Mike Brown continua la sua proverbiale guida tecnica a Sacramento, mantenendo per il secondo anno consecutivo la capitale californiana nell’elite del basket mondiale. Inutile rimembrare le sconsiderate scelte dirigenziali degli ultimi lustri, che diedero ai Kings e alla loro straordinaria e rumorosa fanbase l’epiteto di barzelletta NBA, con la pesca di Bagley al posto di Doncic al primo posto inarrivabile.

Oggi invece è proprio dalle stanze dei bottoni che si notano i maggiori miglioramenti, con il lavoro di Monte McNair che ha iniziato a dare i suoi frutti dopo la disastrosa gestione Divac, scegliendo giocatori di utilità nel backcourt da affiancare al diamante Fox, Mitchell ed Ellis su tutti, rinunciando al salario di uno scorer del calibro di Hield poco propenso però a sacrifici difensivi, evitando movimenti in deadline, siglando contratti sobri.

Haliburton poi si è palesato una delle maggiori steal di sempre al draft, ma pure qui si è oculatamente convenuto di sacrificarlo in una blockbuster trade con la quale accaparrarsi Domantas Sabonis ed evitare dualismi con Fox. Come è andata a finire? Domas e De’Aaron sono oggi un one two punch secondo a nessuno, che sta indirizzando i destini della Sac Town costantemente al vertice.

Da due stagioni i Kings praticano quindi un grande basket collettivo sui due lati del campo e sono un esempio da seguire per tutti, giocandosi l’accesso alla postseason della terribile western conference senza superstar dal portafoglio ingolfato e un salary cap nella norma, avendo nel mirino i Clippers e precedendo Suns, Lakers e Warriors, ricchissime corazzate che a differenza loro campano sulla luna dei singoli. Insomma e per concludere il nostro prologo: in qualunque modo terminerà, anche questa tornata sarà un successo.

Ritmo frenetico, efficace giro palla e tantissime conclusioni open floor sono le armi che Brown chiede di usare alla truppa. Sacramento ha modificato la selezione al tiro, aumentando i tentativi dall’arco (39 da 37.3) e dallo short mid range rispetto alle conclusioni a ridosso del rim (29.4% dal 33.9) e ai long 2 points; inoltre, benchè in regia vi sia un solista dello spessore di Fox, i Kings sono quint’ultimi sia per possessi in pick and roll che negli isolamenti, segno inequivocabile che il basket corale di Brown prevede sostanzialmente due soluzioni: velocità e transizione!

L’assenza di Huerter  è purtroppo un macigno pesante da digerire, anche perché un infortunio alla spalla è difficile da smaltire in breve tempo, come dimostrano Josh Richardson e Julius Randle per fare due esempi attuali. L’ex Maryland è cresciuto negli anni e qui ha trovato la sua dimensione ritagliandosi quei piccoli ma decisivi spazi alle spalle di Fox e Sabonis, uscendo velocemente dai blocchi, proprio marchio di fabbrica al quale il coach ha sovente attinto per indirizzare le gare.

Alla sua assenza però, lo skipper ha subito trovato rimedi, dando più spazio a Monk a livello di qualità e scegliendo un altro giovane grezzo nel lineup iniziale, quel Keon Ellis che ora dà maggiore agonismo difensivo ma che non disdegna di stupire in attacco, come fatto nella basilare vittoria ad Orlando (19pt, 6ast, 5reb, record di carriera)!

Dicevamo della coppia dei sogni.

Il lituano/americano è attualmente il centro più completo e decisivo dietro a Jokic, primo staccato fra i lunghi titolari in DefReb% a 29.8 e quinto nel PIE, performa da ogni mattonella ed è limitrofo alla tripla doppia annuale, un 20/13.7/8.3 assurdo. Nel momento in cui scriviamo Sabonis ha incamerato la 25° tripla doppia stagionale – raggiungendo i vecchi record dello stesso Joker, Westbrook, Oscar Robertson e Wilt Chamberlain – e la 54° double double consecutiva.

Top Ten NBA in Usg%, Fox è il leader maximo a Sacramento, un closer a cui Brown affida il destino di ogni scorribanda offensiva, ovviamente al ritmo di incessanti transizioni con le quali conclude ben 6.2 possessi per game, cifra numero uno di lega, nonché i game plane durante il clutchness.

Che le sue qualità fossero queste lo si sapeva da anni, quando apparivano però fini a se stesse, mentre adesso e forse per l’enorme responsabilità acquisita dopo la rinuncia ad Haliburton sono affiancate da una maggiore dedizione al sacrificio.

Sognare non fa mai male, e le prestazioni dei Kings giustificano fantasie estreme. Innanzitutto primo obiettivo nel presente è evitare il play-in e lo spettro di una sfida eventuale contro Suns, Lakers o Warriors; nel mirino poi non è vietato mettere i mai rassicuranti e sempre discontinui Clippers di ogni fine anno e soprattutto New Orleans, squadra lanciatissima ma che dovrà fare a meno per un po’ di Ingram, mentre d’altro canto fa paura Dallas in netta risalita.

Il calendario è tutt’altro che benevolo con otto scontri diretti mozzafiato all’orizzonte, ma degli ultimi 11 matchup ben 7 si disputeranno nel fortino casalingo del Golden 1 Center!

Forse Sacramento ha raggiunto il massimo del suo potenziale, ottimo senza dubbio, ma forse insufficiente per ambire ai livelli di Boston, Denver, Minnesota o Milwaukee. Nel futuro prossimo i 111 milioni impegnati a libro paga per Fox, Sabonis, Huerter e Barnes ne lasciano circa 18 disponibili per una nuova firma e qui ci sarà da prendere l’ennesima giusta decisione.

Le perplessità graviteranno certamente sul confermare il pregevole roster attuale, come detto però lontano dalla gloria, ri-firmando il sesto uomo dell’anno Monk, qui felice e resuscitato, oppure andare all in nella free agency o in trade, puntando e rischiando la posta massima su un nuovo terzo (o quarto) violino.

Se LeBron, Maxey, Holiday e Harden sono fuori portata, vuoi per l’ingaggio che per il ruolo “alla Fox”, intriga un’ulteriore rinascita in Miles Bridges o l’usato garantito di DeRozan, Siakam o addirittura Tobias Harris.

Siamo sicuri che anche qui si faranno le giuste valutazioni, pure perché se il novello Pacers era già nel taccuino di McMair nell’ultima deadline assieme a Jerami Grant, col senno di poi possiamo dire che i rumors del passato su Lavine e Kuzma vengono visti oggi come pallottole schivate.

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