L’attuale versione degli Houston Rockets prende vita dalle ceneri rimaste dopo quel gennaio 2020, quando, non troppo tempo dopo l’infame gara-7 che aveva promosso alle Finals i Warriors, l’aria di divorzio tra James Harden e il Texas si era fatta insopportabile. All’epoca si trattava di una franchigia senza alcun tipo di speranza, composta da mestieranti e giocatori demotivati, chiaramente consci del loro limitato ruolo in un quadro complessivo che non forniva aspirazione alcuna, se non quella di ottenere una delle primissime posizioni del draft successivo. E per qualche stagione così è stato, ricostruendo con pazienza e lungimiranza, collocando ciascuna delle sette prime scelte ottenute con la massima attenzione, sviluppando il nucleo che oggi sta a sorpresa occupando, al momento della scrittura dell’articolo, la terza posizione della temibile Western Conference a quota 11-5.
La trasformazione da attiva frequentazione del baratro Nba ad attuazione sul campo di un futuro migliore è già in essere. Ora resta da stabilire quali siano i possibili margini di miglioramento del talento fatto crescere in casa negli ultimi tre anni, comprendere se sia davvero questo il gruppo ideale per creare ambizione di poter competere per un titolo consolidando le decisioni prese, oppure se vi siano ulteriori manovre da eseguire rendendo nuovamente Houston un luogo attraente per qualche superstar bisognosa di una fresca ripartenza. Scegliere quale direzione del bivio percorrere non è molto urgente oggi, ma potrebbe diventarlo presto. Il sorprendente inizio di campionato del team allenato da Ime Udoka, ha se non altro aggiunto curiosità rispetto ai traguardi su cui si possa effettivamente puntare con l’attuale conformazione.
Parte delle indicazioni è stata certamente fornita dalla doppia mossa che la dirigenza ha effettuato nei confronti dei due elementi di spicco del roster, Alperen Sengun e Jalen Green, due casistiche completamente diverse tra loro, per le quali è stata assicurata la necessaria stabilità economica nel medio termine. Il turco, furto con scasso più clamoroso della tornata di scelte griffata 2021, è inaspettatamente divenuto l’uomo-franchigia che nelle previsioni doveva essere proprio Green, grazie a una campagna scorsa conclusa con 21 punti, 9 rimbalzi e 5 assist di media prima dell’infortunio alla caviglia dello scorso marzo. Il GM Rafael Stone, fruendo dei vantaggi contrattualistici pro-franchigia derivanti dalla lussuosa selezione esterna alla lotteria, ha chiuso un nuovo accordo quinquennale con le rappresentanze di Sengun a cifre inferiori rispetto al massimale possibilmente previsto per il prolungamento dei contratti dei rookie (nel caso specifico, 225 milioni di dollari), assicurandosene i servigi per 185, determinando un’occupazione del salary cap di squadra del solo 21%, un affare di non poco conto se cucito addosso all’effettivo miglior uomo che il roster possa schierare. Nel mentre della ricerca di una continuità offensiva più stabile, pur vedendolo siglare il season-high di 31 punti contro Indiana, il centro dei Rockets ha mostrato interessanti progressi dal punto di vista difensivo, trovando quindi modo di impattare positivamente il gioco anche quando l’efficienza in attacco non è quella desiderata, fornendo un’adeguata protezione del ferro grazie alla presenza in area, aumentando sia il numero di rimbalzi catturati (11.1, per ora massimo di carriera) che le stoppate mediamente piazzate di sera in sera, giunte oggi a quota 1.3.
La situazione di Green è invece assai differente, perché tali sono le aspettative per un giocatore ancora giovanissimo e soggetto ad ulteriori margini di miglioramento, ma pur sempre chiamato alla seconda assoluta, e atteso a quel passo decisivo nel prendere definitivamente in mano sorti e leadership dello spogliatoio, mutando un pò alla volta in quella possibile stella che il talento indica possa essere un obiettivo perseguibile. Jalen ha invece firmato un accordo inconsueto, che lo lega a Houston per altre tre stagioni con una player option per l’ultimo anno, una sorta di scommessa effettuata da ambo le parti, nel tentativo di comprendere la concretizzazione di questa auspicata crescita. Un’arma a doppio taglio, che potrebbe vedere Green progredire esponenzialmente e chiedere più dei 30 milioni annui che riceverà sicuramente nei primi due anni del nuovo contratto, a Houston o a chiunque altro, e che in caso contrario potrebbe far vivere una sorta di pentimento al settore manageriale della franchigia, nel caso il giocatore dovesse rimanere ciò che è all’attualità.
