Il countdown all’inizio della stagione regolare ormai segna una decina di giorni. Un batter d’occhio, per certi versi. Per altri, per chi aspetta la palla a due da mesi, un’eternità. Perché allora non ingannare il tempo con uno degli esercizi più frivoli, inutili e divertenti che ci sia? Perché i power rankings prima ancora che le squadre abbiano messo piede sul parquet – scusate se per me la preseason conta quanto una partitella al campetto dietro casa – sono semplicemente un tiro al piattello completamente bendati e dopo qualche bicchierino di troppo.

Si può far finta di analizzare le situazioni, di costruire arditi collegamenti tra stagione passata e presente, tra aspettative e mano della fortuna. Alla fine della fiera, però, si sta semplicemente leggendo un foglio di carta e sognando. Tutto legittimo. Ma, come mi piace sempre ricordare, a parlare sarà sempre e solo il campo. Infortuni, sistemi di gioco più o meno efficaci, intese, amalgama: si deciderà tutto nei prossimi mesi. Per provare a strappare lo scettro, finalmente tornato al TD Garden dopo anni di buio pesto. E proprio da lì, dal Massachusetts, riparte il nostro viaggio attraverso la Eastern Conference.

1. BOSTON CELTICS

Squadra che vince non si cambia, soprattutto dopo una stagione dominata in lungo e in largo e dei Playoff che, francamente, non hanno mai avuto storia. Complice una costa pacifica francamente non all’altezza (ma dopotutto neanche Dallas ci ha fatto una gran figura). Complice un lavoro egregio di costruzione a lungo termine che ha portato Tatum e Brown al loro primo anello. E proprio da loro due ripartirà Joe Mazzulla.

Dalla sicurezza di due All-Star, affiancati da due gregari di lusso come Jrue Holiday e Derrick White. Al 5, in attesa del rientro del fragilissimo Kristaps Porzingis, ci sarà il veteranissimo Al Horford. E poi? Sinceramente il problema di Boston rimane sempre lo stesso: la profondità. Non posso far finta che Lonnie Walker, Pritchard, Springer, Hauser, Kornet e Tillman siano opzioni di livello. Mazzulla sarà ancora costretto a chiedere gli straordinari alle sue stelle. La Dea bendata li ha graziati dodici mesi fa, lo farà ancora?

2. NEW YORK KNICKS

Come i Celtics, ma esattamente all’opposto. Sono partiti dalle basi – ottime – della passata stagione. Ci hanno costruito su una squadra potenzialmente devastante. Karl-Anthony Towns e Mikal Bridges sono due stelle fatte e finite, che vanno ad aggiungersi a Jalen Brunson e a due specialisti come OG Anunoby e Josh Hart. Ripeto, sulla carta di starting five più forti di questo è difficile trovarli.

Il problema rimane lo stesso della prima della classe: la panchina non è corta, ma cortissima. Si trova un Deuce McBride in solitaria, affiancato virtualmente solo da Achiuwa e Payne. In attesa del rientro di Mitchell Robinson nel 2025. Ma coach Tom Thibodeau ci ha già abituato a spremere le sue stelle fino allo sfinimento.

3. PHILADELPHIA 76ERS

Potremmo dichiararli i vincitori della offseason solo per il fatto di essere riusciti a sostituire Tobias Harris con Paul George. Nick Nurse continuerà a cavalcare il duo affiatatissimo Embiid-Maxey, che potrebbe diventare ancora più letale con una terza punta di diamante ad assorbire le attenzioni difensive.

Ottimi gli arrivi di Andre Drummond, Caleb Martin e Guerschon Yabusele a rimpolpare un frontcourt altrimenti scarno. Interessantissima la scelta di Jared McCain, guardia di enorme potenziale che comunque ha la possibilità di crescere dietro tre veterani come Kyle Lowry, Eric Gordon e Reggie Jackson. Non stupitevi se il ritmo di Philly non è troppo distante dalla coppia Boston-NY.

4. MILWAUKEE BUCKS

I soliti noti, con una seconda possibilità. Se l’anno scorso la coppia Lillard-Antetokounmpo non ha portato i risultati sperati (complici avvicendamenti discutibili in panchina e infortuni), questa stagione è opportunità di rinascita. Per Doc Rivers e per la franchigia che ha investito tanto per acquisire Dame Time. Il vuoto che si è creato con l’uscita di Jrue Holiday – nell’ambito della trade dello scorso anno – non è mai stato riempito. Malik Beasley evidentemente non era una soluzione credibile.

