Undici gare di stagione in archivio. A Ovest, in terza posizione, si legge il nome dei Minnesota Timberwolves. Se solo quattro settimane fa, alla vigilia della nuova stagione NBA, qualcuno lo avesse detto non so in quanti lo avrebbero preso sul serio. Un 8-3 con sconfitte solo contro i Suns, gli Hawks e i Raptors.

Dopo tutto, lo schiaffo del 4-1 subito dai Denver Nuggets al primo turno degli ultimi Playoff e un’annata tutto sommato mediocre non facevano presagire nessun salto di qualità. Anzi, la tanto bistrattata trade con cui Rudy Gobert è stato portato a Minneapolis sembrava un prezzo abnorme da pagare se paragonato all’effettiva produzione del francesone.

Ma come sempre succede, le cose nuove tendono a offuscare emotivamente tutto ciò che c’è prima e che c’è sotto. Nelle ultime due campagne cestistiche, a Minnesota hanno visto un 42-40 e un 46-36 come record. Not bad. Annoverano nel roster giocatori del calibro di Gobert, Anthony-Towns, Edwards, Reid. Insomma, le premesse perché facessero un’ottima annata c’erano tutte. Semplicemente solo pochissimi (non io) le avevano viste. Detto questo, mancano ancora 71 partite.

La rivoluzione di coach Finch

A primo impatto, leggere la rosa dei Timberwolves fa obiettivamente storcere il naso. Non per i nomi, che sono di tutto rispetto. Quanto perché, a leggere le altezze degli uomini di coach Chris Finch, sembra una squadra che va in retromarcia rispetto alla direzione del basket moderno. 1.95cm, 2.05cm, 2.05cm, 2.05cm, 2.13cm, 2.15cm. Solo per dirne alcuni. Nell’era dello small ball, a volte forzato a dismisura, Minnesota propone un tall ball. Nell’era del big versatile che sa mettere la palla a terra e controllare il gioco, gli Wolves investono quattro prime scelte future più altri giocatori per un centrone come Gobert. Che di palla a terra… non se ne parla proprio.

Una filosofia che lo stesso Finch ha spiegato così:

«A prescindere da ciò che si fa nell’NBA, da come si decide di proteggere il pick and roll, da qualsiasi filosofia si decida di adottare, la difesa nella lega spesso si riduce al livello di contestazione del tiro. A un certo punto la squadra sarà sufficientemente brava da riuscire a tirare in qualche modo contro di te. Non è detto che si riesca a contrastare ogni singolo tiro. Puoi dare fastidio al tiratore? Abbiamo una grande lunghezza in squadra e credo che questo ci aiuti».

L’idea è evidente. Rendere un inferno per l’attacco avversario qualunque tipo di tiro.

Sotto il ferro ci sono Naz Reid e Rudy il francese, che migliori rim protector di lui nella lega non ce ne sono. (E inizia ad avere senso quello scambio). Se si preferisce un semplice jumper c’è l’altezza di KAT e di Kyle Anderson. Se si punta sui giocatori più agili e perimetrali, Minnie dispone di Anthony Edwards, Jaden McDaniels e Nickeil Alexander-Walker. Una strategia che indubbiamente ha portato i suoi frutti.

In queste prime 11 partite, le statistiche offensive di squadra sono abbastanza mediocri. In punti a partita, offensive rating e assist a partita sono tra il 18° e il 22° posto. È proprio nella metà campo difensiva che i Lupi fanno la differenza. Concedono solo 105.6 punti di media a partita agli avversari (secondi nella lega). I punti diventano 105.5 ogni 100 possessi, primo defensive rating della lega. Per intenderci le ultime due stagioni ne subivano 113.8 e 111.8 ogni 100 possessi avversari. Sono quarti nella lega per three point percentage concessa (33.3%) e primi per field goal percentage concessa (48.3%). Sono la seconda squadra della NBA che concede meno tiri liberi agli avversari (19 a partita) pur commettendo 20.5 falli. Sintomo anche di una intelligenza cestistica non indifferente.

