Record: 34-26. Primi nella Southeast Division. Settimi nella Eastern Conference, occupando proprio il primo posto per giocarsi l’accesso alla postseason tramite il Play-in. Una ricetta che gli scorsi anni abbiamo visto più volte avere enorme successo con i Miami Heat. E che ora vede invece protagonista, a braccetto con la squadra di South Beach, l’altra franchigia della Florida. E sì, sono proprio gli Orlando Magic.

L’ultima partecipazione ai Playoff risale alla stagione 2019-2020, seppur con record negativo. Per un record positivo bisogna andare indietro di un altro anno, al duo Aaron Gordon-Nikola Vucevic del 2018-2019. Ere geologiche fa nella NBA di oggi. Perché i giocatori vanno e vengono, esplodono e si spengono. E se a questo si aggiunge l’incognita infortuni, che non è certo stata clemente con Orlando, si può facilmente comprendere la fatica che i Magic hanno fatto a uscire dall’oblio del rebuilding team.

Rinascita in trincea

Una scalata fuori dalla fossa che parte nella metà campo difensiva. Forse paradossalmente, dato che in una statistica avanzata come il defensive rating (punti concessi ogni 100 possessi) Orlando non si piazzava nella top 5 della lega da 15 anni. Ma i tempi del basket sono cambiati eccome: se nel 2010 con un 103 di defensive rating si era terzi per defensive rating, ora anche un 112.2 vale la quarta miglior stat. Niente di strano, niente da demonizzare. Semplicemente le lancette dell’orologio che fanno il loro corso e spostano la palla a spicchi verso un gioco più spettacolare, più offensivo. Esattamente il movimento opposto della squadra di Jamahl Mosley.

Scelta direzionale che si poteva già intuire la notte del Draft. Dopo anni di scelte prettamente offensive (da Cole Anthony a Paolo Banchero, passando per Jalen Suggs e Franz Wagner), i floridiani hanno preferito concentrarsi su prospetti ancora acerbi ma già stabili nella metà campo difensiva. Su tutti la guardia Anthony Black. Il lavoro decisivo, però, è stato sicuramente quello di trasformare attacking players in two-way players.

In fondo i due rookie, Black e Howard, non sono integrati a ritmo costante nelle rotazioni. Si tratta quindi dello stesso roster dell’anno passato. Ma il record e le performance difensive sembrano quelle di due squadre completamente diverse. Da sedicesimi e quarti in defensive rating, da 114 punti concessi (15esimi nella NBA) a 110 (quinti). Un netto miglioramento che deriva da molti fattori.

I Magic sono la seconda squadra nella lega per turnover forzati (15.1 a partita), primi per minor numero di tiri (84.7) e di rimbalzi concessi (40.4 di cui 9.3 offensivi). Già solo da questi dati sono evidenti i fondamentali su cui lo staff di Mosley si è concentrato. In poche parole: lasciare meno opportunità possibili agli avversari di segnare. Sporcando tutti i palloni (circa il 13.7% dei possessi avversari finiscono con una palla persa) e togliendo all’avversario la possibilità di giocare il pallone. Il tutto permettendo un effective field goal percentage del 54.5%, quattordicesimi nella NBA.

All’iperattività difensiva però non corrisponde un’altrettanto elevata efficienza offensiva. Una macchia nera che di certo in quel di Disneyland non è una novità degli ultimi mesi. La franchigia è tra gli ultimi dieci nella lega in statistiche chiave come punti a partita (111.5, 26esimi) e offensive rating (113.5, 23esimi). Ma anche tiro da tre punti (11 segnati a partita con il 35.4%, rispettivamente 30esimi e 25esimi), rimbalzi (31.9 a partita, 25esimi) e assist (24.8 a partita, 25esimi). Insomma, tutto o quasi. Sorge spontanea la domanda: come fanno ad avere un record positivo e a essere solo una partita dietro al quarto posto a Est?

I GIOCATORI CHIAVE

LA stella di diamante dello scacchiere di Mosley è ovviamente l’italian… pardon, l’americano Paolo Banchero. Rookie of the Year lo scorso anno, prima chiamata all’All-Star questa stagione. E in mezzo un mondiale deludente vissuto da protagonista con Team USA. I numeri parlano da sé. Rispetto alla seconda stagione, Banchero ha registrato ovunque un netto miglioramento statistico:

  • Punti: 20.0 –> 22.8
  • Tiro da due: 47.1% –> 48.8%
  • Tiro da tre: 29.8% –> 36.2%
  • Effective field goal percentage: 46.5% –> 50.1%
  • Assist: 3.7 –> 5.2
  • Palle rubate: 0.8 –> 1.0

A tutto questo ha aggiunto un pregevole (per quanto illegale, a causa di una violazione di passi non fischiata) game winner a Detroit.

