Anche gli Dei a volte cadono dalle pendici dell’Olimpo. Il tre volte MVP, una volta campione NBA e MVP delle Finals lascia anzitempo questi Playoff con una bruciante sconfitta tra le mura di casa. A sorpresa? Sì e no.
Niente bis per le Pepite di Denver, niente scalata dell’Everest in due ore per OKC. Ai Thunder non riesce la promozione dai bassifondi alla top 4 della lega in una sola stagione. E ora a sfidarsi per il trono del Pacifico ci saranno i Lupi e gli Stalloni selvaggi. Ma andiamo con ordine.
OKLAHOMA CITY THUNDER (1) vs DALLAS MAVERICKS (5): 2-4
Per Gara-5 si ritorna in quel di Oklahoma City. Gradinate blu scuro, tifo sfegatato (elemento che al Paycom Center non è mai mancato). Non cambia nulla. Perché la Dallas degli ultimi due mesi farebbe paura a tutti: per determinazione, forza mentale, abilità di vincere con le unghie e con i denti. E soprattutto perché chiunque può accendersi da un momento a un altro e diventare quell’X Factor che fa passare i texani dal baratro della sconfitta all’estasi di una vittoria. Niente da fare per i Thunder: gli ospiti passano 104-92. Merito della tripla doppia da 31 punti, 10 rimbalzi e 11 assist di Luka Magic. E di un sorprendente Derrick Jones Jr. che piazza 19 punti tirando con il 77,8% dal campo. In doppia cifra anche PJ Washington, Kyrie Irving e Dereck Lively. Per i padroni di casa la storia è sempre la stessa: Holmgren e Williams pagano l’inesperienza e non riescono a essere incisivi a sufficienza (11 su 24 in due). Di Giddey non se ne parla nemmeno perché sembra scomparso dal parquet rispetto al playmaker che aveva a tratti dimostrato di poter essere nell’ultima annata. E il povero Shai Gilgeous-Alexander rimane isolato con il suo perenne trentello e poco altro.
Per il primo elimination game si va all’American Airlines Center di Dallas. Dalla palla a due all’ultimo quarto comandano – un po’ a sorpresa visto il momentum della serie – gli ospiti. I Thunder toccano il +17 grazie ai 36 punti di Shai e ai 43 della coppia Williams-Holmgren. Dallas rimane aggrappata. Prima di testa, poi con i colpi dei soliti moschettieri. La tripla doppia di Doncic (29-10-10) e Irving (per lui 22 punti). E ancora una volta Derrick Jones Jr., che eguaglia sul tabellino l’ex Celtics e Nets. Si arriva tiratissimi negli ultimi minuti. Vantaggio OKC, controsorpasso Dallas, e così via. Fino a 70 secondi dalla fine, quando Irving sigla il +5 con un jumper. Finita? Macché. Tripla e tiro libero di SGA, schiacciata di Holmgren e in trenta secondi è +1 per i Thunder. Purtroppo per Shai, però, tanto la fa che alla fine la disfa. Va per stoppare una disperata tripla di PJ Washington, fallo e lunetta della vittoria per l’ex Hornets: 116-117 per Dallas. Con la netta impressione che la qualificazione, per quanto sudata, sia stata meritata. E che chiunque vinca tra Boston e Indiana (quindi i primi) non abbia molta voglia di trovarsi contro quella che ormai è la corazzata di Jason Kidd.
DENVER NUGGETS (2) vs MINNESOTA TIMBERWOLVES (3): 3-4
Per chi aveva seguito la serie fin dall’inizio, la fine era ciò di più impronosticabile ci fosse. Forse. Due vittorie di fila per Minnesota, poi tre dei campioni in carica. Ci si aspettava il secco 4-2 di Jokic & co. Ma il basket è un’opinione, a differenza della matematica. E quell’opinione la stabiliscono i dieci in campo con le canottiere. Anthony Edwards aveva avvertito tutti dopo Gara-5, soprattutto un inserviente della Ball Arena: “We’ll see you for Game 7”.
Reporter: “Did you really tell the locker room staffer in Denver you were going to be back for Game 7?”
Anthony Edwards’: “Hell yeah! They know. Y’all was in there. I told them, ‘I’ll see y’all motherf*ckers for Game 7.'” 🤣pic.twitter.com/IR3SMjQKWN
— ClutchPoints (@ClutchPoints) May 17, 2024
Promessa mantenuta, in maniera alquanto roboante: i Timberwolves dominano in casa 115-70 dopo aver toccato addirittura il +50. Denver ammutolita, con Jokic che riesce a racimolare solo 22 punti e il trio Murray-Gordon-Porter che ‘contribuisce’ solamente con 30. Dall’altra è l’Anthony Edwards Show. Non tanto per i numeri (27 punti, 4 rimbalzi e 4 assist), ma per la solita spettacolarità di questo giovanissimo fenomeno. Per quelle sette dita alzate al cielo a nove minuti dal termine del quarto quarto, come a dire ai campioni NBA in carica: “Ci vediam là”. Non secondario il ritorno di Mike Conley e il contributo di un sempre più fondamentale Jaden McDaniels (21 punti) mentre Gobert e Towns possono prendersi un giro di relativo riposo in vista di una Gara-7 dai toni ben più accesi.
Si va in Colorado per il secondo win or go home della domenica, per decidere chi sfiderà i Mavs di Doncic. Dopo un primo quarto da botta e risposta i Nuggets prendono il largo. All’intervallo lungo Edwards ha 4 punti, dall’altra Murray ne ha 24 e Jokic 13 con già 15 rimbalzi. In dodici minuti cambia tutto. Rientrati dagli spogliatoi Denver tocca il + 20 poi si spegne completamente. All’inizio dell’ultima frazione Minnesota (fuoricasa in una Gara-7, ricordo) ha già rimontato tutto il vantaggio e ha preso il controllo della partita. Solo 4 giocatori dei Nuggets segnano nel secondo tempo, due di questi sono Porter Jr. e Braun che accumulano 5 punti complessivi). Altrettanti vanno in doppia cifra negli ultimi 24 minuti per Minnesota. Una marea incontrastabile guidata da Towns e da un Gobert che si improvvisa Steph Curry.
I’ve watched decades of Minnesota sports.
Next to the Minneapolis Miracle, I don’t know if I’ve ever yelled louder than when I did seeing this.
A Rudy Gobert turnaround fadeaway over Nikola Jokic IN GAME 7 is crazy. I love it. Rudy deserved that.pic.twitter.com/937aC2pjyB
— Shahbaz Khan (@ShahbazMKhan) May 20, 2024
Il risultato? 98-90 per i T’Wolves, autori della più ampia rimonta in una Gara-7 della storia NBA. Grazie ai 23 di McDaniels e di KAT, grazie ai 16 di Edwards, i 13 di Gobert, gli 11 di Reid e i 10 di Conley. E i 69 della coppia Jokic-Murray sembrano un tesoretto troppo piccolo per una squadra che forse si è seduta troppo sui suoi allori. Che forte di avere come centro e guida il miglior giocatore della NBA non ha migliorato il suo roster. E che ha sottovalutato un avversario che – a livello di talento grezzo e grinta – è forse il più temibile delle quattro rimaste.
23 anni, folgorato fin da bambino dal mondo americano dei giganti NBA e dei mostri NFL, tifoso scatenato dei Miami Heat e – vien male a dirlo – dei Cincinnati Bengals. Molto desideroso di assomigliare a un Giannis, basterebbe anche un Herro, ma condannato da madre natura ad essere un Muggsy Bogues, per di più scarso.