L’attesa è quasi finita, i training camps sono iniziati e il 22 ottobre andrà in scena la settantanovesima stagione della National Basketball Association con i Boston Celtics a difendere il loro titolo di campioni in carica.

La Western Conference, considerata per la maggior parte del terzo millennio come la metà più competitiva delle 30 squadre NBA, ha visto lo scorso anno i Dallas Mavericks approdare in finale per poi crollare con un secco 4-1 contro la storica franchigia del Massachussetts andando a prendersi solo il proverbiale punto della bandiera in gara-4. Come vedremo la squadra allenata da Jason Kidd resta tra le principali pretendenti alle Finals ma le avversarie, sbaragliate un po’ a sorpresa nella passata stagione, sono ancora più agguerrite e organizzate e varie franchigie del girone occidentale ambiscono a salire di livello e conquistare i playoff.

Il momento di assolvere l’ingrato compito di prevedere gli esiti dei percorsi delle quindici formazioni dell’Ovest è quindi arrivato: ecco a voi il Power Ranking della Western Conference 2024-25.

1. OKLAHOMA CITY THUNDER

Il processo di ricostruzione ormai è definitivamente concluso e il primo posto in regular season a Ovest dello scorso anno parla chiarissimo in proposito: gli Oklahoma City Thunder sono di nuovo una contender come ai tempi di Kevin Durant e Russell Westbrook.

Sembrava fosse già il momento del ritorno in finale NBA dal 2013 per la squadra nata dalle ceneri dei mai troppo rimpianti Seattle Supersonics ma dopo aver concluso al primo posto della Conference la stagione regolare il percorso di Shai Gilgeous-Alexander e compagni si è fermato al secondo turno in una serie comunque assolutamente combattuta ed equilibrata contro Dallas. La dirigenza dei Thunder ha confermato di avere le idee chiare in offseason e ha migliorato la squadra esattamente dove serviva: aumentando il potenziale difensivo.

In questo modo non si è andati troppo per il sottile nel cedere Josh Giddey, ottimo scorer ma in una squadra già abbondantemente fornita dal punto di vista offensivo, per sostituirlo con Alex Caruso che si è fatto apprezzare sia ai Lakers sia ai Bulls proprio per le sue doti di uomo d’energia e sacrificio. Il frontcourt vedrà invece l’affiancamento di Chet Holmgren, che comprensibilmente deve ancora crescere a livello playoff, con Isaiah Hartenstein tra i protagonisti della cavalcata dei New York Knicks e che è pronto a portare a OKC il suo contributo di lavoro sporco in area e rimbalzi (lo scorso anno 8.3, massimo in carriera)

Gli aggiustamenti ideali per non stravolgere una squadra ancora saldamente in mano a Shai Gilgeous-Alexander, secondo nella corsa all’MVP della passata stagione, che è nel pieno del suo prime ed è pronto anche quest’anno a portare in alto i suoi potendo contare sulla difesa di Lu Dort, sulle doti balistiche di Jalen Williams e sullo stesso Holmgren che rimane un giocatore dal potenziale elevatissimo. Un’altra deep run è molto più che probabile e sulla carta i Thunder, non solo per me, possono fregiarsi dei favori del pronostico nella loro Conference.

2. DALLAS MAVERICKS

La distanza tra i Mavericks campioni in carica e i Thunder che guidano questo ranking è talmente sottile da essere al limite del pari merito ma se il confronto diretto dello scorso anno ha visto prevalere ai playoff i texani di Luka Doncic in fase di pronostico va considerato che le certezze della squadra di Kidd appaiono leggermente meno solide.

Non si può non partire dall’acquisto di Klay Thompson che cerca a Dallas gli stimoli che nella sua storica casa di Golden State sembravano venire sempre meno, specie dopo il terribile infortunio che ne ha inevitabilmente compromesso le doti difensive. Thompson va idealmente a coprire il buco delle percentuali ondivaghe da tre punti che sono state una delle chiavi della sconfitta Mavericks in finale NBA (in quest’ottica va considerato anche l’innesto di Quentin Grimes che ha permesso ai Mavs di liberarsi della zavorra Tim Hardaway Jr.) ma pur col rispetto dovuto a un campione assoluto non si può essere sicuri al 100% riguardo l’affidabilità fisica di un 34enne il cui fisico, come accennato, non è più quello del suo prime.

