieme a Richardson rischia di formare un’altra coppia incontenibile per gli avversari, e che grazie alla sua potenza può diventare il sostituto designato di Ingram.
La difesa ha fatto passare un pomeriggio orrendo ai due quarterbacks utilizzati da Penn State, squadra al momento priva d’identità, ed ha concesso solamente tre punti nel drive di apertura, per poi chiudere i cancelli e tenere a bada l’attacco fino all’inutile meta segnata dal running back Silas Redd, giunta quando tante persone avevano già fatto ritorno a casa lasciando gli spalti prima del triplo zero.
Il reparto difensivo ha recuperato due possessi con i Nittany Lions in territorio favorevole, ha tenuto i due registi al 30% di completi per 144 yards senza passaggi vincenti, e concesso poco più di 250 yards di total offense, che nel college football non sono certo considerate una quantità alta. Dre Kirkpatrick, Robert Lester ed il candidato All-American Mark Barron hanno dominato i ricevitori avversari rompendo quei pochi giochi potenzialmente buoni che i quarterbacks avversari erano riusciti a mettere in piedi.
I Crimson Tide sembrano completi sotto ogni punto di vista, come ogni grande squadra deve essere, non resta che attendere l’inizio del cammino all’interno della conference per capirne di più su una compagine che sa come gestire le partite, prende le misure agli avversari in poco tempo, e controlla la gestione del cronometro a proprio favore usufruendo di una difesa sostanziosa e di un rushing game fisico e possente. Come ogni anno negli ultimi tempi, gli scontri decisivi per il titolo nazionale passano dalla Sec, con Alabama a tenersi stretto un terzo posto a ranking che può migliorare mantenendo il ritmo giusto, senza pensare troppo presto al match dell’anno che si terrà il prossimo 5 novembre, quando ci sarà da misurarsi con Lsu, che oggi fa paura a tutti dopo la lezione di football impartita ad Oregon nella prima settimana di campionato.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.