Una cosa da dire senza timori di smentita sui Minnesota Timberwolves di quest’anno è che hanno senza dubbio sconvolto la offseason e il suo carico di trade e affari vari. Non capita certo tutti gli anni che la franchigia di casa a Minneapolis sconvolga qualcosa, trattandosi di un mercato piccolo per un luogo tranquillo e pacifico popolato di gente tranquilla e pacifica la cui squadra riflette la natura tranquilla e pacifica (dal debutto dei Wolves in NBA risalente al 1989 la squadra ha superato solo una volta il primo turno playoff, guidata da Kevin Garnett, a fronte di 9 partecipazioni alla postseason)
Sta di fatto che l’affare che ha portato nel Minnesota Rudy Gobert ha fatto tremare i polsi degli altri 29 general manager della lega. Riepiloghiamone i dettagli: una delle squadre difensivamente messe peggio della Western Conference si è accaparrata il francese, considerato da sempre ai vertici degli specialisti difensivi tra i centri, e i suoi tre anni di contratto a 123 milioni di presidenti stampati più 45 di player option cedendo ai Jazz non tanto giocatori che alla squadra di Chris Finch non servivano granchè in prospettiva (Patrick Beverley, Malik Beasley, Jarred Vanderbilt e Leandro Bolmaro) quanto quattro prime scelte negli anni dispari fino al 2029.
In pratica lo small market di cui sopra ha rinunciato in grandissima parte alla sua possibilità principale di prendere giocatori di talento (il draft NBA) e sull’onda del grandissimo finale di stagione dello scorso anno, con partecipazione al play-in e uscita a testa altissima contro i Memphis Grizzlies, ha provato a costruire una squadra fatta per competere in alto.
Eppure l’inizio di stagione era stato un mezzo disastro per i lupacchiotti in blu scuro. Fino a una settimana fa i Wolves si erano portati a casa la miseria di 5 vittorie su 13 gare e il problema non era tanto il numero (comunque bassino) di W quanto il fatto che fossero avvenute esclusivamente contro avversari di livello rasente al suolo come i Thunder (due volte) e gli Spurs (per i quali le 9 sconfitte nelle ultime 10 gare ricordano il vero scopo di quest’anno…) più una vittoria contro i Lakers che ormai non si nega a nessuno.
Le cose però nella regular season NBA, specie nelle battute iniziali, cambiano in fretta e la settimana conclusa oggi ha visto Minnesota portarsi a casa tre vittorie di fila e stavolta gli avversari, ad eccezione degli Orlando Magic, erano di livello confermato: prima i Cavaliers in forma smagliante a Est e poi i Sixers del Joel Embiid delle meraviglie di novembre.
3 in a row. Let’s keep building 🐺🙏🏽📈 pic.twitter.com/bT3cFyi5NK
— Rudy Gobert (@rudygobert27) November 20, 2022
La squadra di Finch adesso è decima nella Western Conference con il 50% di vittorie del suo 8-8 ma non è molto distante dal trio Mavs-Suns-Nuggets che occupa il quarto posto con un record di 9-6. Ci sono ancora tutte le carte numeriche in regola per far scordare il brutto inizio di stagione così come hanno fatto, per dirne una, i Boston Celtics l’anno scorso che dopo aver iniziato in maniera bruttina il campionato hanno disputato addirittura le finali NBA.
Cercheremo quindi di rispondere a tre interrogativi: cos’è successo nel primo mese, cos’è cambiato ora, cosa potrebbe accadere in futuro in casa Minnesota Timberwolves.
COSA NON E’ ANDATO BENE TRA OTTOBRE E NOVEMBRE?
Come accennato i Minnesota Timberwolves sono reduci da una stagione 2022-23 vissuta con molte più gioie che dolori fino alla pausa per l’All Star Game, che ha visto la vittoria di Karl-Anthony Towns nel Three Point Contest a cambiare in positivo il mindset della squadra. La difesa era sempre altalenante ma la ritrovata vena di KAT e un Anthony Edwards stellare hanno portato Minnesota a una qualificazione ai playoff con eliminazione dei favoriti Los Angeles Clippers in cui pochissimi credevano.
