È arrivata l’ora dei verdetti anche nella Eastern Conference. Anzi, si è già compiuta nella sua alba e ora attende tempi più maturi per incoronare i due sfidanti che si contenderanno il trono della costa atlantica d’America. Il primo turno degli NBA Playoffs 2024 si chiude non senza sorprese. Anche se rimangono deviazioni dallo script abbastanza prevedibili se si tiene presente del complesso intreccio di fattori che influisce durante una lunga stagione di basket: forma, profondità della rosa, infortuni e il vecchio ma sempreverde fattore c

Una cosa è certa: ci eravamo lasciati al commento di metà serie con una situazione, e i pronostici di una settimana fa sono stati tutti rispettati. Nessun ribaltone dell’ultima ora, insomma. Ma vediamo le situazioni una per una.

BOSTON CELTICS (1) VS MIAMI HEAT (8): 4-1

Ci eravamo lasciati con un Derrick White dominante e con una Boston due volte corsara in terra di Florida. Ci rivediamo con il più classico degli epiloghi: TD Garden, opportunità di chiudere la pratica, Jason Tatum. Vita facile, troppo , per i Celtics: 118-84. Doppia doppia per JT (16 punti e 12 rimbalzi), 25 punti a testa per Jayler Brown e per l’ormai solito Derrick White. Mai una speranza per degli Heat che senza due top player come Butler e Rozier avevano una capacità offensiva limitata. E – bisogna dirlo – avevano il compito ingrato di affrontare la prima della classe in una stagione dominata dai verdi del Massachusetts.

Per Boston i segnali sono più che positivi. In attacco hanno dominato una serie in cui Tatum si è qualificato come il terzo miglior marcatore della squadra e in cui ha tirato con il 29% da tre. Certo, nonostante le percentuali arranchino un po’ l’ex prodotto di Duke ha comunque chiuso con una doppia doppia abbondante di media (21.8 punti e 10.4 rimbalzi). Ma la notizia che più deve far sorridere coach Mazzulla è l’esplosione di White. Addirittura 48% da tre e 58% dal campo, garantisce ai Celtics una terza opzione di attacco con Porzingis ai box. Un’opzione che, partita dopo partita, sembra diventare sempre più affidabile.

Per Miami non ci può essere rammarico. Una stagione di alti e bassi è terminata con un basso. Come prevedibile, soprattutto date le carenze di roster e la sfortuna per quanto riguarda il reparto di infermeria. È probabile però che per il prossimo anno si possano rimescolare molte carte, anche perché nella conferenza stampa di fine anno Pat Riley non si è particolarmente trattenuto.

NEW YORK KNICKS (2) VS PHILADELPHIA 76ERS (7): 4-2

Era la serie più preannunciata, le prime quattro partite hanno confermato il perché. Sfottò, proteste, contestazioni all’arbitraggio, rimonte dell’ultimo secondo: in una parola equilibrio. L’1-3 con cui Philadelphia entrava nel primo elimination game sembrava ingiusto, e forse parzialmente lo era. Poco conta, perché Gara-5 nella tana del lupo (Madison Square Garden) è un assolo di violino di Tyrese Maxey. Che, per la cronaca, molte squadre NBA e molti GM devono ancora spiegare come cavolo sia scivolato fino alla scelta numero 20 del suo Draft.

Per la guardia ex Kentucky sono 46 punti di cui 22 tra quarto quarto e tempo supplementare. Di questi, 7 negli ultimi 25 secondi di gara per impattare sul 97 pari e strappare 5 minuti di gioco aggiuntivi. Il 57% da tre, i 9 assist… a superstar in the making, letteralmente. Al suo fianco, questa volta non nel ruolo di Batman mascherato ma più di Robin, il solito Joel Embiid. Per il neo-statunitense la più classica delle triple doppie: 19 punti, 16 rimbalzi e 10 assist. Perché i grandi giocatori fanno così: anche se la palla fatica a muovere la retina, il modo per incidere lo trovano. Sempre. Vincono i Sixers 112-106, e si torna in Pennsylvania.

Gara-6, 3-2 NY ma i bluarancio sono spalle al muro. Who else but Brunson? Perché se dalla parte della squadra di casa si risveglia Embiid (39 per lui con 13 rimbalzi), la costante per Thibodeau ha un nome e un cognome. Jalen Brunson, un fe-no-me-no. Fate la divisione in sillabe, urlatelo, sussurratelo, imbarazzatevi nel dirlo al bar mentre parlate ad amici. La verità rimane quella: i 4 anni a 104 milioni per cui tutti si erano scandalizzati ora sembrano essere tra i migliori contratti della lega. E 29 squadre su 30 si inginocchierebbero sui ceci per avercelo. Per l’ex Mavs (chi più di Cuban si sta mangiando le mani?) sono 41 punti e 12 assist. Il fido scudiero Josh Hart arrotonda con la classica partita di tutto cuore: 16 punti e 14 rimbalzi. I Knicks chiudono la serie 118-115. Jalen Brunson prende la corona dalla Statua della Libertà e la indossa, dopo 6 partite in cui ha viaggiato a medie non umane: 35.5 punti con il 43% dal campo e 9 assist.

