L’elezione di Nikola Jokic a MVP lo scorso anno ha aperto uno squarcio su una certa cultura dominante oggi nella NBA. Il merito guadagnato sul campo non ha potuto evitare il diffondersi di certe opinioni a tratti antipatiche. C’è ancora una forte resistenza ai giocatori stranieri e con lui nello specifico una resistenza ancora maggiore a premiare un giocatore che rientra poco nei canoni estetici più comuni.

Ora possiamo serenamente tradurre in termini pratici tutte queste belle parole. Jokic è straniero dunque, ma bianco, sovrappeso, goffo, poco atletico, lento. La domanda che correva insistente nei circoli NBA era più o meno la seguente, per buona pace del politicamente corretto. “Possiamo fare MVP uno come questo?”

La rivoluzione però c’è stata. Jokic è stato incoronato MVP e almeno per un anno è la faccia di questa lega, al netto dei soliti noti. Non è opportuno sottovalutarne la portata storica. Come non è opportuno negare l’evidenza: Nikola Jokic è il miglior centro passatore della storia.

Viviamo in un’epoca con alcuni primati ben chiari a tutti. Oggi guardiamo giocare tra gli altri il miglior tiratore di sempre, tal Steph Curry fresco di record di triple ed il miglior ball handler, quel Kyrie Irving ancora impantanato nella spinosa questione del vaccino.

Poi c’è Jokic per l’appunto. Nessuno ha mai visto un lungo passare la palla così efficientemente ma soprattutto in maniera così unica e spettacolare. E allora agganciamoci al discorso di partenza.

Cosa fa spettacolo nella NBA odierna ? La schiacciata in penetrazione o in campo aperto di un Anthony Edwards? Si certo, ma anche un settepiedi con una visione di gioco incomparabile per la sua altezza e per il suo peso.

La sua storia è decisamente curiosa. E’ la storia di un’ascesa al successo improbabile. C’è una foto che è un quadro del miglior realismo degno di quel Courbet che spiattellò olio su tela la vulva in tutta la sua vera crudezza.

C’è lui ragazzino seduto a petto nudo con la sua famiglia, evidentemente al mare in estate, davanti ad un tavolino con sopra una spremuta di agrumi. Il fratello dietro in piedi sembra un miliziano in libera uscita della Tigre Arkan, il nostro MVP è il buffo cicciottello che tutti noi abbiamo avuto come compagno di scuola.

Quanta strada da allora, davvero tanta. Si narra che abbia bevuto regolarmente fino al suo ingresso in NBA almeno tre litri di Coca Cola al giorno, non proprio la dieta di un futuro atleta professionista. I suoi chili vanno e vengono, non sarà mai magro ma ci ha lavorato tanto.

La sua mobilità laterale in difesa, suo vecchio difetto, è salita di livello, come tutti i movimenti offensivi in post basso spalle a canestro. E’ diventato col tempo più un centro classico alla vecchia maniera. Palla sotto e due punti con gioco di piedi e di spalle.

La sua posizione preferita resta però quella fronte a canestro, col radar sempre acceso per imbeccare i compagni. Da li può essere letale con un tiro che ormai ha una sua etichetta e che è il manifesto del suo modo di stare in campo. L’hanno chiamato “Sombor Shuffle”, dal nome del grazioso paese natale che giace placido a due passi dal bel Danubio blu, chiuso nell’angolo estremo del nordovest serbo tra la Croazia e l’Ungheria.

Il perché questo suo tiro, diventato ormai un trademark come quello di Nowitzki, sia un manifesto lo si capisce subito. Sembra tanto goffo, forse un poco lo è, ma è diventato micidiale. E’ un palleggio, con passettino laterale o appena in step-back con un tiro con parabola altissima che una volta su due va dentro proprio al centro del canestro.

Jokic può anche tornare ad essere scelto come MVP quest’anno. Il panorama odierno non vede nessun padrone chiaro ma il punto non è questo e credo non lo voglia più di tanto neanche lui. Ora serve arrivare più freschi possibili ai playoff e giocarsela fino alla fine.

