Sul soffitto dell’Arco Arena di Sacramento, come da tradizione mondiale, sono appese 11 canotte con altrettanti numeri ritirati: si va dal 14 di Oscar Robertson, che però non ha mai giocato a Sacramento ma a Cincinnati con i Royals antenati dei Kings, al 4, 16 e 21 rispettivamente di Chris Webber, Peja Stojakovic e Vlade Divac, protagonisti del periodo d’oro della franchigia di inizio anni Duemila culminato in una delle serie più appassionanti, discusse e combattute della storia come quella che vide i Lakers di Kobe&Shaq vincitori al supplementare di gara-7.
In mezzo a queste canotte spicca quella con il numero 6: il sesto uomo, il pubblico dell’Arco Arena. Un riconoscimento quantomai dovuto a quella che si potrebbe definire ad oggi l’audience più paziente e sofferente della NBA attuale.
Perchè dal succitato periodo d’oro i Kings non hanno mai più raggiunto i playoff NBA.
La loro ultima apparizione in postseason è datata 2006. Sono passati sedici anni, nel corso dei quali abbiamo visto nascere cestisticamente campioni come Steph Curry, Kawhi Leonard e Damian Lillard, tutti e tre rifiutati dai Kings al Draft NBA per scegliere invece Tyreke Evans nel 2009, Bismarck Biyombo nel 2011 (poi subito girato a Charlotte per mettere le mani su Jimmer Fredette) e Thomas Robinson nel 2012.
Abbiamo visto il ciclo di Oklahoma City con Durant e Westbrook, dei Warriors con gli Splash Brothers e dei Clippers di Lob City. I Toronto Raptors hanno vinto il primo titolo NBA assegnato a una squadra non americana. I Sacramento Kings hanno vissuto tutti questi periodi storici della lega da puri e semplici spettatori, anzi correndo il rischio per un periodo di essere spostati a Seattle.
Ma dopo tanti anni e tante sconfitte ci sarà un minimo di speranza per il pubblico di Sacramento omaggiato con quel numero 6 sul soffitto dell’Arco Arena? Purtroppo la risposta è ancora no.
I Kings sono terzultimi nella Western Conference con 20 vittorie su 55 gare e hanno alle spalle solo due squadre come i Thunder (battuti in casa nell’ultima gara disputata) e i Rockets che sono in pieno e dichiarato rebuilding. Quella ricostruzione che per Sacramento in teoria sarebbe partita dopo il ciclo Webber-Divac-Peja-Rick Adelman di inizio anni Duemila.
La loro difesa è la penultima dell’intera lega con 114.5 punti subiti, meglio solo di Houston infarcita di rookies e giocatori emergenti in generale. Le ultime 10 gare prima della succitata vittoria contro Oklahoma City hanno visto solo 2 vittorie a fronte di 8 sconfitte allontanando ulteriormente una parvenza di velleità playoff.
Ma soprattutto come da sedici anni a questa parte manca qualsiasi base per un progetto tecnico a lungo termine.
Iniziamo dal presente ovvero dalla stagione attuale: a novembre è stato silurato l’allenatore Luke Walton e al suo posto siede sulla panchina di Sacramento Alvin Gentry nel non troppo chiaro ruolo di coach ad interim (praticamente Gentry sostituisce provvisoriamente Walton da tre mesi) e col non esaltante palmares di tre partecipazioni ai playoff in ventisette anni di carriera.
Walton era stato portato a Sacramento da Vlade Divac, all’epoca general manager dei Kings, nel 2019 proprio per iniziare a porre le basi di un nuovo progetto: è andata talmente bene che sia Walton che Divac oggi non sono più a Sacramento e la squadra è attualmente guidata da un allenatore preso come vice di esperienza per Walton e che non ha esattamente un pregresso vincente, per non parlare della sua carica ad interim.
La situazione nebulosa del coaching staff si ripercuote inevitabilmente sui giocatori in campo a cui mancano gerarchie e coesione. Il leader designato De’Aaron Fox, rinnovato nel novembre 2020 con un quinquennale al massimo salariale da 163 milioni, è un ottimo scorer (21 punti di media) ma poco consistente nei momenti decisivi e soprattutto gravemente carente in difesa dove è la terza peggior point guard per defensive rating (ha un 115 che lo pone sopra solo al declinante Kemba Walker e a un Ja Morant che compensa con numeri astronomici in attacco)
Il backcourt dei Kings dovrebbe avere come uomini di punta lo stesso Fox e un Buddy Hield ottimo tiratore dall’arco (ma quest’anno con un 36.8% da tre che è un netto peggioramento rispetto al 40% in carriera) ma altro difensore svogliato soprattutto sugli aiuti.
