La trade che a febbraio ha portato Kyrie Irving a unirsi a Luka Doncic ai Dallas Mavericks poteva portare due scenari in Texas: la lotta per il titolo o il disastro più totale. Oggi, a tre giornate dalla fine della regular season dei Mavs, ha vinto la seconda opzione.

Dallas prima di Irving era nel gruppone che stazionava alle spalle dei Nuggets e dei Grizzlies coi Sacramento Kings poco più su. In questo inizio di aprile è undicesima, fuori da tutto, anche dai play-in dove è una gara indietro all’ultima piazza occupata dagli Oklahoma City Thunder il cui obiettivo sembrava quello di tankare per Victor Wenbanyama piuttosto che tornare a disputare la postseason orfani anche della loro scelta al Draft Chet Holmgren.

Shams Charania, voce di indubbia affidabilità tra gli analisti NBA, afferma che più di qualcuno nel management dei Mavericks sta seriamente pensando di lasciar perdere queste ultime tre gare (con Sacramento, Chicago e San Antonio in casa) decretando quindi anche ufficialmente quello che è già una realtà: il fallimento di un progetto che dopo 3 vittorie di fila ha visto Dallas vincere solo 6 partite dall’11 febbraio ad oggi, di cui due con gli ultimissimi San Antonio Spurs e una con un buzzer beater di Maxi Kleber contro i Lakers.

Dallas non difende più (avversari sempre sopra quota 100 e solo tre volte sotto quota 110 da febbraio) e perde contro tutti, compresi gli Charlotte Hornets che hanno battuto i texani due volte di fila. Facile a questo punto scaricare le responsabilità su Irving e affibbiargli le colpe di un altro progetto andato in fumo dopo quelli di Boston e Brooklyn senza disdegnare i presunti demeriti di un Luka Doncic già bollato come perdente e solista à-la-James-Harden al primo vero anno di difficoltà.

La verità però è che Kyrie, spinto con ogni probabilità dal volersi guadagnare la riconferma in casa Mavs, ha avuto un rendimento sempre apprezzabile sapendo stare un passo indietro a Doncic e riuscendo a chiudere la stagione a 27 punti di media (sempre se la stagione si chiuderà) nonchè evitando i suoi proverbiali colpi di testa limitandosi per tutta la permanenza a Dallas a un alterco con un tifoso a cui ha detto sostanzialmente “gioca tu se sei capace”.

Riguardo a Doncic questo è semplicemente il suo anno migliore per punti segnati (32.8 di media, prima volta sopra i 30) e le statistiche descrivono un giocatore ben diverso da quello che abdicherebbe nella metà campo difensiva descritto da molti: lo scorso anno aveva 106.2 come defensive rating, quest’anno salito a un comunque rispettabile 112.8.

Se Dallas è la delusione dell’anno le principali colpe sono di chi ha costruito la squadra, non solo quest’anno ma almeno negli ultimi dieci anni.

Dall’anello del 2011 la dirigenza texana ne ha imbroccata solo una: la pesca di Doncic al draft 2018, ovvero un mero colpo di fortuna con la complicità dei Sacramento Kings (e degli Atlanta Hawks che però hanno scelto come loro leader un altro campione come Trae Young)

Una volta riusciti a impossessarsi del miglior giocatore FIBA sul mercato (lo dicono i titoli individuali e di squadra vinti in Europa da Doncic, che a nemmeno vent’anni era già stato MVP di Eurolega, Eurobasket e Liga ACB nonchè campione di tutte e tre le competizioni) era presumibile riuscire a dargli la possibilità più o meno a lungo termine di competere per il titolo NBA. Dallas ci ha provato per prima cosa con la trade che ha portato in biancoblu Kristaps Porzingis che prima di rompersi il tendine d’Achille stava emergendo a New York come erede (l’ennesimo…) di Dirk Nowitzki.

Porzingis in borghese, Doncic in divisa: scena vista troppo spesso a Dallas

Porzingis in borghese, Doncic in divisa: scena vista troppo spesso a Dallas

Con Porzingis è andata male, l’Unicorno si è rivelato un giocatore poco affidabile fisicamente, non in grado di dominare a rimbalzo e anche poco disponibile, come da sua stessa ammissione, a dividersi con Doncic il ruolo di leader di una squadra. Tant’è vero che attualmente Porzingis mette su dei gran numeri in un contesto perdente come quello di Washington.