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La squadra però non poteva comunque dirsi pronta per un futuro stabile ad alti livelli con molti dubbi da risolvere. A parte la questione difensiva con Towns che era più falloso che aggressivo c’era da sistemare la convivenza tra due realizzatori puri come Edwards e D’Angelo Russell col primo a giocare prevalentemente da esterno. In mezzo a questo roster in via di stabilizzazione è arrivato Rudy Gobert e di conseguenza Chris Finch ha dovuto aggiungere anche l’inserimento del francese agli accorgimenti da adottare per migliorare la propria squadra.
Quest’ultima in attacco è assolutamente una squadra da corsa con gli attacchi al ferro di Edwards, i tiri in transizione di Russell e Towns a punire il fatto che le difese dovessero decidere in tempi brevissimi se lasciarlo tirare o concedergli di attaccare dal palleggio, entrambe situazioni in cui KAT si trova perfettamente a proprio agio. Ma l’arrivo di Gobert ha fatto in modo che questo attacco dovesse adeguarsi e in più ai Wolves manca ancora un giocatore più compassato che possa tentare di sfruttare il pickandroll alto, principale risorsa offensiva dell’ex Utah.
Aggiungiamo a tutto ciò anche una punta di grottesco qui sotto…
Di conseguenza se a Minnesota si toglieva la possibilità di correre tutto ciò che restava era un tiro, spesso prevedibile, soprattutto di Russell che continua a viaggiare su quella linea sottile che separa il leader che prende le responsabilità dando sicurezza ai suoi e l’incosciente che si butta a capofitto nelle iniziative lasciando tifosi e compagni in balia delle sue lune. Conseguenza di tutto questo è stato un ottobre, come si diceva, ben più brutto di quanto la già grigia classifica parlasse.
COSA E’ CAMBIATO ORA?
Le mosse da mettere in atto per migliorare erano piuttosto palesi ma ciò non vuol dire che non ci voglia tempo per metterle in pratica. Chris Finch è passato dall’avere in mano una simpatica squadra per la quale puntare in alto era qualcosa in più piuttosto che un punto di arrivo all’avere in mano una potenziale contender per i playoff sia quest’anno che nel futuro.
Ad ogni modo nelle ultime tre partite abbiamo visto Towns partire sempre di più da fuori l’arco per attaccare o per tirare lasciando libertà a Gobert di impadronirsi dell’area pitturata sia in attacco che in difesa. Offensivamente KAT ne ha beneficiato tanto da ottenere le sue due prestazioni offensive migliori dell’anno nelle prime due vittorie del filotto (29 contro Cleveland, 30 contro Orlando) et dulcis in fundo il contributo di Rudy porta pur sempre quasi 12.6 rimbalzi a gara (11.7 per lui la media in carriera)
Il cambiamento più evidente riguarda però a mio avviso quello che riguarda il supporting cast. E’ vero, i ruoli e le gerarchie in campo sono ancora in via di definizione (ne parleremo nella prossima sezione) ma quello che fanno i giocatori di Minnie non nominati finora è qualcosa di importantissimo che conferisce al roster di Finch una profondità e una varietà di opzioni che non molte squadre hanno.
Cominciamo da Jaden McDaniels che è bravissimo a tesaurizzare tutte le opportunità che gli lasciano i big con cui divide il quintetto base e che al suo terzo anno in NBA è arrivato in doppia cifra di media (11.1) con un ottimo 54.3% dal campo. Importante perchè segnale di affidabilità da parte di un giocatore giovane che però sa benissimo cosa fare e come farlo.
