Nel momento in cui scriviamo i Thunder scorgono dall’alto la Western Conference, eccellono in ambedue i lati del parquet, volano a velocità supersonica e soprattutto vincono e convincono.

La squadra di Mike Daigneault è infatti la terza forza NBA ad una gara dai Celtics e mezza da Minnesota, ha la seconda miglior eFG% offensiva e difensiva, è quinta nello score e nel DefRtg, è prima in FG e 3pt% e difende benissimo dal campo e sul perimetro.

Non staremo qui a narrare la cronologia storica che ha portato uno small market dai fasti di Seattle e il primo Durant allo sfortunato assalto dell’anello con Harden e Westbrook, o il successivo (e fisiologico) smembramento per recuperare cassa e forze fresche sotto forma di pick.

Diciamo solo che sin dallo scorso anno OKC ha fatto capire che la lunga rebuilding era prossima a finire e i suoi giovani protagonisti erano cresciuti e pronti ad una nuova avventura al vertice.

L’ultimo salto di qualità della squadra ha un nome ed un cognome: Chet Holmgren.

Col senno di poi l’anno sabbatico  è servito, dato che la star da Gonzaga ha iniziato la nuova avventura con una postura diversa dai tempi del college, più determinata e arrabbiata, pronto a scontrarsi a petto in fuori contro lunghi attempati e a prendersi responsabilità sulla sirena.

Oltre a ciò, ovvio, la seconda scelta assoluta ha mantenuto le caratteristiche da esterno, portando però soprattutto più scoring da diverse mattonelle, versatilità, imprevedibilità ed intimidazione in zona pitturata, con 2.3 stoppate e 8.1 rimbalzi.

I Thunder sono oggi una spericolata corazzata di giovani feroci, guidati da Mike Daigneault, adatto più di tutti a condurli ai vertici NBA, lui entrato giovanissimo nella lega massima passando dalle retrovie del college come assistente fino alla G League, per costruire dalle ceneri assieme a Presti e Gilgeous-Alexander una nuova dinastia che guarda al futuro specchiandosi però con i Big Three di inizio decennio scorso.

La libertà che concede ai suoi ragazzi legittima un rapporto ormai consolidato fra allenatore e squadra, che va bene ora che il core dei Thunder mantiene quell’alone sbarazzino di chi deve crescere e non ha obblighi vincenti, ma a breve non è scontato non possa stare stretto a GM e dirigenza, specialmente se qualche innesto d’elite via trade alzasse l’asticella degli obiettivi immediati.

SGA, Holmgren, Giddey e Jalen Williams sono i registi ai quali lo skipper cede una quasi totale anarchia in uno contro uno, viste le poliedriche caratteristiche che ognuno di loro sta dimostrando di avere in palleggio, nel giro palla, al tiro e soprattutto in attacco a canestro.

A far da collante a questo mostro a 4 teste c’è ancora l’abilità 3&D di Lu Dort, incontrastata bandiera assieme al play col 2 sulla casacca e consacrato difensore all around del panorama NBA.

Daigneault disegna infatti ben 22 possessi a partita nei quali i suoi 3 piccoli assi concludono il pick and roll da portatori di palla, oppure assieme alla “matricola” terminano l’azione in penetrazione, nei mid range o nello scarico dall’arco: 4 playmaker che dividono quasi tutte le azioni offensive.

La Usg% che oscilla dal 32.6 di Gilgeous-Alexander (quarto dietro Embiid, Giannis e Doncic) al 20.6 di Holmgren è perciò la più alta fra i quintetti delle squadre di vertice. OKC è inoltre sesta di lega ad impostare l’offense in questo modo nonostante rispetto a chi li precede (Bulls e Cavs su tutti) non abbia un lungo pesante che porti i blocchi.

Oramai superstar acclarata, Shai Gilgeous-Alexander ha avuto il merito di mettersi in gioco dopo la trade che lo allontanò dai luminosi orizzonti losangelini, accettando dunque di divenire sì uomo franchigia ma di una compagine piena di macerie che all’orizzonte vedeva soltanto anni bui ed esperimenti sporadici tendenti al tanking.

Se le statistiche della guardia canadese non potevano perciò che essere celestiali qui ad Oklahoma City in quei periodi, mantenerle oggi con un roster che vede la vetta dell’Ovest e spinge sull’acceleratore non era per nulla presumibile. Il canadese è per l’appunto fra i pochi big che performa a 360° e gioca per la squadra oltre che da solista, mantenendo intatta e pazzesca la media sull’incidenza nel gioco di squadra (PIE), riuscendo ad emergere oltre che nei 30+punti ad incontro pure su assist (6.3), rimbalzi e percentuali.

SGA è infatti terzo NBA in player efficiency rate e quarto nello score e Usg%, è l’unico per cui Daigneault organizza attacchi in isolamento con cui conclude nel pitturato ben 14.8 punti a partita, cifra astronomica e numero 1 per una point guard, ma soprattutto ruba 2.4 palle a gara, segna 5 pti in fast break – primo staccato fra tutti – e 5.5 da palloni persi.