Così come non si può mai fare pieno affidamento su un Kyrie Irving lo scorso anno vero fattore nella cavalcata verso le Finals ma il cui passato racconta di un giocatore imprevedibile dentro e fuori il parquet, nonchè anche lui tendente a saltare varie partite per infortuni vari. Irving finora a Dallas è stato pienamente efficiente nel suo ruolo di vice Luka Doncic, ma sarà sempre così?

A parte questo la squadra resta assolutamente attrezzata per ripetere il percorso della passata stagione: Doncic è sempre un giocatore stratosferico nel pieno della sua parabola e che ha l’ulteriore motivazione della corsa all’MVP, il frontcourt vede di nuovo al loro posto tutti gli elementi che hanno reso l’area di Dallas un fortino blindato con le conferme di Daniel Gafford, PJ Washington e Dereck Lively (spettacolare lo scorso anno, sicuramente tra i migliori rookies del draft 2023) e la perdita di Derrick Jones Jr. è stata coperta con l’innesto di Naji Marshall che può garantire potenzialmente un contributo analogo in termini di difesa. Se non sarà finale NBA di sicuro i Mavericks se la giocheranno fino all’ultimo possesso.

3. DENVER NUGGETS

Campione NBA da trascinatore assoluto e tre volte MVP della lega: anche senza sciorinare le sue statistiche da tripla doppia in carriera basta e avanza per definire Nikola Jokic tra i migliori giocatori nella relativamente giovane storia dei Denver Nuggets (probabilmente il migliore in assoluto) Il compito della dirigenza è ancora una volta fornire al fenomeno serbo una squadra alla sua altezza per continuare a rimanere in alto.

Compito assolto bene anche quest’anno seppur con qualche piccolo punto interrogativo se si tratta di ripetere il titolo NBA del 2023, unico finora nella storia dei Nuggets. Tra questi il meno piccolo riguarda sicuramente Jamal Murray, scorer di razza e leader con Jokic nella stagione della bolla del 2020 ma non sempre all’altezza del compito di secondo violino (perlomeno se parliamo di esserlo per una contender) soprattutto dopo essersi rotto il crociato nel 2021.

Reduce da un’Olimpiade deludente a livello personale, Murray è atteso a un miglioramento nella selezione dei tiri per tornare ad essere garanzia di affidabilità al fianco del Joker. Da questo punto di vista convince il giusto anche la firma di Russell Westbrook che non è più nel suo prime e di cui si conoscono ormai bene pregi e difetti (e la disciplina nelle conclusioni non rientra certo tra i primi) così come il non aver sostituito Kentavious Caldwell-Pope con un profilo analogo quanto a lavoro sporco tra gli esterni.

Rimane la maestosità di Jokic e un cast di supporto che è comunque di assoluto livello con le triple di Michael Porter Jr., la solidità di Aaron Gordon sotto canestro e lo stesso Murray che al netto delle considerazioni di cui sopra resta un realizzatore di livello assoluto. Per la finale NBA a preoccupare i Nuggets sarà soprattutto il margine di crescita delle altre pretendenti a fronte di un roster che sta vivendo invece il suo probabile apice di produttività e competitività.

4. MINNESOTA TIMBERWOLVES

Anche qui il tempo del rebuilding è finito ed è cominciato quello in cui gli occhio a Minnesota si sono trasformati nel giusto attributo del ruolo di contender per la squadra allenata da Chris Finch. Lo scorso anno è arrivato il ritorno alla vittoria in una serie playoff dopo vent’anni esatti ma anche un’eliminazione in sole cinque gare in finale di Conference che lasciava intendere quanto il compito dei Wolves fosse ancora a metà.

Per compiere l’ultimo passo verso il titolo nelle ultime battute del mercato si è deciso di fare a meno di Karl-Anthony Towns, volto della franchigia nella seconda metà degli anni ’10 ma i cui limiti difensivi ormai acclarati hanno portato alla decisione di scambiarlo per Julius Randle e Donte DiVincenzo. Su questi schermi abbiamo già approfondito questa trade; per quanto mi riguarda c’è da rimarcare come Towns fosse stato il giocatore forse più in ombra nella serie di Conference Finals persa contro Dallas.