La mossa di portarlo a Dallas però non può essere criticata a priori perchè sembrava davvero che con il lettone si stesse per assistere allo sbocciare di una stella del futuro.

In effetti l’inizio dei disastri manageriali può essere ricondotto alla free agency del 2019, quella in cui dopo l’anno da rookie di Doncic, coinciso con quello del ritiro di Dirk Nowitzki, andava iniziata la costruzione del cast di supporto per lui e Porzingis.

Ebbene, nell’estate 2019 lo spazio salariale a disposizione di Dallas fu colmato dal rinnovo del mediocre Dwight Powell, che non ha compiuto alcun tipo di progresso (complice un infortunio pesantissimo anche per lui, probabilmente) e ha sempre fatto poco più che schiacciare gli assist di Doncic in pickandroll alto, e di Maxi Kleber, buon giocatore se si tratta di fare il terzo o quarto lungo ma che è stato troppo spesso impiegato poi da titolare e da difensore principale visto che Porzingis di difendere non voleva saperne.

Tutto questo perchè mentre altre squadre puntavano a rinforzarsi nella maniera migliore possibile Mark Cuban cercava il colpo ad effetto per accontentare Doncic: portare a Dallas Goran Dragic, mentore di Luka (anche se i due in realtà giocano insieme solo in Nazionale) che però non solo non arriverà in Texas nel 2019, ma verrà continuamente cercato anche successivamente bloccando con molte probabilità altre trattative possibilmente più remunerative della firma di un Dragic in fase calante di carriera e comunque anche lui ottimo attaccante ma difensore men che rivedibile.

Dulcis in fundo venne rinnovato Seth Curry che malgrado il peso del cognome che porta si è costruito una più che egregia carriera di tiratore affidabile se innescato. Peccato che l’abbia fatto soprattutto fuori da Dallas poichè malgrado un’ottima annata il minore dei figli di Dell fu tradato a Philadelphia in cambio del declinante Josh Richardson.

Il motivo? Cuban e la sua dirigenza decisero a furor di popolo di rinnovare Tim Hardaway Jr., che nel suo contract year aveva tirato da tre con la miglior percentuale in carriera e per questo guadagnò un quadriennale da 75 milioni di dollari in totale.

Questo signore oltre a guadagnarsi la riconferma per un periodo era il terzo boss del locker room con Doncic e Porzingis

Questo signore oltre a guadagnarsi la riconferma per un periodo era il terzo boss del locker room con Doncic e Porzingis

Il contratto di Hardaway Jr. è uno di quelli che ingolfa il cap dei Mavericks ancora oggi per un giocatore che ha sempre fatto quello che faceva anche ai New York Knicks e che ha fatto in modo che la franchigia di James Dolan lo inserisse nell’affare Porzingis (insieme a ciò che restava di Trey Burke e Courtney Lee) come zavorra di cui liberarsi. Hardaway è un tiratore prolifico ma tremendamente streaky e bisognoso di tanti tiri per mettersi in ritmo, quindi condizionante per l’attacco, mentre difensivamente va sempre di fisico e troppo poco di cervello per essere affidabile.

Già queste mosse fanno capire che Luka Doncic non era affiancato da una squadra di medio livello ma da una serie di giocatori che costituivano un supporting cast degno dei Sixers di Allen Iverson o dei primissimi Cavaliers di LeBron James. Anzi peggio, perchè AI aveva almeno Dikembe Mutombo e LeBron aveva l’esperto Zydrunas Ilgauskas mentre a Luka è toccato un centro come Powell affiancato perdipiù per troppo tempo da Willie Cauley-Stein sul quale è meglio non infierire.

Nonostante ciò Luka ha portato Dallas vicinissima ad eliminare i ben più quotati Los Angeles Clippers per due volte e poi ad arrivare alla finale di Conference dello scorso anno. Ad affiancarlo un altro prospettone uscito dal draft 2018: Jalen Brunson, unico tra gli esterni a costituire un’alternativa affidabile al fenomeno sloveno.