La valutazione di Green, infatti, è quanto di più complicato possa esserci da snocciolare. Non troppo esposto nelle vesti di condottiero per comprensibili ragioni anagrafiche, il numero 4 ha vissuto momenti di maturazione personale e mostrato potenzialità intriganti, tuttavia solo per un periodo limitato di tempo. Il ricordo del marzo 2024, con i Rockets in netta rimonta dal record perdente precedentemente registrato, è ancora fresco, e aveva dipinto esattamente l’affresco in grado di rispettare tutto ciò che il talento del giovane aveva proiettato su di sé, facendo pensare che l’angolo fosse stato svoltato una volta per tutte. Quel Jalen aveva infatti segnato quasi 28 punti di media, si era preso a mani basse il titolo di giocatore del mese della Western, tirava con il 41% dalla distanza ed era chiaramente stato l’Mvp di quella rincorsa che aveva portato i Rockets a una discreta linea di galleggiamento tra vittorie e sconfitte, a debita di distanza dalla pena vissuta da quando il Barba aveva salutato la compagnia.
Chi si attendeva una ripresa di quel tipo di rendimento è sinora rimasto più deluso che altro, nel senso che la stagione è iniziata certamente con ottimi auspici nelle primissime uscite, ma il prosieguo ha riportato l’attenzione al peggior incubo di Houston, quell’altalena così instabile tra vertici intriganti e punti più bassi, rispolverando il ricordo delle permanenze in panchina nei quarti periodi dell’anno scorso, soprattutto a causa dell’inefficienza difensiva del soggetto, e di quel giocatore ancora molto insicuro nella cura della selezione di tiro, sia dall’arco che all’interno del pitturato. Le lodi estive, ricevute da molti addetti ai lavori, non sono dunque riuscite a cancellare gli enormi dubbi che molti dirigenti e allenatori attinenti al circolo professionistico non riescono ancora a dissipare, nel tentativo di capire che tipo di performer e leader Green possa essere. Per il momento si sono visti solo gli sprazzi, e il ragazzo di Fresno, California, non solo sta giocando per un contratto ancora più lucrativo in futuro, ma soprattutto per dimostrare di poter appartenere ai piani texani sul lungo termine, diventando l’essenza più rappresentativa di una franchigia che vuol tornare a vincere a trent’anni esatti dal primo titolo. Per giungere a ciò, è necessario lavorare ancora molto, e di sicuro oggi non siamo nemmeno a distanza di tiro dallo status di perennial All-Star che un talento atletico del genere dovrebbe realizzare, prima di diventare spendibile per giungere a qualcuno di già comprovato ad altissimi livelli.
Prima o poi Stone dovrà infatti valutare a fondo tanto i margini di crescita, quanto la possibilità di tramutarli in preziosi asset per mettere le mani su qualche pezzo grosso. Il discorso non può non inglobare anche Jabari Smith Jr., altro componente della ricostruzione sul quale è stata investita la terza selezione assoluta del draft 2022, il quale ad Auburn era conosciuto per essere un tiratore dotato di una buonissima meccanica con tanto di ottima velocità nel rilascio, ma che proprio nel settore triple sta faticando non poco, in particolare quando gli vengono create golose aperture di visuale. Si può certamente discutere che Smith, in una realtà diversa, godrebbe di maggiori opportunità e potrebbe essere almeno una seconda opzione offensiva, pure lui tende a mischiare serate di pura grazia – vedasi i 28 punti e 11 rimbalzi messi assieme contro i Clippers lo scorso 15 novembre – a serate di anonimato e agonia al tiro, come attestato da un 31.5% da tre che lascia poco spazio alla discussione, e al misero 15% da oltre l’arco nelle cosiddette open looks, ovvero in tutte quelle circostanze in cui la circolazione di palla gli fa maturare un tiro completamente indisturbato. La continuità stagionale dei Rockets passa anche di qui, il tempo scorre via velocemente e la sete di vincere è sempre tanta, per cui sia Green che Smith vivono di uno scrutinio sempre più minuzioso, richiedendone con vigore la crescita, pena un cambio di percorso che non si esiterà ad attuare, se i risultati non saranno adeguati al potenziale.