Ecco perché, invece che puntare su una singola ma illustre aggiunta, il front office dei Bucks ha optato per più corpi: Gary Trent Jr., Taurean Prince e Delon Wright. L’alternanza Lopez-Portis è ormai assodata, ma non pochi punti di domanda vengono sempre dall’infermeria. Riusciranno a rimanere sani? E le caviglie di Middleton, operate questa offseason, inficeranno sul suo livello di gioco? N.B.: occhio a Andre Jackson Jr., potrebbe ritagliarsi un ruolo non secondario.

5. ORLANDO MAGIC

Franz Wagner e Paolo Banchero, due stelle in procinto di diventare vere e proprie superstar. Non è così semplice vedere concentrato in un unico posto una tale quantità di talento grezzo, ancora da raffinare per farlo esplodere all’ennesima potenza. Discorso che acquista ancor più valore se si pensa che nello stesso roster sono presenti Jalen Suggs, Cole Anthony, Anthony Black, Wendell Carter Jr. e soprattutto Jonathan Isaac. Una squadra che l’anno scorso si era classificata solo 22esima a livello offensivo, nonostante il quinto posto nella Conference. Il che significa che il meglio deve ancora venire. E l’aggiunta di un tiratore veterano come Kentavious Caldwell-Pope sicuramente può aiutare in quella direzione.

6. CLEVELAND CAVALIERS

Un elenco rapido di nomi: Darius Garland, Donovan Mitchell, Jarrett Allenn, Evan Mobley, Max Strus, Caris LeVert, Isaac Okoro. Sono sempre loro. A cambiare è il burattinaio: via JB Bickerstaff, dentro Kenny Atkinson. La sesta piazza, con questi talenti a disposizione ma anche con una situazione tutta da ridefinire, potrebbe valere un secondo posto come un ottavo.

7. INDIANA PACERS

Il primo dei posti Play-in se lo guadagnano gli Indiana Pacers. Una delle squadre rivelazione della passata stagione, non solo per risultati quanto anche per attrattiva verso i grandi giocatori, ha l’ingrato compito di confermarsi e dimostrare che non sia stato un fuoco di paglia. Rick Carlisle non può far altro che affidarsi alla sua stella, Tyrese Haliburton, e a Pascal Siakam. Per il resto – al netto di un giovane con enorme esperienza NBA come Myles Turner, in quel di Indianapolis c’è tanta tanta gioventù. Andrew Nembhard, Ben Sheppard, Bennedict Mathurin, Aaron Nesmith, Obi Toppin, Jarace Walker, Isaiah Jackson. Le fondamenta ci sono. Bisogna solo capire se sono sufficientemente solide per iniziare a costruirci su un grattacielo o se c’è invece bisogno di aggiungere un altro pilastro.

8. MIAMI HEAT

Mai scommettere contro Pat Riley ed Eric Spoelstra. Il roster è quello dell’anno scorso, anzi forse leggermente inferiore. Gli innesti, a fronte delle grandi trade e del miglioramento di molte contender, sono a dir poco insufficienti. La speranza è che il Rozier visto a fine stagione scorsa sia solo una parentesi, e che Jovic e Jaquez continuino la loro crescita esponenziale. Interessante anche il rookie Kel’el Ware. Ma la morale è sempre la stessa: se in panchina c’è Spoelstra, per battere i cinque in campo (chiunque siano) bisogna vendere l’anima. Sulla carta da media classifica, sul parquet chissà.

9. TORONTO RAPTORS

Sono molti i power rankings in giro per la rete che non scommettono sulla crescita dei Raptors. E dunque andiamo in netta controtendenza, pronto a essere smentito. I Raptors, per talento, potrebbero tranquillamente essere gli Indiana Pacers dello scorso anno (magari con meno successo nella postseason). Parliamo comunque di una squadra perfettamente bilanciata tra veterani e giovani di prospettiva. Si va dagli RJ Barrett e Immanuel Quickley, fino agli Scotty Barnes. Senza dimenticare Kelly Olynyk, Jacob Poeltl, Bruce Brown e i quantomeno promettenti Ja’Kobe Walter e Gradey Dick. I nomi ci sono. La panchina, Darko Rajakovic, c’è. Why not?