Mentre Dallas sprofonda ecco una delle ultime partitine di Jalen Brunson a NY...

Mentre Dallas sprofonda ecco una delle ultime partitine di Jalen Brunson a NY…

Quando però Brunson si presentò per il rinnovo Cuban gli fece un’offerta ritenuta indegna, malgrado i milioni spesi a pioggia per i contratti di cui sopra e successivamente per il rinnovo quadriennale a 55 milioni di un altro carneade come Dorian Finney-Smith che era emerso come principale difensore e buon tiratore soprattutto per gli scarichi fantascientifici di cui poteva usufruire grazie all’ex Real Madrid. Risultato? Brunson non rinnova e va a New York dove oggi è lo scorer principale insieme a Julius Randle mentre Dallas si fa passare davanti vari nomi validi (Colin Sexton, per dirne uno) per inseguire nuovamente Goran Dragic.

Il rinnovo di Finney-Smith, amico di Doncic, e l’ennesima caccia infruttuosa a Dragic sono un’altra dimostrazione più che esplicativa di come a Dallas i contratti vengano firmati di pancia più che di testa. Jason Kidd ha quindi allenato quest’anno una squadra che non aveva molte armi in più rispetto allo scorso: Christian Wood a sostituire Porzingis (mandato a Washington al prezzo del contratto zavorra di Davis Bertans e di uno Spencer Dinwiddie spedito poi a Brooklyn nell’affare Kyrie Irving) quattro fuori in attacco, rotazioni estreme tra gli esterni in difesa.

Il gioco però non ha funzionato come lo scorso anno sia per l’assenza di Brunson, sostituito idealmente da Hardaway (che non c’era quando i suoi compagni raggiunsero la semifinale causa infortunio) sia perchè gli avversari avevano capito il giochino e quindi raddoppiavano e triplicavano Doncic che sul perimetro avrebbe trovato tiratori come Finney-Smith o un Reggie Bullock frustrante per come sparava sul ferro tiri da allenamento (la percentuale dice 37.9% da tre quest’anno ma con un’alternanza tra performance da 0/7 e performance da 6/10)

https://www.youtube.com/watch?v=B7dInGPRGf0&ab_channel=BasketBallerz

Così Dallas che pure in classifica non era affatto messa male cerca in Kyrie Irving l’elemento capace di fare ciò che faceva Brunson: costituire l’alternativa a Luka e contemporaneamente dare un tocco di imprevedibilità a un attacco con schemi piuttosto rigidi. Ma la cessione di Finney-Smith ha tolto ogni parvenza di difesa al frontcourt ora costituito soprattutto da un Powell su cui mi sono espresso abbastanza e un Wood che difensivamente non fa alcun tipo di progresso e sul cui rinnovo ora Dallas dovrà pensarci su più di due volte.

E così ci agganciamo alla vera sfida dei Mavericks: l’estate che verrà. La situazione non è irrimediabile e seppur coi contratti di Hardaway e Bertans ancora lì e senza nessuno che voglia prenderseli (tutti e due in scadenza nel 2025) c’è di nuovo la possibilità di costruire qualcosa di sostanzioso intorno a Luka Doncic, legato a Dallas fino al 2027. Stavolta però le mosse andranno fatte con cognizione di causa e non in nome di amicizie di Cuban o di Doncic o di chicchessia nonchè di presunte scelte di cuore.

Powell finalmente lascerà Dallas (sono più che curioso di vedere quanto durerà senza Doncic prima di andare in Cina o sventolare asciugamani in panchina…) così come vari contratti inutili come Frank Ntilikina (che pure ha dovuto varie volte sobbarcarsi il peso di una difesa tra gli esterni che non c’era) o Markieff Morris. La dirigenza agli ordini di Mark Cuban dovrà impegnarsi sul serio però questa volta perchè Luka Doncic non sarà presumibilmente così ben disposto a sopportare un altro anno perdente e lontano anche dalle prospettive di MVP personali.

