Tra le franchigie più amate della National Basketball Association, pur non avendo mai vinto l’anello, rientrano sicuramente i Phoenix Suns. I rappresentanti dell’Arizona hanno accompagnato ben tre generazioni di appassionati a partire dai primi anni Novanta, quando Charles Barkley guidò i soli alla finale NBA arrendendosi solo ai mitologici Chicago Bulls di His Airness Michael Jordan in sei gare, passando poi per il seven seconds or less disegnato da Mike D’Antoni in panchina e orchestrato da Steve Nash in campo all’inizio del terzo millennio fino al presente che per il momento ha portato la terza finale NBA nel 2021 (che si aggiunge, oltre a quella del 1992, anche al primo atto finale disputato da Phoenix nel 1976 e perso contro i Boston Celtics di Bill Russell)

I Suns del Seven Seconds or Less

I Suns del Seven Seconds or Less

Tante squadre apprezzate da tifosi e appassionati, tanti giocatori indimenticabili passati per l’Arizona, eppure nessun titolo NBA in 55 anni di onorata militanza nella lega. Per cercare di invertire la tendenza e regalare al proprio pubblico la prima vittoria in campionato la dirigenza Suns ha optato per una vera e propria ricostruzione nella ricostruzione: via coach Monty Williams, salutati Chris Paul e DeAndre Ayton, largo ai Big Three in salsa Phoenix.

Ad affiancare il giocatore franchigia designato Devin Booker sono stati chiamati così Kevin Durant nella scorsa primavera (acquisto che non ha potuto evitare l’eliminazione al secondo turno per mano dei futuri campioni Denver Nuggets negli scorsi playoff) e Bradley Beal proveniente da Washington in cui per anni ha cantato e portato la croce da solo.

Piccolo particolare: i nuovi tre tenori della Western Conference non sono ancora riusciti a giocare insieme neanche un minuto di campionato.

Dopo un mese e mezzo Booker, Durant e Beal non hanno ancora esordito insieme

Dopo un mese e mezzo Booker, Durant e Beal non hanno ancora esordito insieme

Le stelle dei Suns sono infatti cadute una dopo l’altra. Beal ha disputato finora solo tre gare su 16 (con una sola vittoria, peraltro di un punto, contro i non esaltanti Bulls) frenato dal mal di schiena, mentre Booker dopo l’esordio vincente in casa dei Warriors si è a sua volta fermato per problemi prima a un piede, poi a una caviglia. Dulcis (mica tanto) in fundo lo stesso KD è precauzionalmente fuori combattimento da due gare e la sua presenza è in dubbio per il successivo impegno della sua squadra in casa dei Toronto Raptors.

La concomitante partenza molto faticosa dei Suns in regular season con 4 vittorie nelle prime 10 gare aveva già dato da discutere soprattutto ai critici del nuovo ciclo che però sono stati zittiti immediatamente nelle successive 7 partite, tutte vinte consecutivamente con Devin Booker rientrato come nuovo dopo la succitata serie di problemi fisici.

Gli interrogativi, comunque, rimangono: Phoenix ha fatto bene a optare per cambiare drasticamente una formazione che raggiungeva le finali NBA non più di due anni fa? Il cammino dei Suns continuerà a produrre risultati anche con l’esordio in contemporanea di Durant, Beal e Booker, tutti e tre realizzatori pressochè puri?

E in tutto questo, lo staff medico dei Suns, considerato d’èlite, che responsabilità ha sulla caterva di guai fisici piombata sul capo della franchigia?

Iniziamo subito col rimarcare come sia stato giusto cercare di cambiare da parte dei Suns che avevano sostanzialmente tratto il massimo dal precedente roster guidato da Chris Paul. Più che l’eliminazione dello scorso anno è stata infatti quella di due stagioni fa ad essere un sonoro campanello d’allarme sulle speranze di titolo di Phoenix che aveva dominato la regular season per poi farsi battere in casa in gara 7 dai Dallas Mavericks al secondo turno.

La squadra dell’allora coach Williams arrivava infatti da favorita alla semifinale di Conference del 2021 ma l’epilogo ha visto Luka Doncic distruggere letteralmente i Suns a domicilio malgrado i giocatori che lo affiancavano, eccezion fatta per Jalen Brunson attuale condottiero dei New York Knicks, non costituissero propriamente una corazzata inaffondabile.

Malgrado il talento a disposizione di Williams fosse di primissimo piano è risultato evidente, sia con Dallas che l’anno scorso contro i Nuggets, come Chris Paul fosse in fase calante e iniziasse a non essere più in grado di mantenere i suoi standard nella post season (l’anno prossimo l’ex Pelicans avrà 39 primavere sul groppone) e come fosse necessaria una riorganizzazione difensiva del roster a iniziare da un DeAndre Ayton sicuramente prolifico in attacco ma poco incline alla legna e con velleità da primadonna poco corrispondenti al suo reale contributo in una squadra da titolo.

Da questo punto di vista un aspetto sottovalutato del mercato dei Suns nell’ultima offseason riguarda quanto ottenuto dalla trade dell’anno che ha portato Damian Lillard ai Milwaukee Bucks.

L’affare ha visto inevitabilmente i riflettori puntati su Lillard e su Jrue Holiday passato a ereditare da Marcus Smart le chiavi della regia di Boston ma quasi sottotraccia i Suns si sono assicurati due tasselli preziosi per consentire al nuovo coach Frank Vogel di ricostruire una difesa che potesse puntare al bersaglio grosso.

Grayson Allen è infatti sulla carta il complemento ideale in un backcourt che conta Beal e Booker pronti a spartirsi i tiri che contano (e non solo quelli) ma soprattutto l’acquisto di Jusuf Nurkic sotto canestro è potenzialmente una chiave di svolta pesante nella costruzione del roster.

