Eli Brooks e Chaundee Brown sono gli eroi per caso da 21 punti ciascuno contro LSU, grazie ai quali la Big Ten presenzia ancora nella March Madness, dopo la sconfitta di Maryland e i clamorosi upset dei primi due turni (Illinois ed Iowa), e i Wolverines si possono così lanciare al cospetto di Florida St per la quarta Sweet 16 consecutiva!
Si arriva a questo snodo cruciale col dubbio Isaiah Livers, ala senior marchiata dal drammatico “out indefinitely” per la frattura da stress al piede, che toglie al gruppo di coach Juwan Howard il giocatore più costante e sempre presente in stagione, nonché dinamico scorer (13.1), rimbalzista (6), shooter preciso dall’arco e affidabile tiratore in lunetta. Il ragazzo al quarto anno già la scorsa campagna aveva combattuto con gli acciacchi, e prima dell’inizio del torneo Michigan era 33-9 con lui sul parquet a dispetto del 6-6 senza: ciò per dimostrarne l’imprescindibilità.
L’obiettivo, nemmeno troppo celato a questo punto, è la conquista della East Region e perciò l’approdo alle Final Four, specialmente dopo le due convincenti W da rimaneggiati su Texas Southern e Louisiana State, spartendo i punti a tabellino con più uomini, alla faccia dei critici che non vedevano di buon occhio le tre sconfitte nelle 5 gare conclusive pre Madness – compresa la semifinale in Big Ten con OSU – e appunto l’infortunio di Livers, dando ai Longhorns la palma di favoriti dopo un’attesa quasi ventennale (2003).
Texas invece è sorprendentemente out e l’alone da “East winner” spetta adesso a Seminoles e Alabama!
E’ un’analisi che tiene tuttora conto di un’assenza che sposta gli equilibri e che magari preclude il sogno di accedere alla bolla di Indianapolis e ripetere i fasti del 1989 con Glen Rice al timone di comando, ma forse eccessivamente spietata, visto che non considera l’eccellente tornata di Michigan, fuori dai primordiali radar Top 25 e capace bensì di riscrivere le gerarchie NCAA, terminando quarta nel ranking AP e prima nel seeding regionale: chapeau!
Da quando Warde Manuel infatti introdusse Howard nel 2019, le migliorie sono state evidenti e a tratti pirotecniche, come affidare nell’epoca dello small ball le redini offensive a un big man vecchio stampo quale Hunter Dickinson, freshman dominante senza eguali, devastante per 100 possessi in entrambe le fasi (116 Ortg/93.6 Drtg) e motivo primario dei 112.3 di gruppo, suddivisi al 54% dentro l’arco e il 42 dalla linea da tre, limitando altresì i rivali al 39 inside allorquando presente.
Potenza, lunghezza, stazza e dinamismo sulle ali, ma soprattutto più fisicità che in passato: queste le nuove armi che hanno dato ai Wolverines maggiore “durezza” per contrastare le difficoltà a rimbalzo in difesa, col già citato Brooks sugli scudi, creando però anche un ottimo ball movement offensivo e premiando i numerosi tagli delle futuribili stelle NBA Franz Wagner e per l’appunto Isaiah Livers, mentre la point guard position di Mike Smith favorisce passaggi e giochi in pick and roll ad alta andatura.
Comunque vada, lunga vita a Juwan Howard, per noi Coach of the Year!
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.