La stagione 2022-23 ha visto i Sacramento Kings riconquistare i playoff dopo più di quindici anni da non augurare a nessun tifoso. Era dal 2006 (eliminazione al primo turno da parte dei San Antonio Spurs di Duncan-Parker-Ginobili) che non arrivava la postseason, diciassette anni mai sopra le 40 vittorie stagionali, con scelte di costruzione del roster dallo sfortunato allo scellerato e il rischio della relocation a Seattle scongiurato per un soffio.

In questi anni i Kings hanno raggiunto i niente affatto invidiabili record di essere la squadra con più sconfitte nella NBA (dato però condizionato dal fatto che la franchigia è una delle 8 che partecipano alla lega sin dal suo primo campionato) e soprattutto della più lunga assenza dai playoff non solo nella pallacanestro americana, ma includendo anche il baseball della MLB, il football della NFL e l’hockey della NHL.

La fine dell’incubo ha prodotto solo un’eliminazione al primo turno, come nell’ultima apparizione dei Kings ai playoff, ma in una serie in cui ai Golden State Warriors campioni in carica sono comunque state necessarie 7 gare per avere ragione della Sacramento di Mike Brown, loro vice-allenatore fino all’anno precedente e insignito del premio di Coach of the Year.

Il pubblico caloroso e affezionato della Arco Arena aveva quindi molte ragioni per esultare potendo coltivare la speranza che quell’estate 2023 potesse essere il punto di partenza per una squadra stabilmente competitiva. In effetti tra le accreditate a disputare la postseason dei due anni successivi nella Western Conference gli analisti e appassionati del globo non hanno potuto esimersi dall’inserire, o quantomeno dal considerare, anche i Sacramento Kings.

Mike Brown, allenatore dei Kings dal 2022 e Coach of the Year 2023

Mike Brown, allenatore dei Kings dal 2022 e Coach of the Year 2023

La conference occidentale però è sempre una giungla impervia e le cose non sono andate finora del tutto come i tifosi Kings speravano.

Il 2023-24 non ha portato più dell’approdo al play-in tournament pur iniziato con l’eliminazione dei Warriors nella rivincita dei playoff precedenti che ha segnato la fine dell’epopea Splash Brothers (è noto come sia stata l’ultima gara di Klay Thompson in maglia Golden State) ma concluso con la sconfitta subita dai New Orleans Pelicans. Tornare in alto è difficile, restarci è difficilissimo.

Veniamo quindi al presente, in un periodo potenzialmente buono per i Kings reduci da due vittorie schiaccianti: prima il +27 rifilato a domicilio agli Spurs, poi addirittura la vittoria di 44 punti nella mattanza ai danni degli Utah Jazz. Due W che rappresentano però, unendoci magari la vittoria in casa contro la lanciatissima Houston due gare prima di quella con San Antonio, quasi una boccata d’ossigeno per una classifica che cominciava a farsi preoccupante.

I Kings attualmente sono infatti quartultimi nella graduatoria della Western Conference con un record di 12 vittorie e 13 sconfitte che prima delle ultime 4 gare (le tre vittorie citate inframezzate dalla sconfitta tutto sommato accettabile contro i Memphis Grizzlies) era di 9-12. Un bottino non certo ricco che basta solo ad essere sopra a due squadre con più ambizioni di tanking che di vittoria come i Portland Trail Blazers e gli stessi Utah Jazz e ai New Orleans Pelicans che sono stati cestisticamente sterminati dagli infortuni tanto da dover scendere in campo con quintetti da G-League.

Il campionato è lungo e prevede peraltro la pausa per l’NBA Tournament, a cui però la mancata qualificazione rappresenta un ulteriore passo indietro rispetto allo scorso anno quando invece i Kings furono tra le squadre partecipanti alla prima edizione del torneo invernale. E una squadra che vuole diventare stabilmente una candidata ai playoff dovrebbe fare invece passi avanti.

Ad ogni modo le possibilità di invertire il trend ci sono senza dubbio anche considerando che Sacramento arriverà alla succitata pausa in un periodo con risultati favorevoli, sebbene contro squadre tutt’altro che irresistibili come Spurs e soprattutto Jazz. Rimane però il fatto che in diciassette mesi e un terzo successivi ai playoff 2023 i Kings non sembrano aver fatto progressi significativi per emergere davvero nella Western Conference.

Nell’analizzare questi mesi voglio subito partire dallo spettro che aleggia nuovamente minaccioso sui tifosi e che li ha martoriati per tanti anni, quello delle scelte sbagliate in fase di mercato.