10. DETROIT PISTONS

La scelta in panchina è a mio parere ottima: non ci ha messo molto JB Bickerstaff a ritrovare una sedia nella NBA dopo essere stato cacciato malamente – e inspiegabilmente – da Cleveland. Si trova tra le mani una situazione non troppo dissimile a quella dei Cavaliers. Tanto talento, finora mai ben sfruttato. Cade Cunningham è la stella (non ancora al livello Donovan Mitchell). Accanto a lui ha giocatori di tutto rispetto: Tobias Harris, Jalen Duren, Ausar Thompson, Jaden Ivey. Vedendo i roster che l’anno scorso sonno riusciti a centrare i Play-In, niente mi fa escludere questa possibilità per la Motor City.

11. ATLANTA HAWKS

La perdita di Dejounte Murray era inevitabile, visto il fallimento della sua convivenza con Trae Young. In cambio non ha chiesto un giocatore da win-now ma due da rotazione e scelte future al Draft. Il messaggio è chiaro: stiamo ponendo di nuovo le fondamenta della casa, nella speranza di attaccare il titolo in futuro. La scelta di Zaccharie Risacher alla numero uno assoluta è sicuramente intrigante, dall’altra deludente. Non per Risacher in sé, che sicuramente dimostrerà di essere all’altezza del palcoscenico americano. Quanto perché probabilmente agli Hawks la scelta numero 1 è capitata nell’anno peggiore, in cui il Draft non offriva fenomeni e men che meno franchise players. Intanto per Atlanta si coccola il boom di Jalen Johnson e aspetta di vedere – a questo punto diventerà pressoché inevitabile pure questo – che offerte arriveranno in inverno per Trae Young.

12. CHICAGO BULLS

Una sola cosa mi porterebbe ad accendere la tv e vedere una partita dei Bulls: il rientro sul parquet, dopo tre anni, di Lonzo Ball. La speranza di Chicago è una sola, e ha un nome e un cognome: Zach LaVine. Non vedo altro modo, altra strada per una franchigia allo sfacelo ormai da più stagioni. Una situazione di cui si è accorta anche il front office, iniziando così una lenta e progressiva ricostruzione. Addio a tre tra i migliori contributori della causa (DeMar DeRozan, Alex Caruso, Andre Drummond). In giovani interessanti ma grezzi: Josh Giddey da OKC, Matas Buzelis dal Draft. Per ora ancora a Chicago (ma per quanto?) Nikola Vucevic, Pat Williams e Coby White. È tempo di abituarsi a vedere Chicago navigare i bassifondi della NBA.

13. CHARLOTTE HORNETS

I prossimi tre nomi sono, abbastanza comodamente, le tre peggiori squadre della intera lega. Partiamo dalla terzultima, che gode del beneficio del dubbio solo perché ha due o tre personcine davvero davvero interessanti. Oltre al solito e stramasticato LaMelo Ball, ovviamente il re della scacchiera del North Carolina è Brandon Miller. Dopo un inizio lento, l’anno scorso ha preso in mano la squadra e ha dimostrato di essere un giocatore di livello assoluto. Miles Bridges e Mark Williams danno le loro garanzie. Il secondo backcourt fatto da Micic e Tre Mann negli ultimi mesi della regular season passata ha convinto non poco. Insomma, carne c’è. Ma a quanto pare il problema è cuocerla sulla griglia.

14. BROOKLYN NETS

Addio a Mikal Bridges, addio ai Nets. Qualcuno mi dica chi dovrebbe essere la prima opzione per Brooklyn. Nic Claxton, che non tira fuori dal pitturato neanche con un’arma puntata alla tempia? Cam Johnson o Finney-Smith? Dennis Schroder? Cam Thomas? Una squadra che manca di identità, manca di carattere. Ma cedendo Bridges ha guadagnato cinque prime scelte. In poche parole: preparatevi a vedere molti scambi.

15. WASHINGTON WIZARDS

Washington probabilmente si meriterebbe di essere sopra Charlotte, ma c’è un qualcosa che non mi convince dei Maghi capitolini. La scelta di Brian Keefee come head coach, forse. O forse che siamo di fronte a una squadra che si ostina – per ragioni misteriose anche alle potenze sovrannaturali – a far giocare titolare e playmaker Jordan Poole. Scabiare poi uno dei pochissimi giocatori veramente buoni (Deni Avdija) è stata la ciliegina sulla torta. Dall’altra parte però sulla carta non sono nemmeno così malvagi. Jonas Valanciuna e Kyle Kuzma sono un duo 5-4 di tutto rispetto. Il rookie Alex Sarr sembra tra i più promettenti, e dietro a Poole c’è la sicurezza data da un veterano come Malcolm Brogdon e un giovanissimo talento in Bub Carrington. Ma qualcosa ancora non mi convince. E la mia paura è che in capo a due mesi la squadra sarà completamente smantellata.

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