Guardo la classifica quando mancano poco meno di una ventina di partite alla fine della regular season e tante sono le “situazioni” meritevoli di approfondimento.

Ai nastri di partenza in pochi avrebbero detto che le prime tre ad Ovest, a Marzo, potessero essere in ordine Denver, Sacramento e Memphis, nonostante adesso il bandwagon pro Denver (e per il terzo mvp di Jokic) sembri una metro di Pechino nell’ora di punta. Ancora in meno avrebbero scommesso sugli Warriors a rischio play-in ed i Los Angeles Lakers di Lebron e Anthony Davis fuori dal playoff.

Che la franchigia angelena potesse faticare stava comunque nei giochi: ottimo starting six su carta -da videogame- ma il fitting sospetto di Westbrook con il nativo di Akron e -per essere gentili- la propensione agli infortuni di Davis (e dello stesso Lebron degli ultimi anni) potevano almeno far estendere alcune ombre sugli angeleni, da trattare però in un focus dedicato a parte.

Concentriamoci invece sui campioni in carica, i Golden State Warriors:

A oggi il record dice 34-32 – poco sopra il 50%; misura universale di “decenza” NBA- una vittoria sopra i Clippers di Leonard e George, e a pari merito con i Mavericks di Luka Doncic e Kyrie “non ce lo dicono” Irving. (Se per caso non avete capito l’ultimo virgolettato vi siete persi un po’ troppa NBA negli ultimi 4 anni…)

Verrebbe subito da pensare che sia un po’ pochino per i campioni in carica: poco meno di un anno fa GS ha riconfermato la dinastia aggiungendo il quarto titolo alla serie e prospettando un dominio sulla NBA di durata ancora maggiore grazie alle nuove “foglie verdi” (Wiseman, Kuminga e Moody su tutti).

Per altri versi invece non sarebbe nemmeno sbagliato dire: “ah, addirittura sesti”? Certo, perché fra infortuni, cazzotti, trade e ancora altri infortuni, la stagione degli Warriors è stata un calvario tale da far passare per accettabilissima, una classifica – per i loro standard – abbastanza insoddisfacente.

Siccome le questioni in ballo sono molteplici, affrontiamo qualche punto con più calma:

Iniziamo con un punto fermo:  nonostante tutto quello successo la line-up Curry-Green-Thompson-Looney-Wiggins è ancora la migliore della lega su almeno 200 minuti giocati. Direi che basta per “buy some more time” e dargli qualche settimana extra prima di attivare il panic mode. Se lo sono ampiamente guadagnati sul campo, dopo tutto.

Situazione infermeria

Gli infortuni sono stati il vero tallone d’achille dei Dubs: troppi e troppo frequenti: mentre scrivo Steph Curry è appena rientrato dopo un mesetto di stop circa, Wiggins è ancora disperso con problemi familiari non meglio specificati, Draymond è in campo ma sembra ancora “un passo indietro” nonostante l’esito positivo della risonanza magnetica al ginocchio fatta pochi giorni fa. Impossibile sbilanciarsi su “Gary Payton II”: ad oggi non ci è data sapere la gravità della situazione, “quanto” infortunio all’adduttore sia stato celato prima dello scambio con Portland, e quando lo vedremo in campo. Stay tuned…

Il ritorno di Klay

La consolazione “curvy” (magra non si può proprio usare in questo caso) portata dal carnevale messo in scena da tutti questi quintetti estemporanei che coach Kerr ha dovuto schierare negli ultimi mesi, è stata il ritrovare definitivamente Klay Thompson. Il californiano sembra (almeno per ora) tornato ai vecchi fasti, quelli di #ChinaKlay (ricerca da fare subitissimo se non avete sogghignato leggendo l’hashtag…).  Il trentatreenne californiano ha inanellato una serie di partite stellari in cui ha fatto finalmente rivedere tutto il vecchio arsenale, e non solo: GS non solo ha riscoperto lo splash brother “minore” ma ha anche visto la sua capacità di creare dal palleggio, cosa a cui ovviamente è chiamato molto meno con il roster al completo.

