Tre gare nella notte NBA.
Successi casalinghi per Charlotte e Portland mentre Dallas va ko a Chicago sotto i colpi di Derrick Rose.
Vediamo com’è andata.
Sono passati soltanto tre mesi dall’inizio della stagione regolare, poco meno di una quarantina di partita, nemmeno metà stagione eppure sembrano già delinearsi quali potrebbero essere i futuri candidati al titolo personale più ambito all’interno della Lega. Il trofeo di MVP.
Da due anni a questa parte, il padrone indiscusso della baracca (la regular season) è stato l’ex numero 23 in maglia Cleveland, l’odierno 6 con la canotta degli Heat: LeBron James ha dominato, letteralmente dominato, le 164 partite di stagione regolare, infrangendo tutti i record di franchigia (compito non molto arduo), ma soprattutto portando sulle spalle praticamente da solo un gruppo che con la sua assenza sta mostrando evidentissimi limiti strutturali.
Ora, con un “cast di supporto” di livello, per così dire, migliore dimostra quanto riesca ad essere devastante in una squadra che possa definirsi tale .
In questa stagione però, nonostante il record, ci sono diverse scuole di pensiero che ritengono non si possa assegnare ancora a lui l’MVP; le motivazioni sono forse banali ma, in un certo senso, fondate: ha compagni troppo forti, non è riuscito ancora ad innalzare il livello del roster come potrebbe, ma sopratutto, nonostante l’infinita dose di talento, l’attacco a metà campo degli Heat stenta tutt’ora a decollare.
Il suo cognome non può che suscitare commenti ed è impossibile da dimenticare.
Ha parenti illustri, da Hall Of Fame, anche se non si tratta di quella di Springfield, ma di Cleveland in Ohio e un padre, non dotato da madre natura dello stesso talento di fratello e cugini, che ha deciso di seguire un’altra carriera, quella della palla a spicchi.
Parmigiano del sasso, innamorato dello sport americano da bambino, a 4 anni sugli spalti del diamante “Europeo” del Ducato, a 6 anni per le telecronache NBA di Dan Peterson e alcuni anni dopo per quelle NFL di Flavio Tranquillo su Tele+2. Sportivamente parlando la mia seconda città è Philadelphia. In oltre 30 anni di passione sono stati più i giorni bui di quelli sereni, ma da quando sono atterrato un giorno di luglio nella City Of Brotherly Love, ho capito che nulla al mondo avrebbe nel mio cuore preso il posto di quelle 4 franchigie.