Prima di tutto e dico PRIMA DI TUTTO e ripeto PRIMA DI TUTTO chiedo cortesemente attenzione a qualche magnate della cultura disposto a investire soldi nel futuro di un giovane italiano.
Mi presento, mi chiamo Davide, frequento l’università e questo è appena il mio terzo articolo per Playitusa. Nonostante la giovane età mi ritengo un ottimo candidato per un trasferimento a Dunk City, Florida. In un non meglio precisato luogo del golfo costiero dello Sunshine State potrei senza dubbio lavorare in un clima di distensione, austerità, e lontananza abissale da qualsiasi luogo in cui rischierei di veder passare ragazze in bikini esattamente sotto al mio dormitorio.
*Ehi ciao Melanie! Sì scendo subito a fare un tuffo. Aspetta che piglio lo speedo con quel cazzutissimo logo degli Eagles e sono subito da te!*
Sì, dicevo. Appunto ecco potrei lavorare in distensione alla mia tesi sull’importanza dell’alley-oop nella civiltà mediatica contemporanea con breve approfondimento sulla storia della “chicken-dance” e le sue implicazioni socio-culturali a partire dagli albori Est Europei, passando per la Bloodhound Gang e giungendo infine all’amato BirdMan Andersen.
E che ne se dovrebbe fare di una cosa del genere, mi sta urlando questo in faccia?
Oh la verità, mio illustre mecenate, è che io non ho la più pallida idea di che utilità pratica possa essere un investimento monetario di questo genere. Le posso solo dare un consiglio, dalla mia bassa condizione di universitario squattrinato e irregolare. Ci sono ragazzi là fuori (e uno l’ha conosciuto proprio un nostro conterraneo, Andrea Beltrama PhD student at the University of Chicago, lui per davvero non come Oscar SuperTramp Giannino) esattamente come me.
Che invece di star qui davanti a un computer con bucce di mandarino dovunque e libri macchiati di sostanze indefinite e indefinibili sono a Philly a insegnare l’Amore per il gioco e la passione spensierata di chi suda sui campetti.
Oh no, non venitemi a dire che FGCU non è la migliore Cinderella story di sempre eh! Non vi azzardate.
Questi in una gara di shortini in spiaggia fanno il culo a Butler. Per andare a cazzeggio il sabato imballati duri chi vorreste scegliere, fatemi capire. George Mason?! (dai, nome troppo serioso, saranno snobbettini!)
Intanto gli Eagles la storia l’hanno già fatta. Prima #15 ad arrivare alle Sweet 16.
Tra un Kenneth Faried nel corpo di un tiratore e una posa statuaria sul tavolo dei commentatori. Un frizzo qui, uno là. Un alley-oop su che Chris Paul è da 2 giorni chiuso in casa a cercare di capire come abbiano fatto, un altro giù che dicono che Blake e DeAndre ultimamente passino le serate insieme a piangere sul divano sparandosi Bridget Jones per un record mondiale di ben 10 (DIECI!!) volte consecutive.
Stanno facendo tutto a modo loro, di certo non sono sobri nelle esultanze ma irresistibili sul campo. Stupiti ma consci del loro valore.
Sapete chi mi ricordano? La U, quella squadra di football che tra gli anni ’80 e ’90 schiantava la concorrenza e glielo faceva sapere clear and loudly.
Un po’ meno sfacciati e criminali, più come ragazzi di provincia che vivono dentro un sogno.
Le facce dell’americano medio che abbattono programmi secolari come birilli.
FGCU nasce nel 1997, solo da due anni è eleggibile per il torneo ed è – al momento ovviamente – l’unica squadra imbattuta nell’NCAA tournament.
Hanno un coach con lo spacco tra i denti che sembra lo zio buono che ti porta le caramelle il primo dell’anno. Con una moglie ex-modella sempre presente sugli spalti che ragazzi, è meglio lasciar stare se no non ci concentriamo sulla partita. Un ragazzo svizzero che come tanti est-europei ha tentato la fortuna oltreoceano, quasi per caso.
Un giorno qualcuno ci scriverà un libro. Intanto, ad attenderli trovano per uno scherzo del destino i cugini maggiori di Florida, quella di Billy Donovan vincitrice di due titoli nazionali. Oh avete capito per chi tiferò?
Now, let’s get serious baby! (à la Dick Vitale)
ILLUSIONI A KANSAS CITY. ROY WILLIAMS E I FANTASMI DEL PASSATO
#1 KANSAS JAYHAWKS – #9 NORTH CAROLINA TAR HEELS 70-58
Per un tempo è sembrato possibile. Ma non ce l’ha fatta.
Roy Williams ancora non è riuscito a sconfiggere i demoni del suo passato a Lawrence.
Dopo un primo tempo che a detta di Coach Self è stato giocato senza intensità, concedendo di tutto agli avversari i Jayhawks hanno girato totalmente la partita, guidati da uno stellare Withey da 16 punti 16 rimbalzi e 5 stoppate (era dai tempi di Duncan che non si vedeva qualcosa di simile al Torneo). Storie di due metà, che siano del cuore – Ol’ Williams il giorno prima aveva affermato che Kansas rimarrà sempre la sua seconda squadra preferita, e, coerentemente con le sue parole, ha concesso loro tutto il secondo tempo. Tirando col 30% dal campo in qualsiasi caso raramente si va lontano.
