Quella che inizierà nella notte tra il 6 e il 7 giugno prossimi sarà la terza finale NBA nella storia dei Dallas Mavericks, la prima dal 2011 quando arrivò quello che finora è l’unico anello per la franchigia texana.
La battuta d’arresto dello scorso anno con i Mavs fuori dai playoff e volontariamente anche dalla lotta per il play-in non ha quindi fermato il ciclo Luka Doncic: dall’arrivo a Dallas dello sloveno sono arrivate infatti quattro partecipazioni ai playoff in sei anni e due Western Conference Finals.
Ma se due anni fa arrivò in semifinale un’eliminazione netta da parte dei futuri campioni Golden State Warriors (con un 4-1 che vide Dallas conquistare solo il punto della bandiera in casa alla quarta gara) quest’anno i Mavericks hanno vinto con pieno merito il titolo di migliore squadra dell’Ovest sbaragliando i Clippers, i Thunder e i Timberwolves malgrado partissero sempre con lo svantaggio del fattore campo.
Analizziamo quindi quali possono essere le possibilità per la squadra allenata per il terzo anno da Jason Kidd partendo dal percorso che l’ha portata a giocarsi il titolo nella serie contro i Boston Celtics, padroni assoluti della Eastern Conference 2024.
LA STRADA PER LA FINALE
La scorsa estate Dallas era fuori dai playoff e sceglieva di perdere le ultime gare con sommo disappunto di Luka Doncic. Apparentemente il discusso approdo di Kyrie Irving non aveva funzionato anche se già all’epoca rimarcai come fosse il supporting cast delle due stelle ad essere inadeguato per arrivare in fondo alla corsa playoff, soprattutto dopo il grave errore della partenza di Jalen Brunson a parametro zero.
La scelta di rinunciare al play-in ha consentito ai Mavericks, complici i Thunder che rilevarono anche la zavorra Bertans, di mettere le mani sul centro Dereck Lively che a vent’anni si è rivelato l’erede di Tyson Chandler che la franchigia aveva cercato per più di dieci anni. Ma l’ex Duke da solo non era ancora sufficiente a trasformare Dallas in una contender soprattutto perchè l’acquisto di punta della offseason, Grant Williams, aveva clamorosamente deluso le aspettative oltre a mostrare un atteggiamento inadeguato anche in allenamento.
Così a febbraio i Mavericks, seppur dopo un inizio stagione ai vertici della Western Conference, erano ancora ad orbitare intorno all’ottavo posto e con i vecchi problemi ancora lì, soprattutto riguardanti le rimonte che puntualmente subiva nei finali di partita. Ma proprio nella finestra di mercato tardoinvernale è arrivata la svolta.
Malgrado il primo obiettivo del general manager Nico Harrison fosse Kyle Kuzma, il rifiuto dell’ex Lakers ha portato i Mavs a optare per PJ Washington oggi titolare inamovibile del quintetto di Kidd, riuscendo a scaricare ai Charlotte Hornets anche il contratto di Williams. E dato che i Washington Wizards non volevano lasciare Dallas a mani vuote hanno accettato di rilevare un’altra zavorra come Richaun Holmes (titolare di un pesante quadriennale firmato ai Kings nel 2021) per far partire in direzione Texas il centro Daniel Gafford, altro punto fermo dei Mavs di oggi.
Il risultato di questi movimenti, oltre che dell’emergere di Derrick Jones Jr. (anche lui scelta di riserva in quanto approdato a Dallas al minimo salariale dopo non essere riusciti a firmare Matisse Thybulle) è che dal 7 marzo in poi, data indicata dallo stesso Jason Kidd come quella in cui tutto è cambiato, i Mavericks hanno perso solo 4 partite di regular season tra cui le ultime due totalmente ininfluenti e giocate con le riserve (nell’ultima si è visto addirittura il buon vecchio Markieff Morris titolare) abbandonando ben presto la bagarre play-in e presentandosi al quinto posto nella griglia playoff.
L’inizio della postseason è stato shockante in negativo per Dallas che contro i Los Angeles Clippers subirono il 21 aprile una batosta senza appello terminata con un generoso -12 ma che vide la squadra di Kidd totalmente fuori partita, realizzando 8 punti nel secondo quarto e chiudendo il primo tempo sul -26. Sembrava che la difesa ferrea che aveva esaltato i tifosi negli ultimi mesi si fosse squagliata come neve al sole all’impatto coi playoff ma già in gara-2 Dallas ha ribaltato il fattore campo in un finale clutch che ha visto Luka Doncic protagonista e che solo pochi mesi prima avrebbe con ogni probabilità visto l’inevitabile sorpasso della squadra avversaria.