L’emergente sophomore Tyrese Haliburton si sta rivelando nettamente più convincente dei due che però ne limitano considerevolmente lo spazio, senza contare che per complicare un altro po’ la situazione all’ultimo Draft NBA i Kings hanno pescato un’altra point guard come Davion Mitchell.
Sotto canestro Richaun Holmes, rinnovato in estate nel ruolo di centro titolare con un contratto da 46 milioni e mezzo fino al 2025, ha risposto alla fiducia del management con un calo dei punti per gara a 11.8 dai 14.2 dello scorso anno; chiaramente non parliamo di un giocatore d’elite, così come non lo è Mo Harkless che gioca spesso da PF offrendo sempre un contributo d’energia ma povero sia per punti (4.9) che per rimbalzi (2.5)
In campo regna quindi la disorganizzazione come negli ultimi sedici anni. Resterebbe quindi la speranza nel futuro ai poveri tifosi di Sacramento, ma anche guardando la posizione dei Kings nello scacchiere del mercato NBA c’è davvero poco in cui sperare.
Malgrado possa sembrare che gli ex Cincinnati Royals siano una squadra in rebuilding la situazione contrattuale per la prossima stagione non lascia in realtà molto spazio di manovra con i succitati accordi con Fox e Holmes e i due anni rimanenti per Buddy Hield.
La free agency non potrà quindi portare molto lontano anche in virtù del fatto che Sacramento non è esattamente la meta più ambita per un free agent, dunque i casi sono due: o ci si muove sul mercato delle trade o si punta al prossimo Draft, in cui visto l’andazzo la pesca al primo giro per i Kings avverrebbe comunque in una posizione piuttosto alta (per il secondo giro le scelte sono invece in mano ad Atlanta e a Portland o Detroit)
Il problema è che negli ultimi anni, come abbiamo visto in apertura, Sacramento ne ha azzeccate veramente poche in sede di Draft facendosi sfuggire vari futuri campioni, ultimo dei quali Luka Doncic, al quale Vlade Divac ha inspiegabilmente preferito Marvin Bagley III.
Così mentre Doncic ha riportato Dallas ai playoff stracciando un record individuale dopo l’altro e regalando ai tifosi del Texas biancoblu un nuovo idolo dopo il ritiro di Dirk Nowitzki, Bagley ha trascorso più tempo in borghese che in campo e ancora oggi non è chiaro quanto possa dare a livello NBA. Può sembrare inutile rimarcarlo ma va fatto per spiegare definitivamente come i Kings buttino continuamente via occasioni concrete di rilancio.
Cosa fare quindi? La risposta è impietosa per chi supporta Sacramento: attendere ancora, sperare che su Haliburton o Mitchell si possa costruire qualcosa di solido, puntare su un coach affidabile che dia un’identità di gioco alla squadra e giocarsi decentemente le proprie chance ai prossimi Draft, nonchè valutare attentamente se De’Aaron Fox è davvero un go-to-guy per la NBA e se non lo è cercare un acquirente e portare a casa qualcosa di concreto in cambio.
Tutte queste mosse vanno ponderate con la massima attenzione; da questo punto di vista però abbiamo visto già a gennaio i Kings provare a buttarsi anima e corpo su una trade per Ben Simmons, ovvero un giocatore confuso che si sarebbe unito a una squadra ancora più confusa portando un altro contratto pesante in dote (i tifosi potrebbero ringraziare in futuro Daryl Morey per non aver accettato la proposta di Sacramento)
Non è sicuramente la più allettante delle prospettive per una piazza che ha trascorso quasi un ventennio fuori dalla NBA che conta ma lo sarebbe ancora meno credere che la squadra attuale possa definirsi un roster promettente (non lo è) o un roster di una franchigia in ricostruzione (non è nemmeno questo).
Bisogna fare davvero tabula rasa di quasi tutto e prima di parlare di giocatori, coach o di puntare ai playoff occorre recuperare un elemento fondamentale nella costruzione di una squadra: la logica.
Sotto la copertura di un tranquillo (si fa per dire) insegnante di matematica si cela un pazzo fanatico di tutto ciò che gira intorno alla spicchia, NBA in testa. Supporter della nazionale di Taiwan prima di scoprire che il videogioco Street Hoop mentiva malamente, in seguito adepto della setta Mavericks Fan For Life.