La line-up piccola contro la fisicità dei lunghi di Kansas non ha decisamente pagato. Bullock (1-7) e McAdoo (5-19) cancellati dalla partita, mai in ritmo. Nota, non tanto a margine. Se i Jays sopravvivono con relativa facilità a una serata da 0-9 di McLemore, prepariamo le valigie per Indianapolis lasciando magari un po’ di spazio per un ricordino.
I WOLVERINES SI PRENDONO IL VELLO D’ORO AL PALAZZO DI AUBURN HILLS. ORA FANNO SUL SERIO?
Una boccata d’aria per gli eredi dei Fab-Five. Era dal 1994 che Michigan non arrivava alla Sweet 16, un fatto inaccettabile per un programma d’èlite della conference più forte d’America.
Rams irriconoscibili rispetto al match-passeggiata con Akron, anzi esattamente dall’altra sponda del campo del massacro. A non funzionare è principalmente la full-court press (il già citato havoc) di Coach Smart.
Generano palle perse è vero (12), ma non riescono a convertire. Il merito di Beilein è stato di costringere gli avversari a difendere a metà campo dove la stazza maggiore del college della Big 10 è riuscita a generare continui mismatch d’altezza in ogni ruolo. Alla fine il conto a rimbalzo sarà di 41-24 merito sopratutto di una mosca bianca per la maggior parte della stagione, Mitch McGary. Classico lungo bianco ben piazzato tira con uno straordinario 10 su 11 e imbarazza la concorrenza del reparto lunghi di VCU con 14 rimbalzi.
Il ragazzone dà il merito della sua prestazione alla sua mentalità da football, cresciuto come blue-collar. Sì gregario, ma assai di lusso.
Burke e Hardaway creano continue minacce dal perimetro ma anche andando dentro. Per gli sconfitti da segnalare un Reddic da 16 punti e poco altro.
Domanda. E se i Wolves fossero tornati quelli di inizio anno? Con Kansas sarà un match-up stellare tra McLemore e Burke.
TROVANO L’ACQUA NEL DESERTO. I GATORS SEMBRANO ADATTARSI AD OGNI AMBIENTE, CAMALEONTICI.
#3 FLORIDA GATORS – #11 MINNESOTA GOLD GOPHERS 70 – 58
Oh mamma e adesso che si fa? Non sarà che questi vogliono arrivare ancora in fondo? Ogni anno Donovan ne trova una, ogni partita un giocatore diverso fa quello step-up decisivo.
Ieri è stato Mike Rosario con un 6-9 da 3 a condizionarla pesantemente.
Combinato a un impressionante 57% dal campo i Gators se ne vanno via velocemente uscendo dagli spogliatoi per il secondo tempo con un parziale di 9-0 che spacca in due la partita. Da quel momento è gestione e controllo del vantaggio, che il solo sparare dalla linea di 3 di un effervescente Hollins riesce a ricucire parzialmente. Ciò che impressiona di Florida è la loro abilità di adattarsi a ogni situazione in difesa.
Frontline lunghe, corte, atletiche, tiratrici, play rapidi, ragionatori.. niente mette i Gators davvero in difficoltà. Anche in un anno in cui Donovan non ha talenti eccezionali sembra poter giungere alle Final Four in a laughter.
Oh brother are you gonna leave me wasting away
On the streets of Philadelphia.
Così cantava l’immortale Bruce. Certo se pensiamo a un Tom Hanks morente di AIDS nella famosa pellicola “Philadelphia” appunto, l’immagine calza a pennello. Solo che Bruce non aveva ancora conosciuto gli Eagles, che sono tutto tranne che soli. Anzi, sono oramai i “cocchi” d’America, la Cinderella più improbabile della storia di questo sport.
Non la prendono troppo seriamente ma Thompson e Brown (23 e 17 punti) sono alla guida di una realtà che può scombinare seriamente le carte là davanti. I campioni della Atlantic Sun vivono di parziali in cui sembrano aver ingurgitato il fuoco sacro dell’onniscienza cestistica.
Questa volta è un parziale di 17-0 ad ammazzare gli Aztecs. Non ci fanno caso e sembrano volare a tratti sul campo ma il loro successo si basa su solide fondamenta. Innanzitutto quando chiudono le maglie in difesa non sono così facilmente penetrabili, grazie ad ali versatili e mani attive sotto le plance. Se in attacco poi continuano a tirare col 56% sono un no-match per qualsiasi avversaria.
La schiacciata di McKnight ha reso FGCU gli Eagles più popolari in città, davanti alla deludente franchigia NFL.
Per ora dicono di giocarsela alla giornata, senza nulla da perdere. E se avessero qualcosa da vincere?
Studente cesenate, adepto del gioco da campetto. Ho scoperto il basket tardi e non ho rimediato all’autolesionismo innamorandomi a prima vista di Brandon Roy e dei Blazers. Credo nel Rasheedesmo come unica religione e in Buffa come maestro di vita. Passione sfrenata per la March Madness, che mi toglie ore di sonno e di vita ma mi dona l’essenza vera di questo sport. Izzoboy per fulminazione.