Malgrado lo stato di forma precario dello stesso Doncic, protagonista anche di un atteggiamento discutibile (e discusso) con continue proteste contro gli arbitri, e soprattutto malgrado una gara-4 in cui nel primo tempo James Harden e Paul George bombardavano il canestro da ogni dove per poi riprendersi il vantaggio del terreno amico nonostante la rabbiosa rimonta firmata Kyrie Irving, alla fine Dallas è riuscita ad avere ragione degli avversari con una reazione da squadra vincente alla succitata sconfitta: +30 rifilato a domicilio in gara-5, +13 conducendo tutto il secondo tempo in gara-6. Finisce 4-2, è il turno degli Oklahoma City Thunder primi classificati.
Anche in questo caso non si inizia certo nel migliore dei modi: dopo un primo tempo a contatto i Mavs crollano al Paycom Center con un perentorio +22 della squadra locale per la quinta sconfitta su 5 in gara-1 nelle serie playoff allenate da Kidd. La reazione è di nuovo immediata: vittoria in gara-2 con Doncic e PJ Washington (5/8 per lo sloveno, 7/11 per l’ex Hornets) a crivellare dall’arco la retina avversaria e il redivivo Tim Hardaway Jr. ad aggiungere 18 punti, si torna a Dallas ancora una volta sull’1-1.
Irving non è nella sua versione offensiva migliore, tuttavia il copione si rivelerà poi lo stesso della serie con i Clippers: mentre Doncic pian piano supera le polemiche con gli arbitri e acquisisce sempre più fiducia malgrado il terribile duello difensivo con Lu Dort, Dallas concede di nuovo gara-4 in casa con una prestazione ai liberi indecorosa (12/23 in una gara persa di 4 punti e con lo stesso Doncic a commettere gli errori decisivi) ma risponde prendendosi d’autorità gara-5 in trasferta, con Luka a lasciarsi alle spalle la sconfitta con una tripla doppia da 31 con 12/22 e 5/11 da tre più 10 rimbalzi e 11 assist, e aggiudicandosi la serie in gara-6 dove uno straordinario Shai Gilgeous-Alexander non ha potuto nulla neanche in un finale punto a punto chiuso con due liberi di Washington.
La finale della Western Conference vede Dallas affrontare i lanciatissimi Minnesota Timberwolves di Anthony Edwards, freschi dell’eliminazione dei campioni in carica Denver Nuggets con tanto di rimonta da -20 in trasferta in gara-7. Quella che si preannunciava una serie all’ultimo canestro si è invece rivelata la perfetta fotografia della consapevolezza dei Mavericks di essere pronti per la lotta al titolo: 3 partite tirate, 3 vittorie Mavericks (e prima gara-1 vinta da Kidd come coach di Dallas) La coppia Doncic-Irving è devastante: 33 a testa in gara-3, 36 a testa in gara-5.
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L’ultima gara seguiva un’altra sconfitta in gara-4 per quello che si sarebbe poi rivelato solo il punto dell’onore per i Wolves, massacrati da Doncic che al termine del primo quarto aveva segnato più dell’intera squadra avversaria e con Irving a concludere il lavoro per trasformare il secondo tempo, di fatto, in un lungo garbage time. Dallas si prende il titolo di Western Conference, Doncic quello di MVP della serie: la finale NBA è realtà.
PUNTI DI FORZA
Il percorso dei Dallas Mavericks ha visto la costante crescita di una squadra che ora è una pretendente fatta e finita al Larry O’Brien Trophy. Dietro Luka Doncic e Kyrie Irving c’è infatti un sistema difensivo corale che soprattutto nel frontcourt aveva già mostrato un potenziale enorme in stagione regolare per poi esplodere in tutta la sua efficacia nei playoff.
Dallas alterna Daniel Gafford (che inizia le partite) e Dereck Lively (che spesso le conclude) nel ruolo di centro, due giocatori puramente interni controcorrente rispetto a quanto vediamo in questi anni e a quanto abbiamo visto anche nei playoff (Towns, Myles Turner, Al Horford, Brook Lopez… si fa prima a citare i centri che non tirano dall’arco)
I due sono entrambi rim protector d’èlite, pronti a schiacciare i lob di Doncic e Irving (14/16 combinato per Gafford e Lively in gara-2 con i Wolves, 16/16 totale nella serie per l’ex Duke) e se Gafford ha obiettivamente qualche limite in più una volta costretto a cambiare, Lively ha invece mostrato di avere le gambe anche per tenere gli esterni difendendo senza paura su Anthony Edwards e costringendolo a perdere il pallone decisivo in gara-2.
