Colin Kaepernick e Nevada hanno distrutto i sogni di Boise State.

La settimana appena trascorsa nel college football sarà ricordata sicuramente a lungo. C’è un vago sapore di epico nelle due grandissime rimonte poste in atto da una squadra che ha continuato a credere nel proprio sogno anche quando pareva irrimediabilmente spacciata, ed un’altra che desiderava solamente di rovinare la stagione perfetta dei rivali di conference, con il generoso aiuto di un kicker che ha ceduto clamorosamente sotto quella immensa pressione.

Raramente l’Iron Bowl aveva rivestito una tale importanza per Auburn, che insegue un titolo nazionale da più di cinquant’anni e doveva assolutamente proteggere il suo alto posizionamento nel ranking delle migliori 25 d’America battendo contemporaneamente gli attuali campioni in carica di Alabama in una rivalità statale parecchio sentita, e le cose, se avete visto la prima mezz’ora di gara, avevano proprio preso una brutta piega. Greg McElroy, buonissimo quarterback nel gestire le partite e nel prendere decisioni corrette ma nulla più, aveva accumulato numeri che ricordavano più una spread offense che il tipo di gioco più bilanciato che i Crimson Tide praticano in condizioni normali, e per di più aveva ottenuto tali statistiche (più di 300 yards su passaggio nei primi due quarti) senza l’apporto del gioco di corse, noto punto di forza di questo reparto offensivo.

La difesa dei Tigers, tallone d’Achille della squadra per via delle numerose yards e dei tanti punti concessi agli avversari, aveva recitato un ruolo determinante in quello che sembrava il precoce smembramento del college più in forma del momento, fermando il tandem composto da Mark Ingram e Trent Richardson in maniera davvero encomiabile, ma allo stesso tempo non riuscendo in alcun modo a costruire una sorta di diga contro il gioco aereo, finendo per essere travolta da McElroy e le sue precise connessioni con Julio Jones (199 yards!) e lo stesso Mark Ingram, che aveva raccolto 91 inusuali yards ricevendo restando però bloccato a quota 36 in quella che è la sua grande specialità, la corsa a terra, compilando un tremendo 24-0 che a metà del secondo quarto pareva già far intravedere scritta la parola fine sui sogni di gloria di Cam Newton e compagni.

Newton che, nonostante andasse a terminare la gara con sole 1.8 yards di media a portata, aveva comunque trovato modo di far valere la sua versatilità primeggiando nella fase aerea del suo variegato modo di giocare, permettendosi di terminare una gara pressoché perfetta da quel punto di vista chiudendo con una prestazione ancora dominante, che nel momento del bisogno l’ha visto mettere la firma su tutti e quattro i touchdowns che hanno consentito ad Auburn di superare Alabama di un solo punto.

La difesa ha ripreso conoscenza nel momento più corretto, ed ha annullato l’attacco dei Tide per tutto il secondo tempo, dando fiducia all’attacco per mettere i punti della rimonta, facendo credere alla squadra che sì, era possibile riprendere per i capelli quella partita. I campioni veri lo sanno fare, e per essere dove si trova Auburn, al numero uno, campioni bisogna essere. Ed ora sotto con l’ultimo ostacolo, una finale di conference contro South Carolina che sarà la Cenerentola dell’evento non avendovi mai preso parte prima, una soddisfazione che Steve Spurrier è finalmente riuscito a togliersi.
La difesa, stavolta, sarà chiamata a fermare il tremendo Marcus Lattimore, il freshman delle meraviglie che sta seminando il panico ovunque vada: eseguito quell’obbiettivo primario, si potrà cominciare a gustare davvero il viaggio in Arizona per l’atto conclusivo e più importante della stagione. In quella sede i pronostici contano relativamente, perché in gara secca può accadere di tutto.

Poi c’è il kicker, quello menzionato sopra. Kyle Brotzman, un ragazzo dal 74% di realizzazioni nella sua quadriennale carriera a Boise State era stato sostanzialmente infallibile sotto la soglia delle 30 yards, anzi, aveva infilato il primo field goal superiore alle 50 solo una settimana prima contro Fresno State, è crollato sotto il peso del mantenimento di una stagione perfetta, che tale più non è, e che debella ogni discussione sull’annosa questione che coinvolge i Broncos da tempo, per decidere definitivamente se la squadra fosse meritevole di un National Championship o meno. Per quest’anno la risposta è negativa.

Nel gelo di Reno l’ha avuta vinta la Pistol Offense di coach Chris Ault, un rivoluzionario del college football che si è finalmente levato la soddisfazione di battere Chris Petersen dopo qualche tentativo andato a vuoto, compreso un multiplo overtime nel quale le squadre, qualche campionato addietro, avevano combinato per qualcosa come 136 punti segnati.

Anche qui stessa storia, a parti invertite. La sfavorita in forte svantaggio alla chiusura del primo tempo, 24-7 ed un dominio pressoché totale da parte di Kellen Moore e Doug Martin, autori di un primo tempo ad alto voltaggio offensivo e coadiuvati da una difesa che aveva ridotto in brandelli il prestigioso e produttivo rushing game di Nevada, abituato a numeri fantascientifici per via delle grandi possibilità regalate da questo tipo di schema se giocato con perfetti sincronismi.