In particolare parliamo della decisione di non puntare su Tyrese Haliburton, dodicesima scelta del draft 2020, ceduto agli Indiana Pacers l’8 febbraio 2022 poco prima di compiere 22 anni: Haliburton stava mostrando un potenziale enorme (tre giorni prima della trade smazzò 17 assist contro gli Oklahoma City Thunder ancora in rebuilding) ma non era ritenuto affiancabile alla stella della squadra, e tuttora scorer di riferimento del backcourt, De’Aaron Fox.

Col senno di poi siamo tutti bravi a parlare, compreso rimarcare come Haliburton, dopo un grandissimo (a livello personale) mondiale 2023 con Team USA, sia oggi una stella NBA e abbia portato i suoi Pacers alle finali di Conference (che i Kings hanno disputato solo due volte nella loro lunghissima storia) dove hanno subito un 4-0 dai Boston Celtics poi campioni ma andando vicinissimi alla vittoria in tre delle quattro gare.

All’epoca però fu proprio quella trade a portare di fatto Sacramento ai playoff, non solo liberandoli di un Buddy Hield che ormai non sembrava più (se mai lo sia stato) un giocatore da squadra vincente ma soprattutto portando in maglia Kings Domantas Sabonis che a suon di punti e rimbalzi ha trascinato la sua squadra, insieme a Fox, alla rottura della maledizione-playoff. Se quindi i Kings hanno rinunciato a una stella dell’immediato futuro non si può dire che questo affare raggiunga i livelli grotteschi di altri del passato, ultimo ma non ultimo la rinuncia a Luka Doncic in favore dell’oggetto misterioso Marvin Bagley III.

Domantas Sabonis, 15.9 punti e 10.8 rimbalzi di media in carriera

Domantas Sabonis, 15.9 punti e 10.8 rimbalzi di media in carriera

Andando a vedere piuttosto chi circonda Sabonis e Fox nel tentativo di costruire una squadra da playoff notiamo una serie di mosse interessanti in offseason che però hanno mantenuto solo in parte le promesse non riuscendo a garantire un’ossatura di squadra affiatata e in grado di fare la proverbiale forza con l’unione.

Prendiamo ad esempio il tiratore Kevin Huerter, preso nell’estate 2023 dopo aver mostrato ottime cose ad Atlanta dove insieme a Trae Young e a una squadra a sua volta ottima ma non in grado finora di confermarsi aveva trascinato gli Hawks alle finali di Conference 2021.

Huerter ha iniziato la sua militanza a Sacramento tirando con oltre il 40% da tre su quasi 7 tentativi nel 2022/23 dei playoff ma poi è andato sempre calando, anche a causa di svariati guai fisici che gli hanno fatto peraltro saltare la preparazione di quest’anno, passando al 36.1% dall’arco dello scorso anno fino ai due mesi della stagione attuale in cui prima del 10/13 nelle triple delle ultime due vittorie (4/4 contro gli Spurs) aveva visto crollare la sua percentuale a un pessimo 27.2%. Davvero poco per un giocatore che non fa molto altro rispetto al tirare da fuori: non va mai in lunetta (solo 15 liberi finora in stagione, tra l’altro con 6 errori) e non è mai stato un difensore.

Il rossocrinito Kevin paga una situazione vista fin troppe volte in passato in casa Sacramento: l’affiancamento con un giocatore con cui non si accoppia bene, in questo caso Keegan Murray titolare del backcourt californiano fin dal suo approdo in maglia Kings dal draft 2022 in cui fu la quarta scelta assoluta. Sebbene Murray tiri giù 7.6 rimbalzi con varie doppie cifre all’attivo (venendo infatti impiegato soprattutto come giocatore d’area) il nativo dell’Iowa prende le stesse conclusioni dall’arco dell’ex Hawks tirando 5.5 triple a gara (Huerter ne prende 5.8) con gli stessi, scadenti risultati: 29.2%.

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A questo attacco che non gira benissimo come testimoniato dalle succitate percentuali si è aggiunto quest’anno DeMar DeRozan, mossa principale della offseason Kings e reduce dal grande periodo ai Chicago Bulls che ha rappresentato per lui una vera seconda giovinezza.