La maturità e la solidità mentale di Lively hanno fatto inoltre in modo che già nell’anno da rookie sia un giocatore da playoff tanto che Dallas ha sofferto la sua assenza in gara-4 con Minnesota. A proposito di solidità, non si può non citare il tentativo di hack-a-Dereck degli Oklahoma City Thunder in gara-3 che hanno provato così a rientrare togliendo dalla partita un giovane alla prima postseason: la risposta è stata un 4/4 che ha fatto passare alla difesa qualsiasi velleità di rinverdire i tempi di Shaq, Dwight Howard e DeAndre Jordan.
Restando nel pacchetto lunghi non possiamo inoltre prescindere dal parlare approfonditamente dell’impatto di PJ Washington, che rappresenta tutto ciò che nè Williams, nè Christian Wood e alla fine neanche Kristaps Porzingis avevano dato a Dallas gli scorsi anni: un’ala in grado di giocare da finto 5, che va forte a rimbalzo e che malgrado un tiro da fuori alla fine ondivago non disdegna di prendere (e mettere) le conclusioni pesanti.
Ambientato alla perfezione in Texas e con la sua posa al termine di una lite con Terance Mann già iconica, Washington (spesso devastante nelle gare contro i Mavs giocate con Charlotte) è un’arma tattica preziosa e consente a Maxi Kleber, unico che gioca davvero (con Josh Green che però all’epoca vedeva ben poco il campo) del supporting cast di Doncic nei playoff 2021 e peraltro rientrante (contro molte previsioni) da un pesante infortunio alla spalla, di ricoprire il ruolo in cui rende al meglio: quello di riserva da pochi minuti di qualità.
Le speranze di titolo NBA dei tifosi Mavs però sono in mano, inutile girarci intorno, a una delle coppie di esterni più devastanti dell’intera storia NBA: Luka Doncic e Kyrie Irving.
Dopo non averlo fatto nè con gli emergenti Jayson Tatum e Jaylen Brown a Boston nè con James Harden e Kevin Durant a Brooklyn, Irving ha accettato la convivenza cestistica con Doncic svolgendo un ruolo di equilibratore che mai gli avremmo ipotizzato ricoprire negli ultimi anni. La vera forza di Kyrie, oltre a una forma fisica che lui definisce la migliore in carriera, è stata finora lasciare spazio allo sloveno quando è in uno dei suoi momenti infuocati e prendere le redini della squadra quando l’ex Real Madrid va fuorigiri, interagendo continuamente e positivamente con lui per tenerlo mentalmente in partita.
Al di là del rapporto con Luka la clutchness di Irving ha ancora pochissimi eguali nel basket di oggi (forse nessuno) e quando il gioco si fa duro e Kyrie ha il pallone in mano si ha sempre la sensazione che sarà lui a risolvere la situazione. Tant’è vero che nelle prime gare, con Doncic meno incisivo delle sue cifre faraoniche sull’impatto della partita, ha concluso magistralmente il lavoro iniziato dal compagno di reparto.
Riguardo a Doncic, potremm0 dire che è primo in tutte le voci statistiche di questi playoff: punti, rimbalzi, assist, palle rubate (giusto perchè è un non difensore) canestri dal campo e triple realizzate (anche se a fronte di molti tentativi) ma questo non basterebbe nè a illustrare il suo vero potenziale anche in un contesto playoff, già messo in mostra nel 2022 col massacro dei Phoenix Suns in gara-7, nè come la sua leadership sia emersa soprattutto nella serie con i Minnesota Timberwolves.
La squadra di Chris Finch non ha trovato alcuna soluzione alla capacità di Doncic di giocare il pickandroll che può concludere con un lob per Gafford, Lively o Derrick Jones o andando al ferro sfruttando la solita combinazione devastante di fisico e controllo del corpo. La sua abilità di passatore regala inoltre spesso tiri con chilometri di spazio ai compagni e col passare delle gare ha accettato anche di impegnarsi maggiormente nella metà campo difensiva (così come Irving)
Aggiungiamo lo stimolo personale di portarsi a casa un titolo NBA dopo aver vinto tutto in Europa prima di compiere vent’anni e abbiamo un Doncic motivato, potenzialmente devastante e che sembra aver almeno parzialmente superato anche i problemi alle ginocchia che lo tormentavano ad aprile.
PUNTI DI DEBOLEZZA
Sono in tanti a vedere i Boston Celtics favoriti per l’anello NBA e non è un caso: per l’analisi approfondita rimandiamo all’articolo analogo che uscirà sulla squadra di Joe Mazzulla ma possiamo anticipare che la squadra rappresentante la storica franchigia del Massachussetts ha sicuramente un grado di affiatamento molto alto con i suoi giocatori principali che giocano insieme da anni e sono ora decisi a coronare lo stint vincente con un titolo.
