Che la Western Conference della NBA non sia al livello degli anni passati lo abbiamo scritto più volte e sotto vari punti di vista. Quando in un campionato sportivo però capita un girone di livello inferiore la conseguenza più interessante per gli appassionati (per i tifosi delle varie squadre, che vorrebbero delle vittorie, forse un po’ meno) è l’equilibrio e l’imprevedibilità.

Guardando la classifica di questo fine gennaio 2023 (in particolare al 28/1, giorno in cui scrivo) notiamo in effetti come tutto possa succedere con le squadre dal quarto al tredicesimo posto separate da sole tre vittorie di scarto. Così i Pelicans che senza Zion Williamson non vincono più sono ancora quarti, i Minnesota Timberwolves alle prese col problema Rudy Gobert e i Golden State Warriors con gli spettri della fine del ciclo Splash Brothers sono vicinissimi alla zona playoff diretti, i sesti classificati Dallas Mavericks sono ancora lì malgrado non stiano dimostrando di avere quasi nulla dietro Luka Doncic e addirittura gli Oklahoma City Thunder, privi per la stagione della seconda scelta assoluta Chet Holmgren, se la giocano concretamente per il play-in.

Ma il risultato più sorprendente riguarda chi occupa attualmente la terza posizione alle spalle dei Denver Nuggets e dei Memphis Grizzlies, uniche squadre che stanno mostrando velleità da vera contender finora ad Ovest. Dietro di loro infatti contro ogni previsione e dopo anni, anzi decenni, di disastri sportivi in successione troviamo la squadra dal pubblico più paziente della NBA, addirittura più paziente di quello dei Knicks: nuntio vobis magnum gaudium, i Sacramento Kings sono tra le prime in classifica.

Una scena che negli anni scorsi si era vista raramente: il pubblico dei Kings in festa

Una scena che negli anni scorsi si era vista raramente: il pubblico dei Kings in festa

La formazione allenata da Mike Brown sta mostrando una continuità di risultati e di qualità della propria pallacanestro che legittima pienamente ad oggi il loro terzo posto. Una posizione del genere a metà campionato non può più dirsi frutto di sole combinazioni del destino e quindi ecco a voi la notizia ancora più shockante del piazzamento nella Western Conference dei Kings: il management ha costruito una squadra sensata con scelte di mercato sensate.

Il rebuilding è cominciato il 9 febbraio 2022 quando era chiaro che tanto per cambiare Sacramento si era ritrovata alle prese con una squadra senza prospettive, con una grande confusione in campo e sulla quale andavano quindi compiuti interventi pesanti e rischiosi se si voleva puntare quantomeno a una squadra che desse dignità alla capitale della California.

Il general manager Monte McNair (ex braccio destro di Daryl Morey nella Houston dell’era Harden) ha quindi deciso di bussare alla porta degli Indiana Pacers ottenendo una trade che tanto per cambiare non sembrava proprio vincente ma che è stata determinante per la stagione di oggi: a Indianapolis andarono il tiratore principale dei Kings Buddy Hield e quello che sembrava il giocatore più futuribile Tyrese Haliburton (oltre al contratto in scadenza di Tristan Thompson) per ottenere Jeremy Lamb, Justin Holiday, una seconda scelta al draft di quest’anno e soprattutto quello che è il leader odierno del frontcourt di Sacramento, Domantas Sabonis.

Mike Brown, tornato al ruolo di head coach dopo molto tempo, insieme a Monte McNair, che ha ricostruito i Kings

Mike Brown, tornato al ruolo di head coach dopo molto tempo, insieme a Monte McNair, che ha ricostruito i Kings

Questa trade ha fatto felici entrambe le squadre: Indiana si gode oggi le triple di Hield e la crescita di Haliburton che ha confermato di essere un All Star del futuro molto prossimo ma Sacramento ha beneficiato quest’anno della crescita definitiva del figlio di Arvydas, gigante (in tutti i sensi) del basket anni ’90.