Mentre DiVincenzo, che invece si è esaltato nella scorsa postseason, potrà dare un grande contributo di difesa e triple affiancando Jaden McDaniels in tale ruolo nel Minnesota si spera che Randle possa portare una maggiore presenza atletica in area e costituire un fit ideale per Rudy Gobert, sempre al centro delle critiche dei vari opinionisti ma reduce da un’Olimpiade da protagonista in cui si è fregiato dell’argento con la sua Francia. Le fortune dei lupi però passeranno inevitabilmente da quella che ormai è una stella a tutti gli effetti del firmamento NBA: Anthony Edwards.

Il 23enne di Atlanta ha vissuto una stagione in cui ha vestito i panni del leader oltre che quelli del primo realizzatore tra gli esterni portando i suoi tifosi a vivere momenti emozionanti come il 4-0 ai danni dei Phoenix Suns che ha rappresentato per alcuni un passaggio di consegne col suo idolo Kevin Durant. Sarà ancora lui il go-to-guy e tutti sono pronti a scommettere che si farà trovare pronto ad un’altra grande stagione; inevitabile quindi, data anche la qualità del supporting cast con le conferme dell’esperto Mike Conley e del Sixth Man of the Year Naz Reid, pronosticare ancora un’annata ad alti livelli per i suoi Minnesota Timberwolves.

5. PHOENIX SUNS

Quello dei Suns è stato un all-in rischioso che finora non ha prodotto gli effetti sperati, con una sonora batosta al primo turno negli ultimi playoff frutto di una regular season vissuta molto più nel tentativo di evitare il play-in tournament che nel competere per posizioni più nobili della griglia postseason.

Detto che la situazione salariale della franchigia dell’Arizona non consentiva troppo margine di manovra a meno di affari clamorosi proprio come quello che ha portato Kevin Durant e Bradley Beal in maglia Phoenix, i casi a questo punto sono due: o una grande reazione d’orgoglio oppure la definitiva presa d’atto che la succitata mossa è stata un errore. Per quanto mi riguarda però non è ancora il caso di dare i Suns per spacciati in ottica playoff soprattutto perchè mi aspetto che Beal abbia una stagione di riscatto dopo quella passata costellata dai problemi fisici (solo 53 gare giocate dopo le 50 del 2022-23) D’altra parte l’ex Wizards ha atteso per anni l’opportunità di lottare per il bersaglio grosso e non credo che la mollerà tanto facilmente una volta arrivata.

Durant è ancora un realizzatore d’elite e un giocatore di classe assoluta (molto meno come uomo squadra…) e Devin Booker viaggia ormai da anni a medie stratosferiche per non considerarlo un top player. In attesa di vedere se davvero i Big Three non hanno ancora mostrato il potenziale della loro unione rimangono le perplessità su un frontcourt affidato ancora al deludente Jusuf Nurkic, meno incisivo di quanto non dica la sua doppia doppia di media nel 2023-24, affiancato da Royce O’Neale i cui anni migliori sembrano passati e da Mason Plumlee arrivato al minimo salariale: buoni gregari ma non in grado di risollevare le sorti del reparto.

Potenzialmente i Phoenix Suns possono ambire ancora ad essere una squadra di prima fascia ma un’altra stagione deludente sarebbe davvero un grosso macigno sull’immediato futuro della franchigia (vedere i Clippers per credere…)

6. NEW ORLEANS PELICANS

Il destino dei pellicani della Louisiana non è mai stato troppo fortunato: da quando ha assunto l’attuale nome nel 2013 la franchigia ha vissuto il ciclo Anthony Davis che pur avendo fatto assistere i tifosi alla nascita di una stella NBA non ha portato più di due partecipazioni ai playoff e una sola serie vinta per poi draftare Zion Williamson tra mille aspettative, ammirarne i lampi di talento puro ma senza cambiare di molto la propria situazione di squadra a cui manca sempre il soldo per fare la lira.

Tant’è vero che anche a causa dei continui problemi fisici dell’ex Duke le ultime tre stagioni dei Pels li hanno visti sempre qualificarsi al play-in ma mai superare il primo turno playoff, con l’ultima annata conclusa con un secco 4-0 subito dagli Oklahoma City Thunder che come la squadra di Willie Green aveva vissuto un periodo di rebuilding. Per valorizzare le qualità del roster di Green, su tutte la potenza di Zion e l’attitudine difensiva, la mossa principale in offseason è stata senz’altro l’acquisto di Dejounte Murray che ad Atlanta non ha funzionato quanto ad abbinamento con Trae Young.