Al di là delle questioni “morali” come potrebbero essere il ritorno dell’odiatissimo avversario Irving a Boston in una finale o la sfida tra Doncic e Porzingis protagonisti di una convivenza non sempre idilliaca a Dallas, possiamo cominciare questa sezione dal fatto che Kyrie incontrerà sulla sua strada forse il peggior difensore possibile: Jrue Holiday.
Acquistato in extremis in estate al posto di Marcus Smart col preciso compito di portare i Celtics al titolo, rispetto all’Anthony Edwards che poco ha potuto con l’Irving dei playoff 2024 Holiday è un avversario più esperto e con grandi capacità sia atletiche sia di lettura. Facile quindi presupporre che Irving avrà vita molto meno facile giocando peraltro come accennato in un TD Garden pronto a fischiarlo appena sceso dal pullman.
Spostandoci sulle ali una delle armi tattiche dei Mavericks più apprezzate nei playoff, anche grazie all’ottima intesa con Doncic, è stato indubbiamente Derrick Jones Jr. che ha rinverdito a tratti addirittura i fasti dell’era Shawn Marion. Anche per l’ex Bulls però il compito si presenta ora davvero ingrato: quello di alternarsi in difesa sulle due stelle dei Celtics, Jaylen Brown e Jayson Tatum, due ossi potenzialmente durissimi per un giocatore che comunque a 26 anni si era ritrovato senza squadra.
Jones condividerà con Washington e Josh Green un altro onere pesante, quello di prendere tiri dall’angolo che spesso sono risultati la soluzione di riserva quando Doncic o Irving subiscono raddoppi. Il piano partita degli Oklahoma City Thunder peraltro era proprio quello di scommettere sulle triple dei succitati; finora è andata bene ai Mavericks ma i tre rimangono tiratori ondivaghi e non delle sentenze.
Dallas non ha inoltre un cecchino da tre punti dalla panchina (a meno di considerare tale Tim Hardaway, e credetemi, non è così neanche per sbaglio con l’ex Knicks attualmente addirittura fuori dalle rotazioni di Kidd) ed è quindi probabile che in caso di serata storta al tiro l’area risulti congestionata impedendo, o comunque limitando, le incursioni di Doncic e Irving.
Il tallone d’Achille per i Mavericks potrebbe però rivelarsi proprio quello che è stato uno dei punti di forza della squadra di Kidd: il frontcourt. Daniel Gafford e Dereck Lively (entrambi alla prima finale NBA, ricordiamolo sempre) dovranno vedersela con un Al Horford letale dall’arco nella serie con gli Indiana Pacers e col rientrante Kristaps Porzingis dovendo quindi giocoforza uscire sul perimetro con tutte le conseguenze del caso (l’alternativa è sfidarli al tiro e ritrovarsi con molta probabilità crivellati di triple frontali)
Il ritorno di Porzingis in particolare sarà un importantissimo banco di prova per Lively che finora ha sfruttato le lunghe leve e l’agilità per dominare sotto canestro e a rimbalzo e troverà ora un giocatore dalle leve più lunghe delle sue (a meno che Porzingis non metta le tende fuori dall’arco come faceva troppo spesso a Dallas)
Tutte queste considerazioni lasciano supporre che sarà Luka Doncic il vero ago della bilancia per i Dallas Mavericks. Se lo sloveno attraverserà uno di quei periodi in cui è immarcabile come in gara-5 coi Wolves le possibilità per i Mavs aumenteranno, non solo per Doncic ma anche perchè ci saranno più occasioni di gloria anche per il supporting cast. In una frase, non mi aspetto che siano i comprimari a risolvere la serie al posto dei due big dei Mavericks.
Tra l’altro è possibile che Doncic trovi sulla sua strada Jaylen Brown, MVP della Eastern Conference a suon di prestazioni roboanti che lo hanno fatto preferire per lunghi tratti a Tatum durante i playoff dei Celtics e difensore assolutamente da rispettare. Proprio il grande stato di forma fisica e mentale di Brown è un’ulteriore arma in grado di fare la differenza per la squadra di Mazzulla, più che mai decisa, come più volte rimarcato, ad aggiudicarsi il Larry O’Brien Trophy che troppo spesso le è sfuggito in passato.
Sotto la copertura di un tranquillo (si fa per dire) insegnante di matematica si cela un pazzo fanatico di tutto ciò che gira intorno alla spicchia, NBA in testa. Supporter della nazionale di Taiwan prima di scoprire che il videogioco Street Hoop mentiva malamente, in seguito adepto della setta Mavericks Fan For Life.