https://www.youtube.com/watch?v=tJbjqR3Ufuc&ab_channel=Cookies%26Kareem

Considerato un ottimo attaccante ma dalle cifre poco incisive e tendente come molti lunghi dalle mani buone ad essere timido in difesa, Domas ha dimostrato l’esatto contrario nella sua ancora breve permanenza ai Kings e così a 26 anni sembra arrivato alla maturazione definitiva. Dal campo tira col 60% (massimo in carriera) dimostrando una versatilità importantissima potendo sia affiancare Harrison Barnes che giocare minuti da PF in un quintetto più alto.
La sua grande abilità come passatore (7.3 assist quest’anno, top in carriera anche in questo) lo rende prezioso nei giochi alto-basso e quando le difese lo raddoppiano oltre a sbloccare un ricordo da lacrime per i tifosi che di lunghi passatori ne hanno avuti un paio piuttosto bravi, tali Webber e Divac…

Il miglioramento più importante apportato dalla presenza di Sabonis però riguarda la sua intesa con DeAaron Fox, il leader designato dei Kings. Anche sotto questo punto di vista la trade è stata fondamentale non solo per aver portato il lituano alla corte di Mike Brown ma anche per aver liberato Fox dall’affiancamento con Haliburton che non funzionava per entrambi e soprattutto con Hield che ai Pacers può interpretare il suo ruolo nel modo che gli è congeniale.

Fox ora è l’esterno di riferimento della squadra e si è posto rimedio alla confusione nei ruoli di cui parlavamo. Ma soprattutto il regista dei Kings ha finalmente un lungo col quale mettere in mostra le sue abilità di costruttore di gioco oltre che di finalizzatore.

Dal canto suo Sabonis non ha più la pressione di troppe responsabilità che può dividere con lo stesso DeAaron; il risultato è un asse play-pivot, per usare un’espressione sempre più dal sapore vintage, funzionale e già affiatato dopo neanche una stagione insieme.

Dopo la partenza di Hield occorreva però sostituirlo con un altro tiratore e anche qui il management ha compiuto la scelta migliore portando ai Kings Kevin Huerter da Atlanta con sacrifici minimi (agli Hawks sono andati un Justin Holiday pura pedina di scambio, Moe Harkless gran lottatore ma poco prolifico e una prima scelta del 2024 protetta dalla 1 alla 14)
Huerter si è dimostrato molto più funzionale di Hield al gioco dei Kings trovando gli spazi aperti da Fox e Sabonis e sfruttandoli alla grande tirando col 41.8% da tre, anche in questo caso massimo in carriera. Kevin non disdegna inoltre l’utilizzo di questi spazi nei finali di partita, come dimostrato dal suo canestrone per la vittoria contro i Jazz.

https://www.youtube.com/watch?v=_KWaItnSJ7g&ab_channel=TheNBAFreak

A tutto questo ben di Dio aggiungiamoci un’ottima firma in free agency come quella di Malik Monk che ha portato ai Kings un giovane di prospettiva in una squadra terribilmente a corto di prospettive e shakeriamo il tutto con l’esperienza di Harrison Barnes che ha sempre saputo ricoprire benissimo il ruolo di collante dovunque è andato. Il risultato è una squadra che ne guarda dodici dall’alto dopo quasi vent’anni in cui succedeva regolarmente il contrario.

Come su molte squadre del genere i dubbi sul futuro sono molti, partendo dai playoff, quando all’entusiasmo per il raggiungimento della postseason si sostituisce la pressione di voler e dover fare del proprio meglio in un contesto in cui si è assenti da anni (e il roster di Sacramento di esperienza playoff ne ha pochissima se si fa eccezione per le vittorie di Barnes con Golden State avvenute però parecchio tempo fa e con Harrison in un ruolo ben diverso da quello di oggi) e proseguendo con la prossima stagione, quella della conferma, quella in cui gli avversari hanno imparato a capire i punti di riferimento.

Per il momento però i tifosi di Sacramento si godono una squadra che vince, che gioca bene e che soprattutto è già lontana dall’accozzaglia di gente che calpestava il parquet dell’Arco Arena appena un anno fa.

Il tempo come sempre dirà se i Kings sono destinati a competere in pianta stabile per i playoff o se faranno la fine di squadre come gli Hawks e i Knicks dello scorso anno (per citare due esempi recenti) che non hanno confermato quanto di buono messo in mostra la stagione prima crollando sotto il peso delle aspettative. L’ottimo lavoro di ricostruzione di una squadra che aveva ben poco da sperare per il futuro resta comunque e quindi giù il cappello per Monte McNair, d’altronde prima o poi doveva arrivare nella capitale della California qualcuno che azzeccasse le mosse giuste.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.