Mentre scrivo, l’infermeria si sta lentamente svuotando e con un po’ di continuità potrebbe fornirci più indizi su dove andranno a collocarsi nella western conference. Certo è che il calendario non li agevola nella prossime 2 settimane: una manciata di volte contro LA, 2 volte a Memphis (prenoto almeno un flagrant foul per Green), 1 volta a Milwaukee, 1 a Phoenix contro l’ex KD, e se ne potrebbero pure aggiungerne altre. Praticamente un girone infernale dantesco versione NBA.

A guardare gli standings adesso il loro vero obiettivo potrebbe essere il sesto posto: play-in evitato e primo turno con i Memphis Grizzlies. Da lì in poi il cammino sarebbe ovviamente duro, ma si sa che l’ovest è una tonnara – ancora di più adesso post-smantellamento dei Brooklyn Nets.

Veterani o Rookie? Questo è il problema

Infortuni a parte, i problemi “strutturali” c’erano e ci sono: i Dubs sono sembrati fin dall’inizio un’amalgama imperfetta fra veterani in cerca di gloria imperitura e giovani in cerca di spazio (e contratti). Il risultato è stato il vedere più volte in campo una squadra scollata e senza la cazzimma difensiva che ha sempre contraddistinto la squadra della Bay Area.

La recente trade di James Wiseman ha sicuramente puntellato la situazione ma non risolve il problema, o almeno non del tutto, della mancanza di atletismo orizzontale e verticale. Per onor del vero bisogna specificare che i Warriors, i centimetri non li hanno mai avuti, ma mai come quest’anno la sensazione che si ha ogni qualvolta Looney esce dal campo, è di vedere una squadra veramente piccola, di lillipuziani NBA.

Il loro segreto è sempre stato compensare con un sistema difensivo molto organizzato e dinamico consentito da una rotazione costante di giocatori di sistema. Questo è stato a mio avviso la principale mancanza dei Dubs versione 22-23.

Vero è che ai veterani un po’ di lassismo da regular season glielo potremmo pure concedere, ma il disappunto o per lo meno l’amaro in bocca dovuto al fallimento della “linea giovane” oramai è sempre più difficile da nascondere.

Per ora James Wiseman è quello che ha pagato per tutti (altra prova, se mai ce ne fosse bisogno, che il draft non sia proprio una scienza esatta) andando a Detroit. Gli altri “youngster” hanno alternato rendimento, umori mostrando a seconda degli opinionisti immaturità o incapacità di amalgamarsi in un sistema bellissimo, ma estremamente complesso.

Peccato davvero per Wiseman ma oltre al progetto tecnico – un lungo atletico e tecnico che corre il campo e tiricchia da tre idealmente poteva essere un’arma atomica – ci sarebbe anche il lato finanziario e quel “tesoretto” risparmiato nella trade (7 milioni quest’anno e 30 -si, T-R-E-N-T-A, milioni l’anno prossimo) fa comodissimo al presidente Joe Lacob per gestire le situazioni spinose (Green su tutti) in arrivo nella prossima estate, specialmente quando in campo i frutti tardavano vistosamente a maturare.

Con l’aggiunta finale di Payton, il GM Bob Myers sta provando a riportare un po’ di quella alchimia che è sembrata mancare dall’inizio dell’anno. E ci sarebbe ancora uno spot libero nel roster che però sembra sempre più probabile venga completato da uno dei due (diversissimi) two way player (Anthony Lamb o Ty Jerome) spesso lancianti in campo al Chase center causa infortuni.

Il caso Jordan Poole

Le aspettative erano ovviamente alle stelle e commisurate al contratto firmato in estate (passando da 4 milioni a 35 a stagione, mica bruscoletti)

L’inizio di stagione con la rissa con Draymond Green – mai risolta completamente come si è visto anche la scorsa notte contro OKC-  e un avvio in generale molto pigro specialmente sul lato difensivo (come spesso capita nella NBA dopo che i giovani firmano il primo contratto “grosso”)  ha fatto invece più volte mormorare al chase center la parola fraud (l’equivalente del nostro “pacco”).

