10254035_10156563382530721_8054347122354584726_nDopo l’ottimo reportage da parte di Michele De Rosa, invitato dall’NBA alla partita londinese tra Orlando Magic e Toronto Raptors, Play.it USA sbarca anche nell’NCAA e la scorsa settimana è toccato a me essere ospite dell’università di Indiana per la partita di Big Ten tra gli Hoosiers e Nebraska.

L’Indiana è da sempre riconosciuto come uno degli stati americani in cui il basket è più importante, con ben dieci college di Division I (Ball State, Butler, Evansville, Purdue, IPFW, IUPUI, Notre Dame, Valparaiso, Indiana State e appunto Indiana) a testimoniarlo.

Anche a livello di High School si sfiora la vera e propria religione: il film del 1980 con Gene Hackman, Hoosiers – Colpo Vincente, che racconta la storia di una modestissima scuola che arriva fino alla vittoria della finale statale, è un ottimo esempio della passione che pervade questo territorio.

Tra i college citati prima, quello che senza dubbio ha una storia più importante è Indiana University. 5 titoli nazionali, 8 final four, 74 giocatori scelti dalla NBA tra cui Isiah Thomas (quello dei Pistons degli anni ’80/90, non quello attualmente ai Celtics) e recentemente Victor Oladipo, Eric Gordon e Cody Zeller (solo per citarne alcuni), rappresentano un bottino che poche università degli Stati Uniti possono vantare.

Anche se l’ultimo titolo risale al 1987, Indiana ha comunque una storia recente fatta di discreti risultati (solo sei volte negli ultimi trent’anni non è approdata al torneo NCAA) anche se nella March Madness ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato per il talento passato da Bloomington, con due sole apparizioni alle Sweet Sixteen dal 2003 ad oggi.

Parlando di potenzialità, la squadra di quest’anno ha tutte le carte in regola per far sognare i tifosi quando arriverà Marzo. Lo stesso Coach Tom Crean sa che le occasioni non crescono sugli alberi e che quest’anno gli Hoosiers sono chiamati al salto di qualità in termini di strada da percorrere nel torneo.

La sua personalità esuberante unita alla carica che riesce a trasmettere ai suoi giocatori devono trovare quest’anno un risultato importante che giustifichi la maturazione del suo progetto, iniziato nel 2008 quando arrivo da Marquette (dove assieme a Dwayne Wade approdò alla Final Four nel 2003) per raccogliere la scomoda eredità della leggenda Bobby Knight.

Il roster di quest’anno appare profondo e denso di talento, pur senza una superstar come Ingram o Simmons, a partire dal piccolo generale  Kevin “Jogi” Ferrel per arrivare all’esplosivo Troy Williams e all’intrigante Thomas Bryant.

ferrel1000Jogi è un playmaker di sei piedi non particolarmente atletico, ma è assolutamente l’idolo della folla e il fulcro dell’attacco degli Hoosiers. Non è un penetratore eccezionale ma ha un ottimo ball handling, passa molto bene la palla e soprattutto ha un mortifero tiro da tre punti che scocca con grande perizia tecnica. Gli manca qualche centimetro per poter essere un prospetto per il piano di sopra, ma le sue doti di tiratore potrebbero solleticare l’interesse di qualche “amatore” e meritargli una chiamata da tardo secondo giro.

Troy Williams è un’ala piccola di grandi qualità atletiche che in questa stagione sta viaggiando con medie di 12,5 punti e 6,8 rimbalzi a partita. Le sue percentuali da tre e dalla lunetta non sono attualmente entusiasmanti (rispettivamente 31% e 67%) ma già l’anno scorso aveva dimostrato miglioramenti nella meccanica di tiro e potrebbe anche lui trovare una chiamata durante il secondo giro del prossimo draft, sempre che non decida di rimanere ancora un anno alla corte di Crean.

tbryan464Thomas Bryant è il prospetto più interessante dei tre, perlomeno secondo le previsioni degli esperti che attualmente lo collocano intorno alla fine del primo giro. È un centro di 2,08 con braccia molto lunghe, che corre piuttosto bene il campo e con mano educata anche dai 5-6 metri. I suoi principali difetti risiedono in un limitato atletismo e in una carenza di movimenti di potenza in post basso, oltre ad una rivedibile capacità a rimbalzo che potrebbe penalizzare non poco le sue quotazioni. Le sole 5,7 carambole a partita sono infatti molto poche (Jogi Ferrel dal basso del suo metro e ottanta scarso ne porta a casa circa 4 ad allacciata di scarpe, seppur con un minutaggio superiore) per un lungo con quell’apertura alare.