Murray si trova ora a fare da secondo violino tra gli esterni dopo CJ McCollum aumentando sensibilmente il potenziale balistico di un roster che, privato anche di Jonas Valanciunas, appare ora diverso dalla squadra da pochi possessi vista finora. Probabile infatti che Brandon Ingram, al suo ultimo anno di contratto, affiancherà stabilmente Williamson in area anche per lasciare più spazio alle iniziative di McCollum e Murray sul perimetro.

Il potenziale c’è tutto per una New Orleans che comunque lo scorso anno è scivolata in zona play-in dopo essere stata stabilmente nella fascia playoff diretti per buona parte della regular season. I punti interrogativi sono però ancora troppi per prevedere un risultato migliore della semplice qualificazione ai playoff, col secondo turno che appare più un punto di arrivo che di partenza.

7. SACRAMENTO KINGS

I Kings di Mike Brown hanno senz’altro smesso di essere la barzelletta della Western Conference tornando dopo moltissimi anni a far parte delle squadre che lottano stabilmente per la postseason. Il passo successivo però è davvero difficile da compiere, vuoi per la competitività del girone occidentale vuoi per l’effettiva costruzione del roster che andremo ad analizzare, e così dopo il ritorno alla postseason del 2022-23 è arrivata un’eliminazione dal play-in tournament per mano dei Pelicans lo scorso anno.

Un risultato per certi versi deludente per una fanbase affezionata che dopo tantissimo tempo a soffrire e pazientare vuole vedere una squadra vincente, per migliorare il quale si è puntato sull’acquisto di DeMar DeRozan che nelle ultime stagioni ha vissuto una vera seconda giovinezza. L’ex Chicago sarà prezioso per una squadra che ha perso Harrison Barnes come giocatore in grado di garantire un contributo d’esperienza ed è comunque ancora in grado di fornire ben 24 punti di media come ha fatto negli ultimi due anni ai Bulls.

I dubbi maggiori per un vero salto di qualità ad alti livelli riguardano tuttavia i due leader designati della squadra: DeAaron Fox tra gli esterni, Domantas Sabonis nel frontcourt. Entrambi sono sicuramente scorer di tutto rispetto ma hanno mostrato ancora mancanza di consistenza proprio nei periodi più caldi della stagione e hanno superato l’età per considerarli ancora giocatori in divenire (Fox ha 26 anni, Sabonis 28)

Il confronto con gli Indiana Pacers, che hanno rinunciato a Sabonis e preso Tyrese Haliburton draftato da Sacramento, attualmente penalizza molto le scelte della franchigia californiana in quanto Haliburton si è trasformato in una superstar e ha trascinato la sua squadra alle finali di Conference dello scorso anno. Per ora a Sacramento non si può fare altro che continuare su questa strada ma attualmente non ci sono motivi troppo concreti per prevedere che non possa portare oltre la lotta per la qualificazione ai playoff.

8. GOLDEN STATE WARRIORS

Che la storica epopea di Golden State, passata da squadra di ultima fascia a Ovest (solo tre volte ai playoff tra il 1992 e il 2012 e con un solo turno superato) a dominatrice della NBA, andasse sfumando col progredire dell’età delle sue stelle era piuttosto chiaro ma ora arriva anche la separazione degli Splash Brothers a far capire che per la squadra di Steve Kerr si avvicina inesorabilmente il momento di ricominciare da capo.

Steph Curry ha vissuto un’Olimpiade da protagonista assoluto e anche a 36 anni è ancora tra i migliori giocatori della lega ma altrettanto non si poteva più dire di Klay Thompson che infatti a Dallas avrà un ruolo meno centrale dietro Irving e Doncic. Emotivamente l’abbandono di Klay è una coltellata al cuore non solo per i tifosi Warriors ma razionalmente era difficile che Golden State potesse dirsi ancora una contender con lui. Tuttavia la situazione a San Francisco non è ancora molto chiara e non si capisce fino a dove arrivino le ambizioni di vittoria rispetto a quelle di ricostruire.

