Col senno di poi, l’incidente che ha coinvolto Marcus Smart potrebbe averlo reso ancora più forte. Per i pochi (speriamo pochissimi) che ancora non l’avessero visto, ecco il video dello spintone al tifoso.
A caldo, subito dopo i fatti e nel pieno delle polemiche, avevo sostenuto che l’atteggiamento più produttivo per Smart sarebbe stato quello “mai ricordare, mai dimenticare”, ovvero cercare di fare tesoro dell’errore commesso senza rimanere troppo ancorato al passato.
La sensazione (ma va detto che ha giocato solo due partite) è che il play di Oklahoma State sia riuscito nell’impresa. Lo si evince più che dalle cifre del suo ritorno in campo (buone) dall’ultima intervista rilasciata dopo la partita vinta in trasferta contro TCU. Smart era sereno, sorridente, senza quello sguardo imbronciato che aveva colpito me (e non solo me) nelle settimane passate.
Come è noto dopo la sconfitta in casa di Texas Tech e la “spinta”, l’università di Oklahoma State ha sospeso Smart per tre partite, che si sono trasformate in altrettante sconfitte per i Cowboys. Ma a parte la prima in trasferta contro Texas (19 punti di scarto alla fine), le altre sono state perse per un soffio (in casa vs Oklahoma e in trasferta al supplementare contro Baylor) sintomo che la squadra stava cercando di reagire all’assenza del suo leader.
Marcus Smart è questo, un leader la cui assenza si fa inevitabilmente sentire. Può fare punti, ma quello non è il suo ruolo principale. Smart porta difesa, palle recuperate e soprattutto assist. Chiedetelo a Phil Forte, il suo compagno di squadra, considerato un tiratore di primo livello.
Nelle tre partite giocate in assenza della stella della squadra ha tirato 9-25 dall’arco, invece nelle due successive (con Marcus in campo) ha tirato 9-18, prendendo più tiri a partita e segnando con percentuali migliori. Nell’ultima gara, in particolare, nel secondo tempo Smart ha servito un assist a Forte di grande tecnica e visione (non riesco a trovare un highlight che lo mostri) dandogli 3 metri per prendere la mira (il che peraltro trasforma Forte in una macchina).
Torniamo per un secondo all’intervista. Smart ha appena chiuso la partita con 17 punti (quasi tutti nel secondo tempo), 8 rimbalzi, 7 assist e 5 palle recuperate. L’intervistatore gli chiede del match appena disputato e il ragazzo risponde: “Sì, lo so che non sto tirando benissimo, ma sinceramente ho capito che non importa molto. Il basket è uno sport di squadra e io conosco tanti modi per aiutare i miei compagni, ad esempio metterli nelle migliori condizioni per tirare”.
Starete pensando che sono le solite dichiarazioni trite e ritrite ma non è così. La traduzione inevitabilmente fa perdere molto della comunicazione, ma non si trattava delle frasi un po’ vuote da post partita: Smart era sincero. E soprattutto sereno.
Tutto questo nonostante le percentuali di tiro continuino a non essere dalla sua: 6-15 da 2 e 5-12 da 3 da quando è rientrato in campo. Eppure azzardo una teoria. Dopo il match di inizio anno contro Memphis (prestazione francamente strepitosa, sotto tutti i punti di vista) Smart si portava dietro un fardello troppo pesante, quel tipo di fardello che reggono giocatori di altro tipo: quelli che di riffa o di raffa chiudono le partite dominando offensivamente (Wiggins, Parker, Randle, McDermott).
Smart stava giocando nelle peggiori condizioni possibili: in una squadra costretta a vincere (cosa che tutti davano per scontato visto il ritorno del trio Smart-Brown-Nash, ma che scontato non è mai) e in più veniva considerato una specie di “Messia”, circondato da un non-detto che suonava più o meno così “parlano tutti di Wiggins e Parker ma è lui la vera scelta numero uno”.
Una pressione insostenibile, che forse è stata con-causa di quel gesto considerato. Gesto che però potrebbe portare alla Ncaa un giocatore nuovo, più consapevole e quindi più forte.
Da www.ncaabasket.net (Twitter: @ncaabasketnet)
Giornalista di www.basketballncaa.com