I Nuggets stanno pagando l’assenza di Jamal Murray, da 9 mesi fuori per la rottura dei legamenti crociati del ginocchio. Se torna in tempo e sarà motivato, Denver potrà occupare un ruolo di primo piano ad Ovest. E’ in fondo la squadra che più di tutte ha il miglior equilibrio tra star power, mentalità soprattutto difensiva e di gruppo e infine voglia di lottare anche per imporsi contro i molti che ancora non credono in loro.

Jokic è più che pronto e se il mondo voleva la prova del suo carattere è forse bastata la spallata vigliacca a Markieff Morris. Ne è nato un violento alterco seguito da polemiche social e il fratello miliziano della foto sopra descritta è intervenuto in sua difesa andando sopra le righe.

Gli americani non sono ancora pronti, forse non lo saranno mai, nel capire davvero il background culturale di giocatori che vengono da contesti lontani e molto diversi dal proprio. Su Jokic si sono sbagliati valutandolo come giocatore e continuano a sottovalutarlo come uomo. Lui è probabilmente un esempio fulgido della migliore cultura serba, non a caso ha il nome di battesimo di quel Tesla che è uno dei serbi più famosi al mondo, il nome che Elon Musk ha trasformato nel marchio più potente nel mercato delle auto elettriche.

Se dici “Serbia” ad un americano è molto facile che non cavarne un ragno dal buco. A qualcuno potrebbe venire in mente che un serbo interpretò la goccia che fece traboccare il vaso all’origine della Prima Guerra Mondiale, ma la vedo dura.

Probabilmente per l’americano medio l’Europa è ancora un blocco indistinto, un pezzo di ghiaccio senza troppe sfumature al suo interno. Questo modo di pensare si riflette su tutto, quindi anche sul basket ed è esattamente l’ignoranza che genera il pregiudizio che è alla base, tornando al caso nostro, dello Jokic non apprezzato e anzi denigrato prima di diventare MVP.

Se dico questo è perché lo considero tipicamente serbo al pari di Novak Djokovic, per citare il connazionale più in vista dei tempi moderni. Quindi una persona fiera, molto sicura di sé (anche troppo a dire il vero), dura il giusto, motivata.

Non devo ricordarvi come il tennista abbia affrontato la questione del vaccino in Australia. Se ne abbiamo ricavato una lezione è che questi serbi sono gente tosta e Jokic ci sta dentro completamente. Del dileggio tecnico ed umano degli americani se ne fa onestamente una grassa risata.

Altro che goffo, è più duro o almeno lo è alla pari di tutti quei ragazzi, soprattutto neri, che sono cresciuti nei ghetti delle grandi città. Come appunto i fratelli Morris da North Philly, ambiente non tipicamente idilliaco.

La Serbia del giovane Jokic è il paese che esce azzoppato dalle guerre con i vicini, soprattutto in quelle condotte in Bosnia e che si avvia nel conflitto in Kosovo. Non è un contesto facile e non può non aver influenzato ognuno dei suoi abitanti. Molti dei quali adorano da sempre il basket, onore a loro. Se c’è una nazione al mondo che ha prodotto i migliori fenomeni collettivamente è proprio questa Serbia sempre orgogliosamente combattiva.

E’ un discorso troppo lungo che porta ad altri lidi. Vorrei solo ricordare come un giocatore come Dejan Bodiroga è uno dei migliori di sempre che mai ha messo piede in NBA ma che soprattutto mai un americano potrebbe apprezzare. Culture troppo diverse, praticamente all’opposto. Il suo gioco di piedi e di finte, la mano fatata e l’intelligenza sopraffina sono alla base di ciò che Jokic ha portato con successo in America. Non saltando un foglio di giornale.

Jokic è chiaramente un giocatore di pallanuoto prestato al basket. Vede tutto e con IQ superiore anticipa ogni mossa imbeccando il compagno come sua priorità. Non ha la calottina in testa ma si comporta allo stesso modo, pronto ad infilzare il canestro con la sua palombella arcuata.

Lo disse bene Nanni Moretti, lui si con la calotta in testa bordo vasca. “Le parole sono importanti”. Allora diciamolo chiaramente. Jokic è uno dei migliori nel suo ruolo. Nella storia del gioco.

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