Ammesso che un VanVleet a volte molto dannoso per la selezione di conclusioni è a roster semplicemente per fornire esperienza alla grande quantità di gioventù che veste la casacca rossa, e che Dillon Brooks – come sempre non propriamente eccelso tre – è stato preso più per testosterone motivazionale che altro, una grossa parte del futuro appartiene alle seconde linee. In tale settore sta fortemente emergendo il duo dinamico – i Terror Twins, come amano farsi chiamare nei social – formato da Tari Eason e Amen Thompson, i quali possiedono doti atletiche superiori ed energia in quantità industriali, incidendo profondamente nel variare gli esiti a gara in corso. La caratteristica principale dei due terrori risiede senz’altro nella resa difensiva, le loro mani veloci nel portare via i palloni sono fondamentali per rompere il ritmo offensivo avversario, e proprio da qui nasce quella che è a tutti gli effetti la specialità di questi giovani Rockets, il canestro in contropiede dopo il rimbalzo, la stoppata o il pallone sottratto dal palleggio altrui o dalla corretta invasione della linea di passaggio, che sopperisce in qualche modo alla scarsità di conclusioni da tre, sia nel volume che nella precisione, in attesa che Reed Sheppard cresca e decida di fare il fuciliere da fuori.
I due costituiscono il fondamento della missione di Udoka, che già l’anno passato aveva centrato il traguardo di passare dalle retrovie nell’efficienza difensiva alla settima posizione assoluta di lega, migliorando ulteriormente il risultato come avvalorato dal secondo posto attualmente occupato. Con Eason e Thompson contemporaneamente in campo, i Rockets segnano oltre 15 punti in più – per 100 possessi – degli avversari, cifra che si eleva a 23 quando sul parquet presenzia anche Sengun. I due motori difensivi entrano a gara in corso ma sono sempre presenti nel quarto decisivo, contribuendo in maniera significativa anche dall’altra parte del campo (sempre contro i Clippers sono diventati i più giovani di sempre ad alzarsi dalla panca e registrare entrambi almeno 15 punti e 10 rimbalzi), fornendo di fatto quella scossa elettrizzante di cui la squadra ha a volte bisogno per recuperare un inopportuno svantaggio, o semplicemente per darsi una svegliata generale. I due forniscono caratteristiche offensive diametralmente opposte: laddove Eason è affidabile dalla distanza rivestendo dunque alla perfezione il ruolo di 3&D, Thompson si mangia il campo in alcuni secondi, ed è nettamente il miglior risolutore offensivo nel pitturato, entrando con grinta verso il canestro come se gli avversari nemmeno esistessero, concludendo sovente la gita con una sonora schiacciata. Molto del futuro passa da questi due ragazzi (positivamente) terribili, in attesa dell’eventuale propensione per il loro inserimento in quintetto.
Pur considerando le problematiche appena elencate, i nuovi Houston Rockets sono esponenzialmente cresciuti, inaspettatamente pronti per giocarsi un posto per la postseason senza necessariamente dover ricorrere ai play-in, e chissà, magari fare un pò di strada in più pure nella Nba Cup, la quale sarebbe una bella vetrina espositiva per un gruppo molto promettente. Restano da risolvere varie incognite, chiaro: in attesa di fare chiarezza sulle prossime direzioni da intraprendere, i frutti del lavoro dell’ultimo triennio sono qui, ben visibili.
Per chi, dopo Harden, ha visto solo nero, è già un’ottima notizia.
Davide Lavarra, o Dave e basta se preferite, appassionato di Nfl ed Nba dal 1992, praticamente ossessionato dal football americano, che ho cominciato a seguire anche a livello di college dal 2005. Tifoso di Washington Redskins, Houston Rockets, L.A. Dodgers e Florida State Seminoles. Ho la fortuna di scrivere per questo bellissimo sito dal 2004.