Al centro di tutto c’è ovviamente il duo Gobert-KAT. Mobile per la sua stazza, Towns è in grado di stare su giocatori più piccoli, almeno quanto basta per incanalarli verso il tre volte Defensive Player of the Year che li aspetta nel pitturato. Lo scorso anno Goberto era tenuto ancorato alla painted area e questo era un enorme vantaggio per gli avversari che, tramite pick and roll, cercavano il mismatch guardia-centro trovandolo spesso e facilmente.

In questa stagione, Finch ha deciso di sbloccare la posizione del francese affidandogli giocatore perimetrale meno minaccioso. Questo ha dato più libertà a Rudy di muoversi e andare a caccia di tiri da stoppare. E con la difesa, cresce la fiducia in sé. E con la fiducia in sé, la difesa migliora ancor di più.

I giocatori decisivi

La tiritera sarebbe sempre la stessa. I soliti noti. Per cambiare, allora, parto “dal fondo”. Più in particolare del centro di riserva Naz Reid. Un nome che già nella scorsa stagione aveva fatto girare qualche collo: 11.5 punti e oltre 4 rimbalzi in meno di 20 minuti di media. Una “seconda scelta” di lusso, schiacciata un po’ dietro alle spalle dei due All-Star. Che forse proprio grazie a questo ruolo ‘meno responsabile’ è riuscito a diventare una seconda opzione solidissima.

Quest’anno, poi, è migliorato ancora:  13 punti con il 45% da tre e il 95% dalla lunetta in 21 minuti. In tutto questo, è nel 73esimo percentile per scoring efficiency da post basso e ha il secondo miglior defensive rating della lega con 98.4, dietro solo a Jordan Goodwin. La decisione di Flinch di utilizzare Reid sempre in tandem o con Gobert o con KAT sta dando i suoi frutti.

Ma ovviamente la maggior parte del minutaggio è occupato da Towns-Gobert. La scorsa stagione non sono riusciti a combinare nulla dal punto di vista offensivo in oltre 500 minuti, segnando 106 miseri punti ogni 100 possessi. In questa stagione, invece, i due si sono finalmente trovati: 116 punti per 100 possessi, e +5.0 di net rating.

La chiave è il concetto di spaziatura. Il playmaker Mike Conley, che è tra i maggiori beneficiari del nuovo gioco di Minnesota, l’ha descritto così:

«Faccio del mio meglio per assicurarmi di averli nel punto giusto, in modo che KAT abbia spazio per giocare e che Rudy abbia spazio per giocare. … Io devo solo di mantenere il ritmo del gioco».

Sarebbe difficile affrontare tutti i temi in un solo articolo. Basti pensare che in tutto questo bendiddio ancora non è stata citata la vera stella della squadra. Quell’Anthony Edwards che a 22 anni è già entrato di diritto, a mio parere, nella top-10 dei giocatori della NBA. Su Ant-Man c’è poco da dire. Fe-no-me-no. Bastano quattro sillabe. Sta viaggiando a cifre astronomiche: 26.3 punti a partita tirando con il 47% dal campo e il 37% da tre, 6 rimbalzi, 5 assist e 1.5 rubate a partita di media. E un carattere che si sta temprando con il fuoco. Se amate il basket, amate Anthony Edwards.

E a questo potrebbe aggiungersi anche il fatto che ci sono quattro giocatori dei Timberwolves nei primi 20 per defensive rating. E sono nomi insospettabili. Perché oltre al già citato Reid ci sono Kyle slo-mo Anderson (quarto con 99.3), Shake Milton (100.5) e Mike Conley (102.5). Un lavoro incredibile dello staff di Flinch, che ha creato un sistema difensivo letale. Da qui deve partire per costruire, con pazienza e lavoro sui meccanismi, un attacco che possa creare di più.

E forse il salto di qualità se lo aspettavano in pochi, è vero. Ma di certo un cambio di mentalità c’è stato. Basti pensare che nel giro di pochi mesi siamo passati da Gobert che tira un pugno a un compagno a Gobert che funge da paciere in una rissa e viene impiccato da Draymond Green. E se è maturato anche il caro e vecchio Rudy…

Previsione record: 47-35, una sorta di new edition dei Kings dello scorso anno

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