L’infortunio di Blackmon, operato al ginocchio ad inizio gennaio e verosimilmente out fino alla fine della stagione, ha privato Indiana del secondo realizzatore della squadra (15,8 punti a gara con il 46,3% da tre), ma la sua assenza non può essere un alibi sufficiente per un’altra stagione anonima da parte degli Hoosiers.

Questo perché il roster comprende anche un’altra serie di ottimi tiratori da tre punti n(Bielfeldt 42%, Johnson 43%, Zeisloft 41%, Hartman 41%) che fanno di Indiana una delle migliori formazioni della nazione da questo punto di vista (quasi il 42% in totale), più un manipolo di role-players (Anouby, Morgan, Burton, Niego) che in varie occasioni hanno saputo dare il loro contributo ai risultati della squadra.

Risultati che ad oggi premiano Indiana: al momento della partita contro Nebraska il record recitava 20-6 overall, 10-3 nella Big Ten e un ranking oscillante tra la posizione 22 della Associated Press e la 21 della Coaches Pool. In attacco gli oltre 83 punti a gara fanno degli Hoosiers la miglior squadra in tal senso nella Big Ten, la difesa invece non è allo stesso livello ed è senza dubbio il tallone d’achille della formazione guidata da Coach Crean.

Sono quindi  arrivato a Bloomington, piccola cittadina sede dell’ateneo a circa 50 miglia da Indianapolis, con molte curiosità da soddisfare. Innanzitutto era la mia prima partita di NCAA dal vivo ed ero curioso di vedere (e sentire) le differenze tra l’atmosfera di una partita di basket NBA e una collegiale. Poi volevo cercare di capire se gli Hoosiers abbiano le carte in tavola per inserirsi tra le underdog del torneo NCAA e infine sarebbe stata l’occasione perfetta per vedere all’opera alcuni prospetti che si dichiareranno per il prossimo draft NBA.

halla457Dal punto di vista “ambientale” le mie aspettative non sono rimaste deluse. Intanto l’arena è bellissima: non sarà il classico palazzetto iper-moderno stile NBA ma la Assembly Hall è un luogo che trasuda storia cestistica: gli stendardi appesi al soffitto ricordano la gloriosa tradizione di questa università e la struttura ha una capienza di oltre 17.000 tifosi, che per una squadra universitaria a noi possono sembrare un’esagerazione ma da queste parti è perfettamente normale. 

La gara non era una di quelle di cartello (Nebraska langue nella parte medio-bassa della Big Ten) ma il palazzetto era comunque abbondantemente gremito.

Il tifo è generalmente più caldo rispetto alle partite della NBA e soprattutto la cosiddetta “student section” non manca mai di garantire il suo supporto vocale in ogni momento della partita. La banda che suona la marcia imperiale di Star Wars, le cheerleader (e i cheerleader uomini) e un divertente spettacolo durante l’intervallo da parte di una specie di cabarettista locale completano il pacchetto.

L’atmosfera è in generale è molto più “friendly” rispetto a quella che si può percepire nelle partite della Lega più famosa del mondo, ma questo non vuol dire che l’organizzazione sia lacunosa, anzi.

Come giornalista (?) accreditato avevo la mia postazione nella zona retrostante il canestro, libero accesso alla sala stampa con vettovaglie incluse e come fotografo (???) potevo girare indisturbato per il palazzetto alla ricerca della posizione migliore per scattare qualche foto.

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Sugli aspetti più prettamente tecnici invece la partita ha lasciato intravedere molte luci, ma anche alcune ombre.

Indiana è partita un po’ molle nel primo tempo, scivolando fino ad uno svantaggio massimo di 24-30 a cinque minti dalla fine del primo tempo, per poi chiudere all’intervallo sopra di sette punti e decollare nella ripresa grazie ad un 9-21 da tre punti, che come detto precedentemente da queste parti rappresenta una costante e non un episodio.

Nella fase finale della gara Nebraska ha approfittato di un calo di concentrazione degli Hoosiers per rientrare fino al 62-54, ma sono stati ricacciati indietro da un parziale di nove punti consecutivi griffato dal piccolo grande Jogi, per poi chiudere sull’80-64 finale.