Il bosniaco è un giocatore completamente diverso da Ayton e a 29 anni è nel momento ideale per raccogliere con le giuste motivazioni la sfida di essere il centro titolare di una squadra che punta a vincere portando in dote i suoi 8.6 rimbalzi a partita in carriera (4 volte sopra i 10 di media) e le sue abilità di passatore. Nurkic è già pienamente calato nel ruolo di uomo di punta del frount court Suns mentre Ayton lo ha sostituito a Portland continuando sulla falsariga degli anni precedenti: roboanti dichiarazioni non sempre supportate dai fatti.

Riguardo alla gestione delle tre superstars la linea di Phoenix è dichiaratamente quella della prudenza e anche in questo aspetto mi trova d’accordo. Già in passato i Suns hanno dominato la stagione regolare per poi cadere in postseason senza portarsi a casa l’anello; nel momento in cui si ha a disposizione un trio devastante ma con Durant e Beal ambedue già costretti a lunghissimi stop in passato è quindi giusto preservarli per quando conta in modo tale da responsabilizzare peraltro il resto della squadra che non dovrà limitarsi a fare da scudieri ai Big Three ma costituirne a tutti gli effetti una valida alternativa.

Si tratta indubbiamente di un approccio non privo di rischi in una Western Conference quest’anno davvero competitiva e che non regala niente (i soli Blazers e Spurs ad oggi sembrano sostanzialmente privi di troppe velleità playoff) ma anche da questo punto di vista tentare un cambio d’approccio col senno di poi era la scelta migliore. In questo modo le sette vittorie consecutive seguite al 4-6 iniziale portano anche la firma del veterano Eric Gordon (14.3 punti di media) e dell’emergente Josh Okogie (miglior percentuale in carriera finora dal campo, 50%, e ai liberi, 82.5%)

Il margine di crescita c’è ancora soprattutto dal punto di vista difensivo (Phoenix è solo la nona difesa ad Ovest con 113.2 punti subiti a gara) ma intanto le sette vittorie di fila hanno portato i Suns al terzo posto a Ovest a una sola vittoria di distanza (ma una gara in più) dai sorprendenti Minnesota Timberwolves di questo inizio di stagione che però sono tra le squadre cadute sotto i colpi di Devin Booker.

Il figlio dell’ex giocatore di Pesaro e Milano Melvin dopo essersi rimesso in sesto fisicamente non solo è ripartito esattamente da dove aveva lasciato (29.6 punti di media col 45% abbondante da tre) ma ha mostrato un nuovo aspetto del suo gioco: quello di assist-man.

Sicuramente il lavoro di Vogel, ottimo professionista a mio avviso sottovalutato e già campione NBA coi Los Angeles Lakers di LeBron e AD (e artefice degli straordinari Indiana Pacers di Paul George) ha aiutato Devin a mettere su gli 8.6 assist a gara (quasi raddoppiata la media in carriera di 4.8) di questo inizio stagione; riguardo alla leadership in campo, citofonare New York Knicks per ulteriori ragguagli.

Resta da discutere la convivenza dei tre scorers che è ancora il punto interrogativo maggiore nonchè ciò che separa i Suns dall’essere un’ottima squadra (come gli scorsi anni) all’essere la squadra da battere. Qui è chiaro come la sentenza definitiva possa darla solo il parquet ma le premesse sono tutt’altro che negative.

La crescita di Booker come passatore è fondamentale anche da questo punto di vista soprattutto nelle gare giocate insieme a Kevin Durant che non sarà il compagno di squadra più tranquillo che si possa pensare ma che ha dimostrato anche di poter mettere la sua classe sopraffina anche in un ruolo di secondo violino (contrariamente a un certo James Harden…) se ha chiaro che può servire a regalargli il terzo anello in carriera dopo i due vinti coi Golden State Warriors.

Sicuramente non è più il momento di KD di avere tutte le attenzioni concentrate su di sè (e le prime gare con 2 vittorie su 6 inclusa la doppia sconfitta con i San Antonio Spurs che da lì le hanno perse tutte ne sono una dimostrazione piuttosto esplicativa) ma altrettanto sicuramente Durant rientra ancora tra i primi giocatori a cui affidare un tiro decisivo. Fermo restando che le sue cifre parlano di 31.4 punti a gara con un pazzesco 52.2% da tre che dimostra come l’ex OKC possa essere letale quando Booker gli dà spazio per tirare.

Riguardo a Bradley Beal la questione si fa più complessa in quanto per la prima volta, esclusi parzialmente i primi anni con John Wall, l’ex stella dei Wizards si trova a dover mettere da parte la leadership della sua squadra inevitabilmente in mano a Devin Booker.

Qui molto faranno le motivazioni di Beal che dovrà mettere le sue doti al servizio dei compagni se vuole fregiarsi di quel titolo che ha inseguito a Washington senza riuscire ad avvicinarcisi; la sua prima apparizione in maglia Suns non è stata esaltante, come accennato, ma anche per questo è giusto recuperarlo fisicamente in modo completo per poi dargli fiducia e avere la pazienza di attendere il suo inserimento.

La pazienza è in generale la parola d’ordine in casa Suns, in Arizona sono andati all-in per vincere il titolo e ora che ne hanno la possibilità concreta hanno deciso di vivere la regular season come preparazione a tutti gli effetti per i playoff. Il raggiungimento della post season non dovrebbe essere un problema, dopodichè sarà come accennato il campo l’unico giudice.
Le premesse, però, sono decisamente promettenti.

 

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