La stagione NBA per i Dallas Mavericks e i Minnesota Timberwolves è iniziata nel deserto, ad Abu Dhabi, nel contesto dei Global Games che la NBA organizza ogni anno per promuovere il suo brand in giro per il mondo.

Ho assistito alla prima delle due gare in programma alla Etihad Arena. Il valore della partita in sé, essendo ovviamente la prima prestagionale, è stato molto relativo ma alcune indicazioni le ha regalate.

Minnesota ha vinto facilmente, arrivando anche ad oltre i venti punti di vantaggio ad un certo punto e finendo a +12 dopo un accenno di rimonta dei Mavs.

Ha vinto la squadra che ha onorato minimamente in più il gioco, offrendo a tratti una buona intesa di squadra, con circolazione di palla, rientro in difesa, istinto a rimbalzo e spacing già quasi a livelli di stagione regolare. Sui rimbalzi in particolare il confronto è stato impietoso, visti i lunghi dei Wolves.

Su tutti è sembrato in grande forma Karl-Anthony Towns, 20 punti e 4 rimbalzi in scioltezza, già pronto fisicamente per una stagione che lo può vedere finalmente protagonista anche di un gradino più in su.

Dallas è entrata in partita molto scarica, ovviamente la premessa iniziale di questo articolo, la natura della gara pre-season, è una costante per tutti.

Doncic ha chiuso con 25 punti e 5 rimbalzi, 8-14 dal campo, si è preso parecchie iniziative da leader anche se non soprattutto per mettere il pubblico in partita ma al contrario del leader degli avversari è sembrato ancora in rodaggio.

Mentalmente invece sembra si sia ripreso dalla batosta dei Mondiali, è stato sempre sorridente, ha cercato la giocata spettacolare quasi sempre. L’ovazione più grande è stata per lui, di gran lunga.

Al secondo posto di gradimento per il pubblico c’è Kyrie Irving, che entra in campo per il riscaldamento una buona decina di minuti dopo i suoi compagni, a passo lento, ciondolante, tutto il contrario di Luka che invece sorride sempre, cerca di fare canestro con i piedi, da buon europeo.

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Che stagione ci si aspetta dalle due squadre ? La competizione è sfrenata, Minnesota è molto ballerina soprattutto a livello di umori di gruppo, Dallas avrebbe tutto per andare nel profondo nei playoff ma molto dipenderà dalla sua guida tecnica.

Jason Kidd, un grandissimo playmaker in campo, è un allenatore che mi permetto di criticare. Forse non all’altezza per i progetti di grandezza di Cuban.

Chimica di squadra dunque per una e allenatore dall’altra parte sono i due punti deboli a mio avviso.

Per me faranno comunque entrambe i playoff e se Irving mette anche solo un po’ la testa a posto e sente di dover dare seriamente il suo contributo possiamo parlare di prospettive anche da NBA Finals. Difficili, sia ben chiaro, ma di solo potenziale ci si può arrivare. Poi c’è tutto il resto.

La Etihad Arena è una bella arena, non ha un grande colpo d’occhio come ci si poteva aspettare in realtà. E’ più maestosa fuori che dentro e per gli standard NBA siamo un po’ bassi.

Sorge su un’isola, la stessa che ospita il Gran Premio di Formula 1, quello che nel 2021 vide Verstappen vincere il suo primo Mondiale all’ultima curva contro Lewis Hamilton.

E’ il destino di arrivare per ultimi in calendario e in fondo racconta un po’ della mentalità degli Emirati. Ti puoi beccare un GP inutile col campionato già deciso ma se ti va bene ti ritrovi col più grande finale di stagione della storia recente dello sport.

Arrivo quindi al palazzo percorrendo le strade della F1, pur in bus, peraltro nuovissimo ed efficientissimo. Supero il grandioso Ferrari World col simbolo sul tetto, si vede bene anche su Google Maps, del nostro Cavallino rampante.

Si paga non meno di 90 euro di biglietto per un po’ di rumori di macchine, giostre e simulatori ma qui è tutto un enorme parco giochi. Arrivato al palazzo ho avuto grosse difficoltà a trovare l’ingresso dedicato.

Ho capito in pochi giorni che gli arabi sono bravi in tante cose ma non nell’organizzazione e soprattutto nell’indicazione precisa dei luoghi.

Abu Dhabi, a mio modo di vedere, è una città molto più interessante di Dubai. E’ una città più autentica e meno di cartapesta, quando capiti a downtown sembra di passeggiare per New York.

Grattacieli, marciapiedi larghi. Peccato che ad inizio ottobre ci siano 40 gradi veri all’ombra e praticamente non cammina nessuno.

I residenti vanno in macchina, i turisti comodi in taxi e io che ho il conto in banca che corrisponde all’acquisto di una caramella per le capacità di un emiro vado coi bus, come i tanti immigrati che sono coloro che davvero hanno costruito dal nulla questo paese.

Abu Dhabi ha il più bel monumento di tutti i paesi del Golfo, la moschea dedicato allo sceicco Zayed. Bianca immacolata, immensa, riccamente decorata.

Ovviamente hanno portato i giocatori NBA ovunque fuori che qui, nel deserto, nei suk, ma la bellezza di questa moschea la mette alla pari dei grandi monumenti della storia della civiltà islamica.

Il pubblico all’arena è stato molto caloroso, c’era quasi sold-out. C’erano tanti turisti ma anche molti locali. Posso dire che queste iniziative internazionali fanno molto bene all’immagine NBA, sono una vetrina e un’occasione di crescita del mercato ma anche, genuinamente, uno scambio culturale vero.

Anthony-Towns, per dire, ci ha detto che non vedeva l’ora di lasciare il palazzo per andare a mangiare le specialità del posto, quali fossero e se davvero lo sapesse non ci è dato sapere. Luka da parte sua ha apprezzato l’esperienza di salire su un cammello nel deserto come tra le più belle della sua vita.

Anche questo, anzi, soprattutto questo è l’intento di questo tour mondiale. Andrebbe infatti potenziato. La NBA da tanto tempo non è più il campionato americano di basket e i migliori giocatori sono almeno per metà nativi al di fuori dei confini americani.

Minnesota è sostanzialmente la stessa dello scorso anno, con Mike Conley che ha il ruolo di veterano che deve fare un po’ da balia a giovani superstar un po’ bizzose, come il già citato Anthony-Towns ed Anthony Edwards.

Rudi Gobert fa l’altra torre gemella sotto canestro, il discorso è sempre quello, devono girare bene insieme ma soprattutto avere motivazioni di gruppo, per ora sono nel mezzo di un ideale power ranking NBA, valgono molto di più.

Per ironia della sorte Abu Dhabi ci ha messo di fronte una contro l’altra due squadre assolutamente comparabili, perché si può fare copia e incolla di quanto detto e applicarlo a Dallas.

Ci sarebbe un Luka Doncic in più, uno dei più grandi talenti della sua generazione ed anche oltre. Io mi sono sbilanciato, per me sarà MVP se i suoi Mavs saranno almeno tra le prime 4 ad Ovest.

Sulle prestazioni di Luka non ho dubbi, sulla sua reale capacità di trascinare questi Mavs che troppo spesso sembrano instabili ne possiamo riparlare.

Per il momento questi ragazzi hanno salutato il deserto col sorriso. Sarà una stagione altrettanto calda, caldissima.

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