Una prestazione tutto sommato convincente, anche se si sono visti gli stessi difetti che hanno caratterizzato questo inizio di stagione (in realtà anche tutta quella passata), ossia una difesa troppo permissiva e poca presenza intimidatoria a centro area.

In particolare l’obiettivo di Coach Crean per quest’annata era proprio quello di migliorare la fase difensiva (è stato assunto anche un nuovo preparatore atletico che ha portato i giocatori sul campo da beach volley allo scopo di migliorarne la reattività negli spostamenti) ma i risultati tardano a vedersi e nei mesi precedenti Indiana ha subito cocenti sconfitte con scarti in doppia cifra sia da Duke che da Michigan State.

Se gli Hoosiers vogliono fare strada nel torneo NCAA devono per forza crescere sotto questo aspetto, altrimenti si prospetta un’altra corsa di breve durata.

Per quanto riguarda invece i singoli giocatore sono rimasto positivamente impressionato sia da Ferrel che da Troy Williams.

Il primo non ha brillato ma ha giocato in maniera molto intelligente, come già gli avevo visto fare in altre occasioni. Quasi invisibile nei primi dieci minuti di gioco, ha “aspettato  la partita” e si è acceso nel finale di primo tempo, chiuso con uno spettacolare buzzer beater che è stato frustrato solamente dall’istant replay per pochi centesimi di secondo. 

Nel secondo tempo ha condotto i suoi nel parziale che ha spaccato la partita e ha chiuso con 11 punti e 4 assist. Numeri ampiamente sotto le sue medie stagionali, ma mi hanno colpito molto la sua capacità di trattamento della palla e la sua meccanica di tiro, nonostante le sue percentuali stavolta non siano state particolarmente buone . Probabilmente gli mancano un po’ di centimetri per meritare una chiamata al Draft ma faccio il tifo per lui, chissà che non possa essere il futuro Isaiah Thomas (stavolta ovviamente intendo quello dei Celtics).

twill785Troy Williams invece ha avuto percentuali realizzative eccellenti e ha disputato davvero un’ottima gara: 8 su 9 dal campo, 18 punti, 5 rimbalzi e 3 assist gli sono valsi la palma dell’indiscusso migliore in campo. Il numero 5 di Indiana ha un atletismo pazzesco, va a rimbalzo con grande tempismo e in contropiede è semplicemente inarrestabile. Come detto è attualmente considerato una possibile chiamata di fine secondo giro, ma le sue quotazioni sono in rialzo e partite come questa non possono fare altro che far salire l’interesse degli scout NBA.

Thomas Bryant ha invece giocato una partita anonima. Condizionato anche da problemi di falli ha chiuso con soli 4 punti in 17 minuti, ma soprattutto mi ha dato la sensazione di essere un po’ poco aggressivo in attacco. Nonostante Nebraska non avesse grandi giocatori da opporgli ha tirato poco e male, mostrando movimenti spalle a canestro un po’ scolastici e poca fisicità a rimbalzo. Forse gli servirebbe un altro anno di college per affinare un po’ di più i suoi istinti cestistici, ma tutto dipenderà anche e soprattutto dalle sue prestazioni durante il finale di stagione.

Dopo i festeggiamenti per la vittoria (15-0 in casa quest’anno) la mia esperienza in quel di Bloomington si è conclusa con la conferenza stampa finale, in cui Coach Crean ha dichiarato di essere soddisfatto per l’energia dimostrata in campo e per il lavoro dei suoi a rimbalzo, anche se ha sottolineato che Indiana deve crescere ulteriormente nella fase difensiva durante le prossime sfide, che saranno decisive per ottenere un posizionamento ottimale nel bracket del torneo NCAA.

Mancano infatti ormai poche partite e poi comincerà finalmente il campionato nazionale, la March Madness e il meraviglioso mondo dell’NCAA tornerà a far entusiasmare gli appassionati di tutto il mondo fino alla Final Four di Houston del 2-4 Aprile.

Per quanto mi riguarda, Indiana University si è guadagnata un tifoso in più che si augura di vederla andare avanti il più possibile, ma questa è un’altra storia…

4 thoughts on “Play.it sbarca in Indiana: i sogni di gloria degli Hoosiers

  1. bell’articolo! Io sono un tifoso d’Indiana non so perché, forse per via del film che hai citato, che vidi una trentina d’anni fa.

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