I superteam, si sa, da qualche anno sono una realtà consolidata nella National Basketball Association e nel panorama cestistico americano i Golden State Warriors rappresentano l’epitome di questo concetto.
Quest’anno però c’è un’altra squadra che può rivaleggiare su questo piano, non in campo ma perlomeno a livello mediatico, con i pluricampioni della Bay Area.
Un recruiting clamoroso ha fatto sì che i tre migliori talenti (e che talenti!) a livello liceale dell’intera nazione giochino per la stessa squadra, i Duke Blue Devils di coach Mike Krzyzewski, ossia l’equivalente collegiale della superfranchigia di San Francisco di questa annata NCAA.
Coach K, abituato storicamente a perseguire la continuità mantenendo per più tempo possibile un nucleo consolidato di giocatori, da qualche anno ha preso a seguire la strada tracciata dal suo collega Calipari in quel di Kentucky, ossia cercare reclutare i migliori prospetti in circolazione nonostante nella quasi totalità dei casi si tratti di one-and-done players.
Insomma, meno stabilità e più turnover da un anno all’altro ma anche più classe a roster.
Dopo l’addio dell’intero quintetto base (composto da ben quattro freshman) sbarcato in blocco al piano superiore, per Duke si è ripresentata la necessità di un rinnovamento pressoché totale ma nessuno si poteva attendere un all-in di questa portata: prima R.J. Barrett e Cam Reddish e infine Zion Williamson, probabilmente il più forte delle tre stelline dei Blue Devils, di certo il più chiacchierato.
Un atleta spaventoso nel corpo di Charles Barkley, con il ball-handling che gli consente di condurre un coast-to-coast in stile Lamar Odom e l’esplosività per andare a schiacciare cinquanta cm sopra il ferro.
Zion come Jesus Shuttlesworth (o l’allora Chosen One LBJ) ha avuto per mesi i riflettori di tutta l’America sportiva puntati addosso. Sport Center ha mandato costantemente in onda le sue prodezze a Spartansburg Day High School, le sue magie hanno mosso le redazioni di Sports Illustrated e compagnia bella e fatto parlare di sé i “VIP” dello sport a stelle e strisce da Odell Beckham a Stephon Marbury passando per coach Steve Kerr, tutti irretiti da questo ragazzino non ancora diciottenne.
Le tre rising stars, per altro, hanno oscurato la point guard Tre Jones, altro prospetto reclutato nell’ultima caccia grossa da Coach K, che in molte altre realtà della NCAA, anche di primo piano, avrebbe una considerazione ben maggiore e che comunque è già abbondantemente nei radar dei GM Nba per il 2019 o gli anni successivi.
Per mesi si è fantasticato su Duke e su cosa avrebbe potuto fare un team con così tanta qualità a disposizione. Nella storia del college basketball ci sono già stati esempi di roster particolarmente ricchi, la UCLA di fine anni sessanta con Lew Alcindor (non ancora Kareem Abdul-Jabbar) e il folle estro di Lucius Allen o la versione, sempre dei Bruins, del 1974 con Bill Walton e Jamal Wilkes ma anche i Fab Five di Michigan State o i Cougars dei Phi Slama Jama o se vogliamo andare ancor più indietro nel tempo i Buckeyes del 1960 che schieravano due futuri hall of famer come John Lucas e “Hondo” Havlicek.
Ma che i tre migliori prospetti di tutte le high school da Los Angeles a Boston giocassero nello stesso team è un qualcosa che non si è mai visto in passato. Come del resto non è mai accaduto, e questo è oggettivo, ciò che per molti analisti è più che probabile, ossia che il podio di un draft sia occupato interamente da giocatori provenienti dalla stessa università. Stando ad alcuni dei mocks più affidabili questo è quanto avverrà nel giugno prossimo: Williamson, Reddish, Barrett, c’è solo da stabilire l’ordine di chiamata.
Dopo molte chiacchiere dei media e con attorno un hype clamoroso i Blue Devils hanno potuto finalmente dare prova del loro valore. Un debutto sfolgorante, con Kentucky umiliata pesantemente con uno scarto di 34 punti. Un esordio del genere ha fatto pensare che dopo quarantadue anni ci fosse nuovamente una squadra in grado di chiudere ricompiere l’impresa della perfect season.
In realtà le cose sono proseguite poi diversamente. Sia chiaro Duke ha un record di 11-1 ed è seconda nel ranking nazionale ma possiamo dire che la dura realtà del college basketball ha riportato coi piedi per terra un gruppo che sembrava destinato proseguire come una schiacciasassi tritando i suoi avversari come il Dream Team di MJ e co.
La squadra di Krzyzewski ha mostrato le sue lacune in particolar modo nelle partite giocate in terra hawaiana contro Auburn e soprattutto contro la Gonzaga di Mark Few nell’unica sconfitta stagionale. Inoltre l’ultimo incontro disputato contro Texas Tech ha fatto storcere il naso e non poco.
I Red Raiders erano in vantaggio a sei minuti dall’ultima sirena e Duke, che ha faticato per tutto l’incontro contro una difesa che ne ha limitato i fastbreak points e li ha spesso costretti a giocare a difesa schierata, ha prevalso solo grazie ad un apporto notevole del supporting cast.
Nelle prime dodici partite disputate la classe fuori misura dei big three si è vista in abbondanza ma si è visto anche Cam Reddish bisticciare col ferro (37% dal campo in stagione) nonché una certa tendenza di Barrett a giocare in modalità hero ball in alcuni momenti delle partite, come ad esempio nel secondo tempo con Gonzaga.
Krzyzewski dispone del gruppo più forte e talentuoso ma se vuole vincere dovrà lavorare molto sui punti critici, migliorare la qualità del gioco a ritmi più bassi di quelli prediletti dalle sue punte di diamante e soprattutto una difesa che, ed è un’inusuale tendenza degli ultimi anni, è costretta a camuffare le sue mancanze con un uso massiccio della zona.
Un passo avanti sarà necessario soprattutto ora che Williamson e gli altri entreranno in conference schedule e il livello degli avversari crescerà e non di poco.
La prossima partità si disputerà il 5 gennaio tra le mure amiche del Cameron Indoor contro un avversario senz’altro determinato come Clemson che arriverà a giocarsela anche con qualche motivazione extra. La ragione? Il gran rifiuto di Zion Williamson, figlio della Carolina del Sud che sembrava destinato a giocare per l’università del suo home state ma che all’ultimo momento ha optato per varcare il confine a nord e accasarsi alla corte di Mike Krzyzewski, per cui per i Tigers sarebbe certamente una soddisfazione importante fare uno sgarbo al #1 avversario, oltre al valore della W in sé.
A Durham sanno bene che il talento non basta e che altri “incidenti di percorso” non farebbero altro che alimentare le polemiche di chi ha già cominciato a fare paragoni con altre squadre che a dispetto della superiorità tecnica hanno concluso anzitempo la loro postseason ed esalta la chimica di Kansas o di Gonzaga in contrapposizione ai Blue Devils.
Sappiamo bene che coach Kryzewski non è abituato ad accontentarsi di mandare dei futuri all-star al piano superiore e i prossimi due mesi ci diranno molto sulle possibilità di Duke di tornare al vertice della pallacanestro universitaria dopo tre anni di digiuno.