4 thoughts on “Il fallimento dei Dallas Mavericks

  1. Ovviamente scrivere dopo è facile, ma mi chiedo in quale universo si poteva pensare che Irving avrebbe fatto migliorare Dallas, fino a quel momento un meccanismo che funzionava.
    Le vittorie iniziano e si perfezionano sempre con la testa. Mi stupì la decisione di Dallas, fino a quel momento una squadra ben costruita, “in decollo”, di cercare la scorciatoia del colpo ad effetto. Il finale, ahimè, era scritto. Boh vedremo, magari in un’altra vita mi smentiranno.

    • Irving come secondo (da primo non ha la testa) è un buon affare (il titolo a Cleveland in finale è roba sua più che del Lebbroso), ma a basket non si gioca in 2.
      In più, con tutto il rispetto, Doncic è bravissimo però non pare abbia una mentalità da Larry Bird (i numeri sì), quanto piuttosto da Lebbros James (il quale sappiamo avere trionfato solo con un vero coach o una supersquadra): accumulatore di statistiche e highlights mentre vincono gli altri. Kidd non è certo all’altezza di ‘rieducarlo’…

      • Haha il Lebbros:) Verissimo che nel titolo vinto da Cleveland, tanta farina venga dal sacco di Irving. Ma ho l’impressione che dopo quel titolo sia emerso un altro uomo. Boh vedremo, per il momento registro che l’impatto su Dallas abbia portato buoni numeri per lui, e non così buoni per la squadra. Mi sembra un film già visto, comunque non poniamo limiti alla provvidenza e aspettiamo. Per il momento, vanno avanti degli altri.

  2. Parlare di fallimento non è girarci intorno è la pura verità: prima dello scambio Dallas era una buona squadra(ma inferiore ad almeno 3 ad Ovest)con un gioco non eccezionale ma almeno in grado di portare a casa più W che L, l’arrivo di Irving ha fatto scoppiare tutto: si sono affidati solo su attacco, la difesa è scomparsa, i rimbalzi, già non specialità della casa, sono venuti ancor meno. Sinceramente nessuno credo possa dubitare del talento di Irving un giocatore eccezionale, ma che di sicuro non ti aiuta in difesa, piuttosto semplicemente NON ha funzionato, la chimica si è rotta, il bilanciamento della squadra è saltato e l’esperimento è andato male. stop. Il fatto è che dopo una Finale ad Ovest, Dallas puntava solo al titolo e, è chiaro, con una stella sola la NBA di oggi non la vinci, così ecco il tentativo Irving e i risultati. Paradossalmente un Doncic troppo forte e troppo pronto non hanno aiutato. Una squadra NBA si costruisce comunque passando per le scelte, accumulare quel po’ di talento da usare anche per gli scambi, Dallas aveva bisogno di perdere almeno un paio di stagioni, liberarsi di contratti pesanti e costruire, poi, magari fare come i Lakers e prendersi subito un’altra vera stella, ma una volta messo a punto un sistema, così i Mavs, che pur scegliendo sempre molto in basso hanno sempre pescato bene e con accuratezza, si sono trovati con un fenomeno ma in un contesto sempre di rincorsa con l’ansia di dover fare tutto subito. Infine la scelta dello scorso anno di non coprire di soldi Jalen B., a posteriori una scelta sbagliatissima, ma l’estate scorsa non così assurda, almeno per quell’urgenza di Dallas: vincere subito e JB era la stella per farlo? quasi tutti avrebbero detto di no, non perchè JB non sia forte, ma perchè non la vera stella per essere almeno in due, come la NBA richiede. Invece JB si è dimostrato di essere più utile, più fondamentale per gli equilibri di squadra, di un Irving, molto più talentuoso, ad esempio.
    Alla fine meglio per i Mavs poter avere una scelta al draft che giocarsi un turno di playoff dove sarebbero finiti sicuramente fuori alla primissima occasione. Adesso la situazione è ancora più difficile: non puoi smantellare e ricostruire perchè Doncic certo non ci sta, ma di sicuro occorre una cambio di linea forte ed incisivo, insomma il posto di GM ai Mavs è il meno invidiato del mondo dal 1 luglio in poi.

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