Lo stesso Draymond sembra che stia ancora subendo le ripercussioni (almeno a livello di spogliatoio) mostrandosi meno presente del passato sia nel suo fatturato cestistico, sia come faro costante della difesa e leader vocale dei più e meno giovani. E’ quindi molto facile dire che con la mente sia già a Los Angeles (dove quasi tutti i bookmarkes lo danno) o che sia entrato definitivamente nella parte discendente della parabola…

Caso Poole a parte, che ad onor del vero è apparso in ripresa nell’ultimo mese su entrambi i lati del campo, in generale va registrata una certa difficoltà ad inserire dei giocatori giovani nell’oleato meccanismo Warriors. Sicuramente la NBA non è la NFL: gli atleti arrivano spesso immaturi con poca o niente esperienza collegiale in una lega che richiede sempre più testa e skills definite.

Anche guardandosi intorno è infatti veramente difficile trovare dei rookie che riescano ad avere un impatto reale nelle prime due stagioni e quindi è anche sempre più difficile scegliere i giocatori giusti (tutto questo ovviamente leva anche molto peso/valore alle picks nelle trade)

Un’altra possibile spiegazione, spesso sussurrata dai media USA, è che lo stile di coaching “Popoviciano” di Steve Kerr, mal si presti a spiegare alle nuove generazioni un sistema che abbini precisione svizzera a flusso e creatività brasiliana. In generale, per un ragazzino appena uscito dal college vedo poche curve di apprendimento cosi ripide come giocare nei GSW come punto di accesso alla NBA.

Conclusioni

Per chiudere, la sintesi estrema è che la situazione in casa Golden State è molto complessa, ma mai distrarsi troppo quando hai campioni nel roster con un simile pedigree.

Nelle prossime settimane vedremo se la “pezzetta” GPII basterà a ridare collante (specialmente difensivo) permettendo ai Warriors di “cliccare”, come si dice in gergo NBA.

Voi che ne pensate? Chi sono i favoriti ad ovest?

 

5 thoughts on “Il finale di stagione dei Warriors fra speranze e incertezze

  1. Da quando hanno capito come fare a vincere, l’unico avversario che abbia veramente sconfitto GSW sono stati gli infortuni. Tra parentesi, mi scappava un po’ da ridere l’anno scorso leggendo analisti professionisti che li davano sfavoriti nei vari turni di playoff. Si vede che le lezioni non erano bastate.
    Però non si può ignorare che arriverà un altro avversario imbattibile, il tempo. Bisogna vedere se è già arrivato. Qualche segnale c’è. Il tempo erode non solo il fisico, ma anche l’animus pugnandi ed anche i roster migliori nel loro complesso. Non so dire, ma sono un po’ preoccupato. Se ritroveranno l’alchimia dei tempi migliori, allora andrà tutto bene.

    • Credo che quest’anno faranno poca strada ai playoff anche se saranno un brutto cliente per chiunque li incroci. Sono + curioso di vedere cosa farà la dirigenza per il prox anno..per me bastano pochi innesti cercando di sfruttare gli ultimi anni di quel fenomeno cestistico di nome steph curry

      • E chi potrebbe dare loro fastidio, a parte i Suns al completo? Denver? Sacramento? Seriously?
        Più pericolosi i Lakers col Lebbros sano e tutti gli sponsor alle spalle, casomai.
        Grizzlies ancora immaturi e Clippers troppo discontinui.

        • In trasferta gli warriors quest anno fanno pena..hanno problemi in difesa .. e quello scemo di dray prende i tecnici pesando non poco nella chimica di squadra.
          Da simpatizzante warriors ribadisco ciò che ho scritto prima. E mi rode visto che abbiamo quel marziano di curry in squadra

          • Grave errore sprecare le pesche al draft ma i playoff sono comunque un altro sport.
            Sfrutteranno l’ultima cartuccia?

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