La squadra sarà infatti ancora in mano a Curry e Draymond Green che guideranno un mix di giovani che finora non hanno dimostrato un potenziale da top players del futuro (Kuminga, Moody, Podziemski) e di giocatori più esperti ma alquanto a secco di storia vincente (Buddy Hield, scartato da Indiana proprio quando i Pacers hanno iniziato a convincere, o Kyle Anderson ottimo gregario per un top team, meno per una squadra di fascia inferiore)

Sperando sempre che Green eviti clamorosi colpi di testa come quelli che gli hanno fatto saltare varie gare per squalifica lo scorso anno, sarà quindi ancora una volta lo straordinario Steph Curry a fare le eventuali fortune della sua squadra. Ammirare Steph è sempre un piacere ma non credo sia abbastanza per ambire a superare una concorrenza più attrezzata e futuribile.

9. LOS ANGELES LAKERS

Nel momento in cui sei i Los Angeles Lakers e dopo l’anello del 2020 hai superato solo una volta il primo turno playoff si presume che cerchi di invertire la tendenza specie dopo anni di scelte discutibili nella costruzione del roster. Invece mentre le altre squadre lavorano per migliorare nel futuro più o meno immediato la propria competitività la offseason dei Lakers è diventata famigerata per il solo motivo della pesca di Bronny James, figlio di LeBron.

Chiariamolo, Bronny è un giocatore da secondo giro (scelto alla 55) e dal punto di vista umano è apprezzabile che abbia la possibilità di giocare dopo i problemi cardiaci di cui ha sofferto lo scorso anno. Ma le prorità dei Lakers dovrebbero essere altre rispetto all’unione tra padre e figlio, ovvero migliorare una squadra con evidenti difetti strutturali e questo non è stato fatto. Intorno ad Anthony Davis e al quasi 40enne LeBron non solo troviamo ancora un gruppo di gregari con poche eccezioni, ma per la maggior parte tale gruppo è composto dagli stessi elementi dello scorso anno.

E così i tifosi Lakers dovranno ancora vedere D’Angelo Russell tirare gioiosamente tutto ciò che gli capita (31.8% da tre negli scorsi playoff contro Denver con 1/9 in gara-1, 0/6 in gara-3 e 2/10 in gara-5) per poi ritenersi soddisfatto della sua stagione, l’eterna promessa Rui Hachimura (che fa tante cose benino ma nessuna benissimo) e il solo Austin Reaves a dare un contributo davvero consistente tra il supporting cast di Davis e James.

In queste condizioni la prospettiva è la stessa degli scorsi anni: vivacchiare ai margini della lotta playoff magari agguantando un primo turno ma senza neanche troppe possibilità di superarlo. Non il massimo per un pubblico abituato a ben altre ambizioni.

10. HOUSTON ROCKETS

Lo scorso anno sono arrivati investimenti a suon di milioni per risollevare le quotazioni degli Houston Rockets che dopo l’addio di James Harden avevano iniziato un rebuilding anche più doloroso di quanto già non sia tale periodo per i tifosi. Sono così arrivati Fred VanVleet e Dillon Brooks oltre ad Amen Thompson dal draft 2023 ma nonostante un colpo di coda da 11 vittorie consecutive a marzo 2024 non è arrivata neanche la qualificazione al play-in tournament.

Certo, ci si è messa anche la sfortuna che ha privato i Rockets di Alperen Sengun nella parte finale della stagione ma quest’anno da Houston ci si aspetta sicuramente di più. Quest’anno è ovviamente presto per dare il progetto per morto e quindi si va avanti con VanVleet e Jalen Green a perfezionare (o almeno così si spera) la loro coesistenza in campo, Brooks a metterci la consueta dose di cattiveria cestistica e l’area affidata ancora all’atletismo di Thompson, che lo scorso anno ha comunque mostrato buone cose, e alle mani buone di Jabari Smith Jr. e soprattutto del rientrante Sengun.

La corsa ai playoff è serratissima e una formazione giovane come Houston, che dai trent’anni in su ha solo VanVleet, il veteranissimo Jeff Green e Steven Adams reduce dall’operazione al ginocchio, è piuttosto imprevedibile: se Jalen Green conferma di poter essere uno scorer di prima fascia come dimostrò di poter diventare durante la succitata streak vincente le soddisfazioni possono arrivare anche prima di quanto preventivato, tuttavia appare attualmente più realistico pronosticare un’altra stagione di assestamento per i Rockets in cui non si faranno troppi drammi se non dovesse arrivare la postseason.