Una crescita, partita dopo partita, che è sentita dai giocatori stessi. E che può avere una spiegazione tanto semplice quanto poco scontata: vincere aiuta a vincere. Vincere aiuta a divertirsi, e divertendosi si gioca molto meglio. Con il vantaggio che in una piazza come Orlando nessuno mette ai giocatori nessun tipo di pressione: la vittoria non è un must. Certo, si tratta comunque di giocatori professionisti, per cui andare a letto con una W in saccoccia rimane l’unica cosa che conta.

Accanto al miglioramento esponenziale di Banchero, è cruciale anche l’apporto dell’altra stella dei Magic. Ovviamente il tedescone Franz Wagner. Ala tutta classe al terzo anno nella lega, anche lui è nel pieno di una curva di crescita che non sembra debba fermarsi nel prossimo futuro.

  • Punti: 18.6 –> 20.6
  • Tiro da due: 54.4% –> 56.1%
  • Assist: 3.5 –> 4.1
  • Rimbalzi: 4.1 –> 5.6
  • Palle rubate: 1.0 –> 1.1

La diminuzione in percentuale da tre (da 36% a 30%) e in effective field goal percentage (da 54.3% a 53%) sono solo piccoli nei in un pacchetto offensivo micidiale. Ma notevole è anche la diversa attitudine difensiva per un giocatore che, quando era uscito dall’Università del Michigan tre anni fa, era noto per le sue doti di shot maker. Basti pensare che in tre partite consecutive in cui ha marcato Brunson, Gilgeous-Alexander e Garland, li ha costretti a un 4-13 complessivo.

La forza e la particolarità di Orlando, però, è che dietro alle due stelle c’è una miriade di giocatori che mettono la loro firma sui successi. A partire, nella metà campo difensiva, da Jonathan Isaac.

Dopo anni di calvario per infortuni, Isaac è tornato a dominare la metà campo difensiva. Uno dei migliori specialisti in circolazione, ha il miglior defensive rating della squadra (105 punti concessi ogni 100 possessi). Fenomenale difensore del pitturato ma al contempo capace di chiamare switch anche su giocatori più piccoli, circa l’8% di tutte le stoppate di squadra sono sua responsabilità. E gioca solo 15 minuti a partita.

Nell’altra metà del campo, invece, importante l’apporto di due giocatori: Jalen Suggs e Cole Anthony. L’ex Gonzaga è il terzo miglior marcatore della squadra con 12.3 punti a partita. A cui affianca 3.2 rimbalzi, 2.5 assist e 1.4 rubate, con prestazioni difensive sempre più convincenti. Anthony, suo compagno di backcourt, ha un ruolino di marcia molto simile: 11.9 punti, 4 rimbalzi, 3.1 assist e 1 rubata. Non è da trascurare sotto canestro la presenza di Wendell Carter Jr. Il giovane centro ex Chicago forma un formidabile tandem con Moritz Wagner, garantendo rim protection, agilità nel reparto dei lunghi ma soprattutto tiro (41.1% da tre il primo, 33% il secondo).

Rimane un mistero come Mosley sia riuscito a stravolgere l’andamento dei Magic in una singola estate. Di certo sono una piacevolissima sorpresa dopo anni di rebuilding a vuoto. E combinando giovane età medi e capitale di scelte al Draft, il futuro è luminoso. Sempre – è ovvio – Miami permettendo.

One thought on “Orlando Magic, la sorpresa della NBA arriva dalla Florida?

  1. Per vincere serve la difesa, il resto è optional. Specie nell’NBA di adesso dove a far canestro riescono in tanti. Se poi dovessero cambiare le regole per penalizzare un pochino gli attaccanti, sarà un bel regalo alle squadre già predisposte.
    Difetto di Orlando, come spiegato da Edo aka Campo Aperto: non hanno una precisa gerarchia interna, a differenza dei concorrenti Boston, Miami, Milwaukee… e se vogliamo far numero New York, Cleveland e Philadelphia.

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