Colin Kaepernick, il quarterback ideale per gestire una situazione come questa vista la possibilità di far male in duplice modo, è stato contenuto sulle corse ma si è rifatto lanciando con precisione e tempismo, pescando Rishard Matthews praticamente ad ogni azione possibile producendo 172 delle 259 yards accumulate su lancio alla fine, mentre allo stesso tempo il rushing game tipico dei Wolfpack andava sempre più ad ingranare le marce, fruttando 131 yards ed una meta a Vai Taua e soprattutto un touchdown su corsa di Matthews medesimo, una svista di 44 yards che aveva rimesso a tre punti di distacco un punteggio che sembrava destinato invece ad ampliarsi a favore dei Broncos.

Kellen Moore, nonostante l’ottima prova difensiva di Nevada dei secondi trenta minuti, aveva comunque graffiato con la zampata vincente tipica dei campioni, pescando incredibilmente Tytus Young per un completo impossibile, che da appena prima di metà campo era terminato dritto nelle immediate vicinanze della endzone consentendo ai Broncos di chiamare un timeout con un solo secondo da giocare, un’azione che aveva smantellato nel giro di qualche secondo una rimonta straordinaria e che sembrava dare ragione al più forte. Ma il field goal di 26 yards calciato da Brotzman era andato a lato, il pubblico che aveva riempito il piccolo impianto di Reno aveva cominciato a rumoreggiare come mai si era sentito, fornendo un frastuono ulteriormente ampliato in occasione della seconda occasione sciupata dal kicker, stavolta da 29 yards. Definire surreale l’epilogo scritto dal calcio a segno di Anthony Martinez è un puro eufemismo. Mentre quel pallone centrava i pali Boise State veniva automaticamente cancellata da ogni possibilità di Bcs Bowl. Moore non avrebbe pronunciato parola alcuna per lunghi minuti, in evidente stato di shock agonistico. Il sogno era finito lì.

Il finale di stagione sarà come di consueto elettrizzante, e la posta in palio è sempre più alta. Già detto di Auburn che se la vedrà con South Carolina per l’egemonia definitiva della Sec, avremo una finale Big XII tra Oklahoma, vittoriosa nel derby contro Oklahoma State per 47-41, e la Nebraska del nevrotico Pelini, e per la prima volta da un po’ di anni sarà strano non vedere la vincitrice di questa gara secca implicata in discorsi di finale nazionale. In un campionato dove Texas ha chiuso con un bilancio in perdita solamente una stagione dopo aver perso la finalissima, non ci si sorprende oramai più di nulla, ma resta comunque la curiosità di vedersi lo scontro da due vecchie rivali della Big 8.

La Acc, lato Coastal, è andata come pronostico a Virginia Tech, che ha sotterrato i cugini di Virginia senza far loro vedere il campo in una giornata dove Tyrod Taylor ha sorpassato il record ogni epoca di ateneo per yards lanciate, e nella quale Frank Beamer si è iscritto al numero nove assoluto in termini di vittorie ottenute durante la carriera di head coach, un’autentica impresa in tempi moderni come questi, dove la durata media degli allenatori si è a dir poco abbassata.

L’avversaria, un po’ a sorpresa, sarà Florida State, che ha finalmente avuto la meglio su Florida dopo sette tentativi consecutivi andati male ed ha osservato giubilante sul proprio schermo gigante il suicidio di North Carolina State, che ha rotto la situazione di pareggio di classifica con i Seminoles facendosi beffare da Maryland, che ha onorevolmente chiuso l’anno con 6 vittorie in più rispetto al 2009.
La squadra di Jimbo Fisher non vinceva 9 partite da una vita, non disputava la finale Acc da cinque stagioni, ed ora avrà l’opportunità di giocarsi il posto che la conference assegna per l’Orange Bowl, che se ottenuto costituirebbe davvero un bell’esordio per l’allenatore che avrà il difficile compito di tornare ad ottenere gli stesso risultati conseguiti nell’apice della gestione Bowden.

Compito che invece Randy Shannon non potrà completare, dal momento che a Miami si sono stancati di attendere risultati che non arrivano ed hanno quindi deciso che la testa dell’head coach sarebbe dovuta essere la prima a partire, lasciando gli Hurricanes con un senso di provvisorietà in vista del Bowl che andranno a giocare a qualche settimana da oggi. Perdere una rivalità statale non è il massimo, se poi l’avversaria è una South Florida tutt’altro che irresistibile, allora il discorso cambia. L’unico aspetto opinabile della faccenda è rappresentato dal fatto che, quando Jacori Harris accumulava una pessima decisione dietro l’altra o si infortunava in maniera ormai cronica, Shannon centrava poco o nulla. Si parla di un grande nome in sostituzione, e se John Gruden decidesse di averne abbastanza con le analisi tattiche del Monday Night Football, qui lo accoglierebbero a braccia aperte. L’ultima volta che ha allenato in Florida qualcosa di buono aveva combinato in fondo, no?

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