Estate. Per chi ama lo sport americano significa attendere con ansia l’inizio della stagione di football, seguire il training camp e cominciare ad informarsi sulla preseason, e quando questa è cominciata è già ora di basket, sia professionistico che collegiale. Significa guardare qualche partita di baseball cercando di non farsi soffocare dal caldo e dal calcio estivo, che anche se non vede grosse partite disputate è sempre in prima linea nell’interesse italiano, ed occupa inevitabilmente le prime dieci pagine di ogni quotidiano sportivo.
A Vicenza l’estate non sta passando diversamente da qualunque altro posto d’Italia dove non c’è il mare, si attende di andare in ferie con pazienza, ma se non altro c’è chi organizza degli eventi interessanti anche per chi è appassionato di altri sport. Ed ecco che una serata per la quale si sarebbe altrimenti discusso solamente di un inutile Italia-Argentina, si trasforma da lontano sogno in meravigliosa realtà. Anche quest’anno – c’era già stato da queste parti l’anno passato – l’Ncaa Tour Italia è in pieno svolgimento ed in queste settimane tocca quattro luoghi veneti ospitando otto diversi atenei provenienti da oltreoceano, ovvio, non tutti dello stesso livello o con lo stesso blasone, ma non per questo incapaci di attirare la curiosità di vedere questi ragazzi scendere in campo dal vivo, loro che vengono da una cultura così diversa, loro che vengono visti in televisione e sembrano così lontani da non sembrare nemmeno reali.
Ieri sera, al Palazzetto di via Goldoni a Vicenza, erano di scena i Clemson Tigers, non certo una squadretta qualunque, si parla pur sempre di Acc e quindi di una squadra che si misura ogni anno con gli assi di Duke e North Carolina, di un team che non viene dall’ultima divisione americana possibile ed immaginabile, gente che gioca sul serio, e cerca di farlo nel migliore dei modi, anche se per loro una partita contro una selezione nostrana di talenti è pur sempre considerato uno scrimmage estivo, al pari di una gara di summer league Nba, dove l’importante è farsi notare per accedere al roster definitivo.
I Tigers non ci sono tutti, dalle informazioni che abbiamo scendono in campo solamente freshmen e sophomore, ma poco cambia, nel roster ufficiale ci sono solamente due senior, per il resto tutti ragazzini che hanno già giocato l’anno scorso magari anche partendo titolari, oppure altri che hanno disputato sprazzi di gara e stanno cercando di farsi notare dal loro coach, e che vogliono trovare con determinazione un posto in rotazione.
Sono grandi atleti, si sa, solo vederli in riscaldamento fanno quasi timore. Sono giovanissimi ma fisicamente già formati, saltano come se avessero delle molle sotto i piedi, solo che osservare uno di quei balzi lì, a pochi metri, toglie quasi il fiato perché la televisione non dà certo l’idea reale delle capacità atletiche che questi si portano appresso. Dal metodo con cui si preparano alla partita è già possibile vedere come coach Bradley Brownell ci tenga a fare di essi prima di tutto un gruppo unito, una squadra di basket dove chi scende in campo lo fa prima di tutto per i compagni, e poi per se stesso.
Impressionante è l’organizzazione che un’università americana si porta appresso. C’è uno staff che riempie una panchina, c’è chi cura la sezione video per preparare poi i filmati da studiare per rivedere i propri errori o le cose fatte bene o semplicemente mettere gli highlights sul sito ufficiale dell’università subito dopo la partita, c’è una piccola sezione di tifo che con tutta probabilità ha preso un biglietto aereo per la città del Palladio seguendo i propri ragazzi e cogliendo l’occasione per farsi un viaggio che chissà quando saranno in grado di ripetere, proprio come capita a noi, al contrario, quando si tratta di andare negli States. Qualcun altro sarà invece venuto dalla vicina base Nato, trovando il modo di passare una serata diversa dalle altre facendosi magari andare via la nostalgia di casa, per una volta.
Sin dal riscaldamento si nota la differenza fisica nei confronti dei nostri giocatori, il tono muscolare è diverso nelle braccia, nei polpacci, alcuni ragazzi hanno una combinazione tra stazza e velocità di piedi impressionante e chissà, magari qualcuno di loro non ha ancora terminato di svilupparsi completamente. I Tigers si allenano con ordine sotto le direttive dello staff, tirano, appoggiano a canestro, schiacciano, eseguono uno contro uno in palleggio per oliare i fondamentali. Dopo ogni piccolo esercizio di danno il cinque, si cercano, si lanciano sguardi d’intesa. Magari non tutta la stagione sarà così, ma è una cosa bella da vedere da fuori. Si vede che sono appartenenti ad un college e si vede che gli individualismi non sono molto di casa. O almeno questa è l’impressione che viene suscitata.