11. SAN ANTONIO SPURS

L’era Victor Wembanyama è ufficialmente iniziata. Il fenomeno francese ha fatto subito seguire i fatti alle tante belle parole spese prima del suo esordio strabiliando gli appassionati di tutto il mondo e smentendo anche le voci sulla sua adeguatezza fisica giocando quasi tutte le partite dello scorso anno e anche lavorando per mettere su altri muscoli.

Se Wembanyama si è fatto trovare pronto all’impatto col professionismo americano lo stesso non si può purtroppo dire per i suoi San Antonio Spurs che nella passata stagione hanno ottenuto un misero 22-60, stesso record della stagione precedente. Il percorso di crescita della squadra è quindi ancora in pieno svolgimento ma per accompagnare lo sviluppo dei vari Jeremy Sochan, Devin Vassell e Stephon Castle, quarta scelta assoluta del Draft 2024, si è scelto di aggiungere esperienza per iniziare a lottare per qualcosa di sostanzioso.

Dai Golden State Warriors arriva così il 39enne Chris Paul i cui anni migliori sono alle spalle come go-to-guy ma che invece è ancora potenzialmente ottimo per innescare Wembanyama e in generale guidare un gruppo giovane (e se così non sarà poco male, il contratto è annuale) e dai Sacramento Kings è stato inchiostrato il tuttofare Harrison Barnes che invece si è già trovato a Sacramento e Dallas a giocare in una squadra in rebuilding e sicuramente darà un contributo prezioso.

Tanto potenziale e una superstar assoluta ma il momento di vincere davvero non è ancora arrivato. Quello di competere e cercare almeno la qualificazione al play-in però ha tutte le condizioni per verificarsi.

12. LOS ANGELES CLIPPERS

Con l’abbandono di Paul George si è concluso un altro ciclo in casa Los Angeles Clippers e così come per quello di Chris Paul e Blake Griffin non è arrivato l’anello che la franchigia insegue ormai da molti anni. La coppia formata da George e Kawhi Leonard negli ultimi tre anni non ha portato i Clips oltre il primo turno playoff e malgrado gli investimenti pesanti che hanno portato poi anche James Harden i cugini dei Lakers non hanno mai disputato la finale NBA nella loro intera storia (Buffalo Braves e San Diego Clippers compresi)

Leonard e Harden ci sono ancora con il primo che nonostante le continue assenze ha inchiostrato un triennale da 150 milioni di dollari ma è chiaro che si dovrà iniziare a ricostruire e questa stagione è piena zeppa di macerie. Non mi stupirei se arrivasse in corso d’anno una trade che possa portare a recuperare qualche scelta ceduta in passato per ottenere Leonard e George, ma anche analizzando il roster così com’è non credo ci siano troppe possibilità di staccarsi dal mare magnum di squadre che lottano per i playoff.

L’unico innesto di una certa rilevanza è Derrick Jones Jr. che a Dallas ha dimostrato preziose doti di collante difensivo ma negli anni precedenti si era notato solo per la spettacolarità delle sue schiacciate (e infatti arrivò ai Mavs con un annuale al minimo) Per il resto la squadra continua ad essere piuttosto vecchia e piena di contratti in scadenza; magari Kawhi e il Barba avranno una reazione d’orgoglio per dare un’altra stagione più o meno competitiva ai Clippers ma è decisamente più realistico supporre una stagione di centro classifica per la squadra di Tyronn Lue.

13. MEMPHIS GRIZZLIES

A Memphis ci si prepara ad accogliere finalmente Ja Morant che lo scorso anno non ha fatto in tempo a rientrare dalla sospensione che nove partite dopo ha nuovamente dovuto abbandonare i suoi Grizzlies per un infortunio alla spalla che gli ha fatto saltare tutta la stagione. Il ritorno del campione di Dalzell, South Carolina ha riportato entusiasmo tra i tifosi di Memphis e sicuramente infiammerà il parquet ma a freddo c’è da chiedersi: basterà da solo a migliorare le sorti di una squadra che lo scorso anno ha ottenuto solo 27 vittorie?

