Mancano pochi secondi al termine di uno dei più umilianti ed imprevisti sweep della storia NBA, perpetrato dalle giovani leve di Minnesota ad un (presunto) dream team obbligato a vincere: ed ecco che Kevin Durant porge le spalle a compagni e panchina e si dirige furtivo verso Anthony Edwards, nuovo clone di Jordan e Kobe nonché dominatore della serie a suon di canestri e trash talks, lo abbraccia affettuosamente, gli batte i pugni sulla schiena e mormora qualcosa alle sue orecchie.
Bene, una scena simile serve a racchiudere un po’ tutta la stagione di Phoenix e la oramai acclarata assenza di leadership ed empatia che KD si porta appresso.
Poi, ed in maniera assolutamente prevista per chi segue da 16 anni le sue vicende, immancabili arrivano via internet dichiarazioni di scontento per come il coaching staff offensivo non abbia sfruttato appieno skill proprie e degli assi a lui limitrofi. Ancora più avanti, e sempre scontate, partono le probabili future destinazioni dell’ex Sonics e tutte le trade e asset che lo potrebbero far emigrare ancora una volta altrove a caccia di titolo.
Quanto accaduto a Phoenix quest’anno ha aperto gli occhi un po’ a tutti, tolto ulteriore appeal su Durant e soprattutto accertato quell’amara verità che si cela dietro un campionissimo del genere e che spesso è stata discussione da bar di tutti gli appassionati: come spesso ha rimproverato Shaquille O’Neal infatti, l’unico modo per vincere un anello per KD è stato facendo da spalla a qualcuno.
Alla fine ha pagato Frank Vogel, criticato come detto dall’ex Texas College per troppa sobrietà offensiva, ma che poi non è stato altro che un semplice esecutore proprio delle sue richieste recondite, assieme a quelle di Booker e Beal, trio mangiapalloni allergico a difesa e sacrificio!
Difatti, i numerosissimi possessi per gara a loro destinati in isolamento, sono stati una delle cause che non ha permesso a Phoenix per esempio di sfruttare l’ottima verve dall’arco di Allen, a lungo leader di categoria, O’Neale e il vecchio Gordon, 3&D grazie anche ai quali i Suns hanno primeggiato nelle percentuali da tre a fronte però di scarne conclusioni (25° piazza).
Un gioco quindi lento e cadenzato, opposto alle caratteristiche small in voga negli ultimi lustri e che qui poteva eccome funzionare, apparso spesso sfilacciato, nel quale fra i tre registi a turno palla in mano, i difensori perimetrali e il non più terzo violino ma ormai onesto mestierante sotto canestro Nurkic, sembravano esserci chilometri di distanza.
Come scritto per i Clippers tempo fa, da noi criticati nonostante strisce aperte e fiducia, la NBA non fa sconti a nessuno, né per età anagrafica, né per playbook egoistici e nemmeno sulla mentalità vincente, cosa che non si acquista ma vive nel DNA di un individuo, e che Durant, Booker e Beal possono solo ammirare in Anthony Edwards!
Il fallimento epico di KD fa passare in secondo piano quello di Booker, insieme ad Ayton, Bridges e Johnson a un passo dal titolo anni fa, quando l’ultimo prime di Chris Paul – lui sì un leader – li aveva accompagnati in prestazioni d’elite, col vecchio saggio ad elargire lezioni di personalità sul parquet e loro limitati perciò “soltanto” a compiti realizzativi. Una volta conclusa la magia di CP3, Booker è tornato quel fenomeno da playground a cui affiancare una balia, che evidentemente non corrisponde alle generalità di Durant e Beal.
La dirigenza perciò ha provato un all in sul quale c’è poco da discutere, dato che merce libera ce n’era poca, ma che potrebbe essere una pietra tombale per il futuro e dal quale è impossibile uscire.
I 25 milioni da luxury tax e i 130 impegnati per i Big Three che diverranno 162 fra due stagioni sono nulla rispetto alle grigie prospettive future, che mettono l’invadente Matt Ishbia di fronte all’obbligo di continuare con lo stralunato e confuso roster odierno, anziché programmare una benchè minima rebuilding almeno fino al 2030! Il fantasma dei Nets, rimasti di nuovo con le briciole in mano e pieni di macerie per gli strampalati tentativi di contendere nel passato recente, qui echeggia di continuo.
Due secondi giri da Spurs e Boston sono infatti il magro bottino a cui attingere entro il 2028, a fronte dei ben 14 (7+7) fra primi e secondi ceduti fino al 2030 a Washington, Brooklin, Memphis e chi più ne ha più ne metta.
L’analisi di questi dati, dopo la netta e perentoria sconfitta con Minnesota e le dichiarazioni di chi abbandona la nave in avaria, potrebbero avere risvolti sportivamente drammatici. Inoltre, se appare scontato che Gordon e O’Neale non ritorneranno il prossimo anno, fanno altresì male la svalutazione di Okogie – unico giovane sul quale si puntava forte da un paio di annate – e il poco spazio salariale per rinnovare Grayson Allen, alla stagione most improved nonostante le poche mattonelle da occupare, che potrebbero spingerli altrove.
Alla luce della nostra disamina ipotizziamo estati più roventi del solito nel già caldo deserto dell’Arizona, soprattutto perché come ampiamente detto margini di miglioramento non ce ne sono, la differenza con chi è andato avanti è abissale e non potrà che aumentare e l’idea di ringiovanire la rosa è un sogno che resterà nel cassetto fino al prossimo decennio!
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.