Poi si parte, ed è chiaro lo strapotere fisico che può mettere un campo un ragazzo come Landry Nnoko, che in seguito si scoprirà venire dal Camerun ed essere il cugino di Mbah-Moute, un true frashman di 2.08 il cui ruolo ideale è sicuramente quello di centro, che mette in mostra dei buoni fondamentali – tuttavia migliorabili perché macchinosi – con qualche movimento offensivo di rilevanza sotto canestro ed una facilità visibile nell’andare a rimbalzo o alla stoppata. E’ veloce di piedi e difende piuttosto bene, e sembra avere una buona strada davanti a lui vista la stazza ed i mezzi atletici, si mangia il campo in un amen quando c’è da ripartire, e sa passare il pallone senza forzare cose che non sono necessarie.
Sono piccoli aspetti del gioco ma significativi, e ci perdoneranno i nostri ragazzi, cui va il plauso per una prestazione davvero buona, se ci siamo soffermati a guardare quasi ed esclusivamente che cosa avevano da farci vedere i ragazzi venuti dal Sud della Carolina.
E rimane così il ricordo della facilità estrema di palleggio di Jordan Roper, una guardia leggerissima che a livello collegiale immaginiamo troverà corpi più pesanti addosso a cui sbattere in penetrazione, ma che possiede una velocità fulminante ed un dribbling ad occhio nudo impressionante, oppure il fisico del pari ruolo Rod Hall, distinguibile per il fascio di treccine raccolte in una lunga coda, un piccolo armadio al secondo anno che fa notare il suo bisogno di migliorare qualche decisione ma che a livello fisico è nettamente superiore al resto. Bello notare l’acerbità di qualche giocatore come il freshman Austin Ajukwa, ancora da sgrezzare a livello tecnico soprattutto offensivamente, ma che si muove come una pantera ed ha degli istinti difensivi già avanzati, fa delle piccole cose che contano ed è chiaro che la base su cui lavorare c’è tutta, e può venirne fuori un buonissimo giocatore per il futuro della squadra. Viene infine da sorridere quando si viene costretti a rifugiarsi nel luogo comune dando un occhio ai pochissimi minuti di Carson Fields, che si ritrova ad essere l’unico ragazzo bianco della formazione e che non mette quasi piede in campo in una partita senza validità ufficiale, che fa pensare a quali possibilità avrà di scendere in campo quando i giochi si faranno seri.
Ma la serata se l’è comunque portata via K.J. McDaniels, che ci ha fatto vedere tutto il suo bel repertorio, mettendoci un minimo di pepe ed un po’ di sfrontatezza. Salti di un’irrisorietà imbarazzante, stoppate a due mani con recupero, viaggi da una parte all’altra del campo che sembravano essere completati con non più di cinque o sei passi, tante giocate eseguite con un’invidiabile freschezza atletica, con la sicurezza di chi sotto sotto, ma neanche tanto, sa di essere un po’ più forte anche dei suoi compagni, un ragazzo che incanta con le sue giocate non solo per quelle cose che poi vanno inevitabilmente a finire negli highlights, ma anche per un tiro da tre che quando i piedi sono piazzati bene entra spesso e volentieri, specialmente dagli angoli.
Con l’immagine di McDaniels premiato come miglior giocatore della manifestazione si chiude una serata magica, nella quale per un paio d’ore è sembrato di trovarsi da un’altra parte, in qualche palazzetto disperso nella vasta America del Nord alla ricerca di qualche talentino sconosciuto, per capire le sue potenzialità future, per osservare da vicino quella che è un’organizzazione quasi maniacale anche al di fuori del campo, dove non sfugge il minimo particolare, e la precisione nei dettagli è alla base di tutto.
Quindi, tornando a casa graziati da una brezza fresca arrivata grazie anche alla pioggia mattutina, continuano ad insediarsi nella nostra testa pensieri su quello che si è appena visto e su quello che sarà, ci si rende conto di aver visto dei ragazzi che si portano appresso delle storie diverse e sconosciute, ognuno con il proprio differente percorso di reclutamento, qualcuno che già ha messo piede in campo e si è misurato con la competizione della Ncaa e della Acc, qualche altro che spera che questa serata gli sia stata utile al rientro negli States, dove magari riuscirà ad entrare nella rotazione ed a strappare qualche minuto in più di presenza in campo.
E chissà, anche se le possibilità sono davvero ridotte auguriamo a qualcuno di questi ragazzi un brillante futuro in qualche squadra professionistica, non necessariamente americana, anche se è troppo stuzzicante pensare che in una certa serata d’agosto, aspettando quelle benedette ferie, potremmo aver inconsciamente visto quella futura stella Nba che ieri sera ancora in pochi conoscevano all’epoca e che vestiva una maglia viola ed arancione con l’orma della tigre stampata sopra, e che tutto questo è successo a pochissimi chilometri da casa.
Un sogno diventato realtà, per il quale non può mancare un grosso ringraziamento a chi è riuscito ad organizzare tutto.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.
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