MILWAUKEE BUCKS (3) VS INDIANA PACERS (6): 2-4

Eccola l’unica vera sorpresa. Ma non sorpresa sorpresa, ecco. Un upset da divano insomma, di quelli che non ci si spiega solo se per otto mesi si è guardato solo il cricket. Perché Indiana segnali di questo genere li aveva dati da inizio anno, e i Bucks avevano dimostrato più di una volta le crepe a livello di roster e di franchigia. L’addio di coach Adrian Griffin e l’arrivo (a dir poco fallimentare visto il record di 17-19) di Doc Rivers. La sfortuna dei KO di Damian Lillard e Giannis Antetokounmpo (ma perché il greco era in campo nei garbage time di fine stagione senza più nessuna posta in palio?). Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare… Rick Carlisle e i suoi Pacers se la sono guadagnata, sudata, vinta. Chapeau.

Torniamo a noi. Perché in realtà Gara-5, che sembrava dover scrivere la parola fine sulla serie, è vinta a sorpresa dai Bucks: un sonoro 115-92. Indiana è moscia, non so se per troppa sicurezza di sé vista l’assenza delle due stelle avversarie o perché, da squadra giovane e inesperta, le ginocchia un po’ tremano. Legittimamente. Per i Bucks la vince la garra e l’esperienza. Tre doppie doppie di veteranissimi: Bobby Portis (29 punti e 10 rimbalzi), Khris Middleton (29 punti e 12 rimbalzi) e Patrick Beverley (13 punti e 12 assist). Da segnalare il plus minus di Pat Bev: +36 in 36 minuti di gioco.

Ma è chiaro che il miracolo non può durare a lungo. Anzi, a dir la verità dura davvero poco. Basta Gara-6 in terra Pacers per spedire Giannis e compagni a Cancun. Indiana trionfa 98-120 davanti al suo pubblico. Non vincevano una serie di Playoffs dalla stagione 2013-2014, quando a trainare il carro c’era un certo Paul George. A poco vale il ritorno di Lillard con i suoi 28 punti, i 40 del duo Portis-Lopez. I 12 di Carlsile entrano sul parquet assatanati e ne escono trionfatori. Sei in doppia cifra (15 di Nesmith, 19 di Siakam, 14 di Nembhard, 17 di Haliburton tra i titolari). Hali ci aggiunge 10 assist, e la panchina mette la ciliegina sulla torta con i 20 + 9 assist (con il 78% dal campo!) di un pazzesco TJ McConnell e i 21 di Obi Toppin. Bye bye Bucks. Indiana chiude la serie senza un protagonista. Ed è questa la sua forza: se non funziona Haliburton c’è Siakam, se non funziona Siakam c’è Turner, e così via. There’s no I in team, per citare Shaquille O’Neal. E i Pacers ne sono la perfetta incarnazione.

CLEVELAND CAVALIERS (4) VS ORLANDO MAGIC (5): 4-3

L’equilibrio sul 2-2 doveva essere spezzato in qualche modo. Anche perché la matematica, fino a prova contraria, non è un opinione e dopo il 2 c’è il 3. Da definire era chi se lo sarebbe guadagnato per primo. Semplice: seguendo la regola delle prime quattro gare… chi gioca in casa vince. Alla Rocket Mortgage FieldHouse di Cleveland sono proprio i Cavs a spuntarla in Gara-5 per 104-103. Dalla parte di Orlando a poco valgono gli heroics di Banchero (39 punti di cui 16 nell’ultimo periodo). Anche perché il supporting cast a disposizione di coach Mosley non rende quanto avrebbe dovuto. Per la squadra di casa ci pensano i soliti noti: 28 punti per Mitchell, 23 per Garland e doppia doppia da 14 punti e 13 assist per Mobley. Che ci aggiunge anche una pregiatissima stoppata su Wagner per sigillare la vittoria.

Per Gara-6 si torna nel nord della Florida. E – indovina indovina – vince Orlando: 96-103. Per rispondere ai 50 soldini che Mitchell si piazza in saccoccia ci vuole un team effort. Quello che era mancato in Ohio e quello invece che riesce al Kia Center. Non servono tanti nomi o tanti contributi. Ne bastano tre: Banchero (27 punti e 8 rimbalzi), Wagner (26 punti) e Suggs (22 punti e 6 rimbalzi). Gli ultimi 5 minuti di gara i Magic prendono il pallino del gioco e non lo mollano più. Resistono alle ondate mitchelliane e forzano Gara-7.

Ed è proprio nel primo e unico win or go home del primo turno che il verdetto si concretizza. Siamo a Cleveland, chi vincerà mai? I Cavs questa volta faticano di meno, nonostante un primo tempo sottotono. Banchero fa ancora la voce grossa per Orlando (38 punti per il prodotto di Duke), ma ancora una volta i compagni non gli danno una mano. Stessa storia per la franchigia dell’Ohio: 39 punti del solito Donovan Mitchell e poco altro. Ma quel poco altro basta… 106-94 e secondo turno prenotato contro i Boston Celtics.

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