Importanti questi ultimi dati, che giustificano quanto il play diriga scorribande offensive a velocità massima, e guidi i suoi nel recupero palla: i Thunder sono difatti la miglior squadra per possessi e punti in transizione e la terza miglior difesa!  I suoi sono numeri da candidato MVP nonché giocatore immarcabile e imprevedibile, insomma un prototipo alla James, Doncic, Jokic e Giannis!

Giddey e Williams competano il big four palla in mano, sebbene l’australiano sia quello che più di tutti ha fisiologicamente risentito a livello statistico del debutto di Holmgren e conseguente diminuzione di zone di parquet da attaccare. E’ comunque ancora lui il genio pensante del quintetto, abile in qualità sia come play creatore per i compagni che nel finishing.

Williams invece sta letteralmente esplodendo, in tutti i sensi! Secondo marcatore dopo SGA, Jalen è un punisher istintivo e infallibile, grande lettore di distrazioni altrui nonché versatile in marcatura sia sulle ali che sulle guardie.

Cosa manca dunque a questi spericolati Thunder e al loro giovanissimo skipper a livello tecnico? Cosa ci vuole per puntare al titolo?

Una più consolidata attitudine a vincere nel clutchness (ora solo al 60%), esperienza, un miglior giro palla ad avversari schierati, maggiore copertura in uno contro uno e un qualitativo rim protector che prenda rimbalzi nei due lati del parquet, metta massa da rollante nei pick and roll e permetta ad Holmgren di occupare mattonelle più lontane dal canestro.

L’unicorno di Oklahoma city infatti, quando – e ovviamente – viene puntato nel pitturato da ultimo (e unico) lungo in copertura, stressa in modo eccessivo la sua difesa commettendo troppi falli. OKC incassa perciò più di 30 tentativi per game nella zona colorata da post basso oppure in penetrazioni nell’area da tre secondi, è terzultima in rimbalzi offensivi, ne subisce 15 a gara, è 18° in assistenze vincenti e tira poco dal campo e nel perimetro, a fronte di percentuali spaziali.

Le operazioni sui vari Paul, Westbrook, Horford, Oladipo, Paul George e in ultimo il salario di Porter Jr sono solo alcuni dei fatti che negli anni hanno comportato spostamenti e pick swap qui ad Oklahoma City, coi quali Sam Presti ha costruito un arsenale che potrebbe eccome palesarsi di nuovo utile, ancor di più oggi che la squadra ha finalmente una propria identità, vince e fa paura al resto della lega.

Se le mosse dell’executive si rivelassero al solito azzeccate, qualche scambio di scelte darebbe infatti a questo gruppo di giovani satanassi un paio di veterani clutch che consentirebbero loro senza dubbio di assaltare l’olimpo definitivamente, migliorando statistiche e difetti poc’anzi elencati. Un Chris Paul, un Jrue Holiday nel backcourt, oppure un Miles Turner sotto al ferro sarebbero aggiunte sensate che allungherebbero le rotazioni e aggiungerebbero difesa, esperienza e malizia senza eccessivi esborsi rispetto a nomi più altisonanti.

Senza tediare gli utenti con l’elenco annuale dell’infinito tesoretto a disposizione dei Thunder, basti sapere che dal prossimo anno fino al 2030 sulla carta OKC fra swap e scelte proprie ne ha ben 37 (15 al primo round e 22 da secondo). Musica per le orecchie di Presti, capace senza dubbio già nella prossima deadline di innalzare uno small market come questo in contender di lusso, sacrificando magari qualche pedina importante per arrivare a giocatori di impatto immediato.

Che le stanze decisionali dei Thunder abbiano un occhio più lungo di altri si nota anche ultimamente, con due pesche simili a veri e propri asset futuristici.

Già la trade al draft 2023 coi Mavericks per salire a Cason Wallace da Kentucky ci appare infatti sensata e sin da subito performante, visto l’enorme talento difensivo che la guardia combo sta dimostrando di avere, lui al college stealer d’impatto, mastino sulle point guard nemiche e velocista dalle mani rapide, impegnato sì poco nell’offense ma dalle strabilianti percentuali realizzative, come si vede dalla eFG% al 72.7, top ten NBA!

Stesso discorso per Isaiah Joe, oramai sesto uomo di lusso e cambio di tre ruoli, offensivamente parlando maestro nell’uscita dai blocchi per tiri perimetrali non contestati, tagliato dai Sixers dopo due mortificanti stagioni ma divenuto qui steal a costi bassissimi per tre anni, di cui secondo non garantito e team option sul terzo. Nel momento in cui scriviamo ha il sesto net rating di lega, tira col 47% dal campo ed è secondo NBA da tre (51.8!), con un attempt rate spaventoso: 78%!

Non ci rimane che attendere con fiducia il prosieguo di una stagione che appare oggi come l’inizio di una nuova dinastia vincente qui ad Oklahoma City!

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