DeRozan sta facendo ampiamente il suo anche in maglia Sacramento mettendo a segno 22.5 punti a gara col 50% da due e con il suo midrange che ha ancora pochissimi rivali nella NBA attuale; se sul rendimento dell’ex stella dei Raptors c’è poco da eccepire i dubbi salgono però se pensiamo che di fatto nel quintetto di Mike Brown ha preso il posto di Harrison Barnes.

Quest’ultimo aveva un ruolo nettamente diverso e probabilmente più funzionale: quello di equilibratore e giocatore d’esperienza in grado all’occorrenza di prendere conclusioni anche importanti e sgravare i principali realizzatori da qualche responsabilità di troppo. Certo, Barnes era nettamente in fase calante, ma sostituirlo con DeRozan che pur ritrovatosi a Chicago resta un 35enne che ha sempre fatto il realizzatore non si è rivelata la scelta giusta.

DeMar DeRozan, grande realizzatore, ma era quello che serviva ai Kings?

DeMar DeRozan, grande realizzatore, ma era quello che serviva ai Kings?

Tant’è che il succitato ruolo di equilibratore grava completamente sulle spalle di Malik Monk, anche lui come Huerter spesso alle prese con infortuni anche gravi e che senza Barnes rappresenta ora il principale difensore sulle ali avversarie. I risultati sono anche apprezzabili ma è chiaro quanto Monk sia talvolta troppo solo nel suo compito col risultato che la difesa Kings, pur improntata sul sistema che Mike Brown cerca di costruire sin dai tempi di Cleveland, occupa un mediocre sedicesimo posto tra quelle che concedono meno punti in NBA con 113.2 punti subiti a gara.

Abbiamo quindi una Sacramento la cui costruzione lascia molti dubbi e che non riesce quindi a tesaurizzare la doppia doppia di media in carriera di Domantas Sabonis, cresciuto anche in difesa pur non essendo un rim protector d’élite. In molti casi ci si è messa anche la sfortuna con i vari stop che abbiamo descritto sopra a cui si unisce anche quello di Trey Lyles, prezioso in uscita dalla panchina ma fuori dal 27 novembre per uno stiramento al polpaccio. Per ultimo però abbiamo lasciato l’aspetto che inizia ad essere più preoccupante: il vero impatto di De’Aaron Fox.

Il play-guardia di New Orleans, 27 anni il prossimo 20 dicembre, è il leader designato dei Sacramento Kings fin da quando fu scelto alla quinta assoluta nel draft 2017. Questo è il suo ottavo anno in California e in questo periodo sia Tyrese Haliburton sia, a quanto è stato detto a posteriori, Luka Doncic sono stati lasciati liberi di accasarsi altrove per non intaccare il suo status di go-to-guy.

Il fatturato offensivo non è mai mancato: 25 di media (e convocazione per l’All Star Game) nel 2022/23, 26.6 l’anno dopo, 26.4 in queste prime settimane di stagione. I punti però devono anche essere incisivi quando conta e per Fox questo non è sempre accaduto, anche considerando che non tira moltissimi liberi (5.5 in carriera, mai sopra i 6 di media dal 2020/21) e che quest’anno tira da tre punti col 33.1%, in media col 33.4% della sua militanza NBA.

Ma soprattutto se Huerter tira con meno del 30% da tre, Murray anche e possiamo aggiungere DeRozan, che tira poco dall’arco (2.2 tentativi quest’anno) ma li mette comunque col 27.2%, la responsabilità è sicuramente di un backcourt non costruito benissimo, altrettanto sicuramente dei problemi fisici degli interpreti in campo, ma almeno in parte va attribuita anche a chi quell’attacco deve farlo girare a dovere in campo.

Fox non si è dimostrato un passatore d’élite (6.1 assist in carriera) e ha invece palesato la tendenza a costruire per sè prima che per gli altri, con risultati buoni, ma che i dati elencati finora non consentono di definire ottimi.

Ad oggi i Sacramento Kings sono una squadra di giocatori che non riescono ad esprimersi al meglio con il go-to-guy che ha raggiunto l’età della maturità cestistica senza rivelarsi una vera stella come invece è accaduto per chi è stato ritenuto meno adatto di lui per il bene della squadra. Il risultato attuale è il dodicesimo posto con lo stesso numero di vittorie dei Minnesota Timberwolves e dei Phoenix Suns che occupano la decima piazza, ultima tra quelle valevoli per il play-in tournament, e che però hanno due gare in meno; non il massimo, ma allo stato attuale il torneo di qualificazione ai playoff sembra davvero un punto di arrivo per i Kings piuttosto che di partenza.

 

 

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