L’onorevole chiusura della vecchia tornata al cospetto dei Thunder nel primo turno di postseason aveva forse spronato David Griffin a dare l’ultima chance ad Ingram e McCollum di scalare la vetta qui nella Louisiana, prima di sacrificarli in qualche trade per rinfoltire ancora una volta il farm system. Premesso che nel caso dell’ex Lakers trovare un acquirente e soprattutto contropartite valide non sarebbe (sarà) stato facile per niente, ciò che è invece accaduto dopo è qualcosa di tragicomico.
Nel momento in cui parliamo infatti, oltre ad avere come unico obiettivo stagionale rimasto quello di tankare per “superare” Washington nell’assalto a Cooper Flagg durante il prossimo Draft, colui che avrebbe dovuto far spiccare definitivamente il volo ai Pelicans si sta accomodando sotto i ferri per riparare la lesione al tendine d’Achille.
Curiosa la storia di Dejounte Murray, forse il giocatore più sfortunato della Nba, ex progettone del futuro a San Antonio che ha invece preferito prima intasare le mattonelle di Trae Young ad Atlanta, con risultati fallimentari per lui e franchigia, poi venire qui a verticalizzare e velocizzare un gioco monodimensionale da pitturato e mid range, ritrovandosi però in infermeria dopo mezz’ora dall’opening day, ed infine alzare definitivamente bandiera bianca adesso, con la prospettiva di rientrare in campo senza avere al suo fianco più nessun giocatore da vertice. Il tutto a 28 anni suonati, un tendine riassestato alla meno peggio e il rimpianto di aver potuto formare con Wembanyama una coppia dominante nel deserto dell’Alamo!
Non che New Orleans come underdog valga meno intendiamoci, visto che i suoi tre giocatori di punta da quando sono sbarcati in questi lidi hanno sostanzialmente passato più giorni in borghese che sul campo: Williamson 197 presenze in 6 anni con uno completamente fuori, Ingram 182 negli ultimi 4 e McCollum, che a Portland non saltava mai una gara, si è qui addirittura dovuto arrendere a un collasso polmonare!
Inutile tediarvi con le penose statistiche stagionali, che fanno in pratica di Nola la peggior franchigia dell’ovest a braccetto di Utah, con la differenza che quest’ultima è in piena ricostruzione, mentre i Pelicans più che al rebuiding potrebbero essere vicini a un completo reset di un roster evidentemente costruito male e finito ancora peggio.
Partendo difatti da Zion e il suo ingresso da “prescelto” fra i Pro, possiamo oggi amaramente concludere che le prestazioni eccellenti quando in salute sono state nettamente inferiori alle assenze. Assenze che hanno precluso ogni tipo di speranza per la propria compagine, causa di cambiamenti tattici maldestri che non hanno fatto altro che confondere compagni e coach.
I 20 di media come cifra minima, i quasi 18 nel colorato e la capacità sia da point forward che in 1/1 di spiazzare le difese col primo passo per concludere al ferro al 55/60% realizzativo danno l’idea di come il playbook di New Orleans non possa prescindere dalla sua presenza.
Un fisico “grossolano”, il vizio di ingrassare facilmente, la poca attitudine psicofisica a rispettare i diktat da atleta e i continui acciacchi su una muscolatura massiccia hanno però fatto il resto, per non parlare di un carattere tutto fuorchè da leader, che paragonato a quello simile di Ingram ha spesso piazzato sul parquet due solisti da playground, uno in attesa dell’isolamento per soluzioni vintage in mid range, e l’altro in post ma sempre per una finalizzazione old style. Di modernità sotto forma di transizione e perimetro nemmeno l’ombra, per non parlare di mentalità vincente, da qui gli all-in su McCollum e nell’ultima offseason su Murray.
La permanenza di Ingram nella New Orleans del futuro è ormai improbabile e la conclusione del suo accordo quinquennale da 158 milioni viene salutato quasi come una liberazione, seppur il ventisettenne da North Carolina abbia talento da vendere e qui si sia spesso contraddistinto quale primary scorer, specialmente al debutto del 2019, dove divenne All Star e soprattutto Most Improved Player, riabilitandosi perciò dalla “epurazione” di LeBron, quando per Davis i Lakers rinunciarono alla allora seconda scelta assoluta da Duke.
Salutare Zion non avrebbe senso, in primis perché le festose grida del 2019 ad accogliere il sorteggio sulla first overall saprebbero di beffa incredibile, secondo perché fino al 2028 i 163 milioni garantiti rappresentano un investimento da onorare e su cui imbastire intorno il futuro, ed infine perché un baratto odierno sarebbe certamente al ribasso per Nola, che non potrebbe far altro che svalutare un talento generazionale ed incontrastabile quando in salute ma palesatosi un colosso d’argilla, che perciò verrebbe sostituito a condizioni sfavorevoli.
Attorno a lui i nomi su cui investire sono pochi ma sicuri, e prendono il nome di Trey Murphy, Jordan Hawkins, Herb Jones, Brandon Boston e soprattutto Yves Missi, centro rookie da 211 cm iper atletico e, lui sì, ricco di personalità, capace di stoppare fino al perimetro e concludere nel pitturato giochi a due spettacolari che rimandano proprio al suo più celebre compagno da Duke.
Senza nulla più da chiedere ad una stagione così tribolata infatti, ai giovani poc’anzi accennati – 23 anni di media – si concedono responsabilità maggiori che stanno facendo loro guadagnare fiducia nei propri mezzi e minuti sul parquet, con Murphy, già bloccato fino al 2029, oramai prima opzione offensiva e versatile creatore di spazi nonché catch and shooter credibile, oltre che defender su tre ruoli come Jones, perentorio assieme a Boston dal campo col quasi 44%, mentre Hawkins può raffigurare quel tiratore dal palleggio che qui non si vede da tempo.
La strada dinanzi a questi ragazzi sarà lunga e tortuosa, specialmente perché, contratti alla mano, i due big a cui si dovranno appoggiare e sui quali vertono le speranze di ricostruzione di New Orleans entro il 2029, Williamson e Murray, hanno una storia cestistica tutto fuorchè che costante e fortunata, e quindi potrebbe costringerli ad almeno un altro paio di stagioni perdenti e senza stimoli.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.