La posizione forse ingenerosa con cui per quanto mi riguarda partono i Grizzlies è frutto di vari punti interrogativi sulle reali possibilità della franchigia per il 2024-25. Intanto ci sarà da valutare lo stato di forma con cui Morant tornerà in campo (e probabilmente non solo quello vista l’immagine che la sospensione gli ha poco generosamente affibbiato) ma anche dovesse rientrare al massimo del suo potenziale il supporting cast rimane effettivamente quello che l’anno scorso non si è mai mostrato competitivo.

Desmond Bane e Jaren Jackson Jr. (quest’ultimo al massimo in carriera per punti segnati lo scorso anno ma sempre accompagnato da dubbi sulla sua consistenza quando si gioca per vincere) saranno nuovamente le punte di diamante del roster che conta un Marcus Smart fermo a 20 gare giocate lo scorso anno e che dovrà ritrovare le chiavi del sistema difensivo e una serie di giocatori (Clarke, Williams, Konchar) su cui si è deciso di puntare a lungo termine ma per i quali si attende da tempo un salto di qualità che non arriva.

Per quanto Morant possa sicuramente tornare ai suoi livelli (anzi è più che probabile che lo farà) è difficile quindi che i suoi Memphis Grizzlies, pur migliorando la scorsa stagione, possano andare oltre la lotta playoff.

14. UTAH JAZZ

La competitività della Western Conference di quest’anno è testimoniata dal fatto che la fascia tanking-rebuilding è occupata da due sole squadre. In realtà le mosse di Utah dopo la fine del ciclo Donovan Mitchell-Rudy Gobert-Mike Conley non sono state sempre chiarissime con una malcelata volontà di continuare a competere che si è scontrata con le ultime due stagioni terribilmente anonime e che non hanno neanche portato scelte alte al Draft.

La pick dei Jazz è la shooting guard Cody Williams, fratello del Jalen di Oklahoma City, considerato un buono slasher ma poco esplosivo nel concludere al ferro. Un profilo non dissimile peraltro da quello di Colin Sexton che insieme a Lauri Markkanen (rinnovato per un altro anno) e Jordan Clarkson, ultimo rimasuglio del precedente ciclo, ha attualmente in mano le sorti sul parquet di Utah.

Intorno a loro e a John Collins non c’è ancora una vera batteria di giovani prospetti in grado di riportare i Jazz al livello di contender e anche per quest’anno quindi si conferma una squadra che apparentemente non vorrebbe perdere ma che di fatto non avrà molte occasioni per vincere. Ci vorrebbe probabilmente più decisione nel prendere la strada del rebuilding invece di affidarsi a giocatori i cui limiti sono ormai acclarati.

15. PORTLAND TRAIL BLAZERS

Fanalino di coda di questo ranking sono i Portland Trail Blazers ancora alle prese col difficile periodo successivo alla partenza di Damian Lillard. Periodo reso ancora più duro dal fatto che Scoot Henderson, terza scelta dello scorso Draft, abbia finora deluso le aspettative e che la dominazione promessa da DeAndre Ayton sia stata tale finora solo a parole.

La scelta successiva a una stagione da sole 21 vittorie è il centro Donovan Clingan draftato alla settima posizione. Ovviamente si spera che i Blazers siano più fortunati nello scegliere il proprio centro dopo quanto accaduto con Greg Oden; passato a parte il bianco Clingan è un marcantonio di 2 metri e 18 con un buon controllo dei suoi 127 chili e mani non disprezzabili. Prospetto intrigante ma bisognoso di esterni in grado di farlo rendere al meglio.

Da questo punto di vista la pietra angolare su cui ricostruire è sicuramente Anfernee Simons che ai 22.6 punti di media ha aggiunto 5.5 assist, entrambe voci in miglioramento. Oltre a lui però non c’è davvero molto da cui partire quest’anno: Jerami Grant supererà i trent’anni, Deni Avdjia è ancora giovane ma a Washington ha mostrato più dubbi che certezze e riguardo ad Ayton si stanno invece confermando i motivi per cui Phoenix abbia deciso di cederlo senza troppi rimpianti quando si è trattato di migliorare la squadra.

Poche prospettive di successo e un rebuilding sempre più faticoso per i Blazers; il massimo a cui aspirare paradossalmente sarebbe ottenere una scelta più alta al prossimo Draft.

One thought on “NBA Western Conference 2024-25: Power Ranking

  1. Se le due a lottarsi il primo posto sono okc e dallas non siamo messi benissimo

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.