I Cleveland Cavaliers sono la squadra del momento!

Una striscia pazzesca partita a gennaio li ha catapultati nel gotha del basket mondiale, grazie alla solita grandiosa regia di Donovan Mitchell, ad una ormai costante e impenetrabile retroguardia e al calendario benevolo che li ha messi di fronte a 12 team sotto il 50%. Bada bene, tra gli scalpi d’elite si trovano però anche Bucks (due volte), Kings, Magic e i caldissimi Clippers, battuti tutti nettamente con almeno 10 punti di scarto.

E sì che la stagione è stata travagliata e condizionata da infortuni pesanti, in primis quello di Garland, principale trattatore di palla assieme a Mitchell, e del lungo all around Evan Mobley, fulcro di ogni possesso a ridosso del pitturato nonché scelta da primo giro al draft fra le più azzeccate ed intelligenti degli ultimi anni.

La simultanea presenza dei due sul campo – riapparsa di recente e a streak aperta – ha perciò prodotto climax positivi e poliedriche alternative offensive, responsabili della quinta media NBA per punti segnati (120.4) nonché di un Off Rtg adesso a 116.6.

Ironico a dirsi ma nelle avversità i Cavs sono riusciti a sopravvivere e tenere duro nonostante 8 differenti lineup iniziali, mantenendo un record quasi sempre sopra al 50%, utilizzando fino a Natale il proprio quintetto titolare per soli 145 minuti. Non tutte le altre contendenti ad Est possono dire di aver fatto lo stesso, dato che la fortuna gira un po’ per tutti e nei momenti avversi bisogna sapersi far trovare pronti.

Celtics a parte, perché forti di un roster inarrivabile, sia Bucks che Sixers hanno perso terreno nei confronti dei Cavaliers, i primi a causa di malumori interni alla locker room e alla non fluida coesistenza fra Giannis e Lillard, e gli altri per l’incapacità di trovare alternative al monodimensionale strapotere di Embiid, ora fuori a lungo e perciò causa di sconfitte in serie.

In concomitanza alle disgrazie altrui, Cleveland si è ritrovata a ridosso dei primi 6 posti utili per i playoff, e nel momento in cui ha riabbracciato tutto il roster titolare ha improvvisamente accelerato distaccando i rivali. Da gennaio in avanti nessuno ha retto difatti il ritmo di Mitchell e soci, d’improvviso divenuti la prima squadra NBA, con 17 vittorie filate intervallate soltanto dalla sconfitta proprio a Milwaukee di fine mese, e causa dell’attuale secondo posto ad Est e terzo generale!

L’augurio è di proseguire sani fino alla post season, dato che oggi alla voce IR compare soltanto Ty Jerome, e guadagnare il fattore campo sino alla finale di conference, che nell’equilibrio generale potrebbe risultare decisivo.

Con la squadra al completo, importante anche se non appariscente risulta il ruolo di Max Strus, jolly offensivo abile ad uscire dal blocco e colpire come pure a dirigere i pick and roll per poi assistere jumper aperti.

Un ruolo, quello di playmaker “alternato”, inedito rispetto ai tempi di Miami, che costa sì inferiori percentuali dal campo e più turnover, ma consente ai suoi compagni di variare i possessi, sino allo scorso anno troppo incentrati sugli isolamenti di Mitchell.

Non è d’altronde casualità che sia proprio l’ex Heat uno dei simboli della nuova mentalità, che permette a tutti di esprimere feroce pressione sui portatori di palla, raddoppiare a zona e poi chiudere il pitturato con le ampie leve dei lunghi, sopperendo magari alla non eccelsa profondità qualitativa del roster con un’eccellente abnegazione difensiva.

In generale è la dedizione della propria metà campo da parte di tutti a fare la differenza, una prassi che JB Bickerstaff ha radicato qui da tre anni e che fa dimenticare gli anni di magra e delusioni. Ad est possiamo ormai affermare che oltre a quella Heat è presente pure la Cavs Culture.

Uniche pecche, a quanto pare non risolvibili sul breve, permangono le performance nei liberi e sui second chance pts.

Cleveland è una contender che può calare sul piatto difesa eccelsa, numerosi playmaker formidabili sia a creare dal palleggio che a performare senza palla in mano e un asso come Mitchell.

Spida infatti, è secondo a pochi altri nella capacità di incidere in ambedue le fasi del gioco portandosi dietro tutta la truppa, come dimostra il player efficiency rating vicino a 24! Il 5 volte All Star è un profilo MVP alla Jokic, che coinvolge i compagni (assist % 29.2, massimo di carriera), ruba palla e genera turnover, conquista rimbalzi, devia palloni, pressa contro tre ruoli e sa mettersi ovviamente in proprio: 28 punti per gara, 120 Off Rtg su 100 possessi e Ts% a .603! Player of the Month a gennaio e della week 16, è l’unico assieme a Gilgeous-Alexander che può vantare almeno 25 pts, 5 reb, 5 ast e 1.5 steal: chapeau!

Cosa manca dunque alla The Land per fantasticare? Se il sogno si chiama Finals forse nulla, d’altronde l’immobilismo in deadline parla chiaro: Koby Altman si fida del core a disposizione, un gruppo dove umiltà e work in progress rappresentano il know how aziendale.

E’ per l’appunto la lezione di Miami 2022/23 che ha dimostrato quanto sia possibile giungere all’epilogo conclusivo e giocarsi l’anello partendo dalla Eastern Conference. I Celtics ingiocabili da regular season se poi toccati nell’animo sembrano avere crepe importanti, Milwaukee e Sixers come detto difettano in coralità e Knicks e gli stessi Heat non hanno superstar.

Se poi si arrivasse al cospetto del Joker o di chiunque sopravviva al terrificante West draw, beh lì sarebbe invece effettivamente difficile immaginare i Cavaliers sul tetto del mondo. Ma d’altra parte, perchè non sognare?

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