Inoltre dalla panchina quando Towns va in tilt offensivamente, come accaduto nella gara con i Sixers, esce un Naz Reid che per quanto vada più spesso fuori giri a sua volta rispetto a McDaniels riesce a non far calare troppo la pericolosità offensiva dei suoi. I 9 punti di Reid con Phila sono stati fondamentali per tenere avanti i Wolves
Naz Reid spins on Joel Embiid and throws it down 👀
— ClutchPoints (@ClutchPointsApp) November 20, 2022
Aggiungiamoci poi i giocatori d’esperienza: Slo-Mo Kyle Anderson che è fondamentale per far ragionare un attimino i compagni e Taurean Prince come sempre più che disposto a sacrificarsi in difesa sia sugli esterni che sulle PF. Insomma, il roster di Minnesota sarà ancora in cerca della quadra definitiva, ma è senza dubbio ben fornito di quella dotazione di rotazioni lunghe che è essenziale per fare strada nella Western Conference.
QUALE FUTURO ATTENDE I WOLVES NELL’IMMEDIATO?
Lotta per i playoff doveva essere e lotta per i playoff sarà. La convivenza tra Towns e Gobert ora funziona bene, Edwards e Russell sono sempre due frombolieri tra i migliori della lega quanto a fatturato offensivo e non c’è quindi motivo per non inserire i Wolves tra le squadre che competono per la postseason anche considerando che molti roster attualmente sopra quello di Finch hanno a loro volta i loro grattacapi (i Clippers con Kawhi Leonard ancora a mezzo servizio, i Jazz alle prese col cambiamento di prospettiva da una squadra tankante a una vincente, i Mavericks che anche quest’anno continuano a farsi rimontare voragini di vantaggio e senza Luka Doncic sono riusciti a perdere con Houston in casa…)
Quanto i Timberwolves potranno andare lontano potrà dirlo solo il campo ma va detto che ci sono ancora delle nubi a minacciare il futuro di Minnie. E non sono nubi passeggere visto che sono problemi che permangono da un bel po’ di tempo.
Su D’Angelo Russell mi sono già espresso nel mio Power Ranking di inizio anno e i dubbi, non solo miei, sono sempre gli stessi: è un leader affidabile o un mangiapalloni? Ancora non abbiamo una risposta definitiva ma non va comunque nella giusta direzione la mancanza di un playmaker ragionatore che possa permettere all’ex Lakers di sfruttare appieno il proprio talento balistico, tantomeno il fatto che il play della squadra sia attualmente lui.
Parliamo quindi di Anthony Edwards, talento cristallino come ha dimostrato negli scorsi play-in, giocati da dominatore assoluto, e nella serie playoff contro i Grizzlies in cui ha dato letteralmente tutto se stesso per la squadra portandola a una grandissima prestazione pur perdente, onorata anche da Ja Morant con un bel momento di sportività.
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Nel modo di giocare di Ant non è cambiato però ancora nulla: non viene sfruttato abbastanza da power forward anche perchè questo significherebbe o giocare con Towns da 5 e subire difensivamente troppo o rinunciare a KAT mettendo Gobert centro. Un bel rebus per Finch.
Al di là delle questioni tattiche però Edwards ha ancora molti problemi nella selezione dei tiri e delle iniziative e i suoi 22.1 punti di media nascono da 18 tiri presi a partita convivendo anche coi 12.5 di Russell (che, va detto, li ha abbassati a fronte dei 15 dello scorso anno) Il ragazzo ormai sta diventando grande e deve capire la cosa giusta da fare e non sperare sempre che il suddetto talento cristallino lo assista.
Ci sono ancora cose da sistemare insomma e a doverlo fare è soprattutto Chris Finch. Una buona serie di vittorie nei prossimi mesi però potrebbe aiutare senza dubbio i suoi giocatori ad assisterlo al meglio nella ricerca delle soluzioni giuste; intanto si è iniziato a vincere ed è già una buona e non troppo tardiva partenza.
Sotto la copertura di un tranquillo (si fa per dire) insegnante di matematica si cela un pazzo fanatico di tutto ciò che gira intorno alla spicchia, NBA in testa. Supporter della nazionale di Taiwan prima di scoprire che il videogioco Street Hoop mentiva malamente, in seguito adepto della setta Mavericks Fan For Life.