Miami è la definizione di winning culture. Dal 2000 a oggi ha avuto solo 2 stagioni sotto le 37 vittorie, quindi è stata costantemente o quasi nel grande palcoscenico dei playoff. Risucchiata al centro del ciclone per la “responsabilità” di aver dato il via ai giocatori-mercenari con il trasferimento di LeBron James in quel di South Beach, è sempre rimasta da lì in poi una squadra data per scontata.

Ebbene, sono passati gli anni, sono passati i vari James, Bosh, The Flash Wade, Shaq, eccetera, eppure la Heat culture è sempre il cuore palpitante di una organizzazione che sembra sempre rimanere in cima ai desideri dei free agent più in vista della NBA.

Il centro di quella cultura fatta di vittorie, sacrificio e garra sudamericana sono il GM, nonché ex-coach Pat Riley, e il coach Spoelstra. La continuità che sono riusciti a dare, essendo presenti in società dal 1995 ad oggi entrambi (eccetto una breve parentesi di Van Gundy), ha sicuramente contribuito a mantenere un livello di competitività egregio nella massima lega americana.

Esempio lampante della maestria del duo della Florida è proprio questa stagione: se vi dicessi che Miami è 27-16, terza a Est e solo una partita indietro al primo posto dei Bulls, terza in defensive rating e quinta in net rating non ci sarebbe niente di speciale.

Ma se invece aggiungessi una piccola postilla, cioè che hanno giocato senza Butler, stella di primo livello, per 18 partite e senza il centro titolare Adebayo per 24 partite? Oppure che il trio di star Lowry, Butler e Adebayo ha giocato assieme solo 14 partite? Credo che allora quel record faccia tutta un’altra impressione.

Quali sono allora le chiavi di questo successo per certi versi insospettabile?

1- Miami orbita attorno ad un piccolo gruppetto di veterani

Partendo dalla guida della squadra, Jimmy Butler, per molti è stra-pagato (a 37 anni arriverà a guadagnare 52 milioni all’anno), ma si inserisce perfettamente nella sopra citata heat culture, ed è proprio questo che gli permette di avere un valore così alto. Quest’anno, nonostante vari infortuni, sono 22.6 punti, 7 rimbalzi, 7 assist e 2 rubate a partita per l’ex-Bulls, oltre alla sua notoria difesa da pitbull.

Subito secondo a lui in leadership, la leggenda dei Raptors Kyle Lowry, fortemente voluto a South Beach da Jimmy Buckets stesso e dal front office. Difesa, playmaking secondo solo a CP3, volontà di sacrificio (è leader della lega in charges taken con ben 22), positività e esperienza da distribuire a tutti i giovani… e in tutto questo 13 punti, 4.5 rimbalzi, 8.3 assist e 1 rubata a partita.

Ancora più al centro dello spogliatoio, dove non a caso è chiamato O.G. (Original Gangster), giocatore che a 41 anni è dotato di una energia ancora paradossale per la sua età, Udonis Haslem, pur non contribuendo in maniera decisiva da un punto di vista cestistico, ha un valore aggiunto per quanto riguarda motivazione e consigli tecnici.

Non è un caso che Miami siano 5 anni e più che continua a rimetterlo sotto contratto, pur facendolo giocare solo per qualche minuto a stagione.

In linea con la mentalità iper-difensiva e iper-competitiva che ormai è sinonimo di Miami Heat, ecco che nella scorsa free agency a prezzi di saldo sono stati portati nella FTX Arena (ex-American Airlines) Markieff Morris e uno degli agonisti più temibili della Lega:  PJ Tucker.

Il primo, ai box da tempo per una pacca da amico che l’MVP in carica gli ha tatuato sulla colonna vertebrale, stava contribuendo in maniera discreta con 8 punti, 3 rimbalzi e 1 assist in 18 minuti. Il secondo, invece, ha un ruolo fondamentale negli equilibri della squadra e sta vivendo la sua migliore stagione al tiro (8.5 punti, 7 rimbalzi, 2 assist con il 50% dal campo e addirittura il 47.3% da tre).

Attenzione però, non fatevi ingannare dai numeri: sono i classici giocatori per cui i numerini dicono un decimo di quello che sono poi davvero in campo, in primis nella propria metà del parquet.

Da ultimo va sottolineata l’ottima stagione di Dwayne Dedmon, che ha dovuto riempire il vuoto causato dall’infortunio di Adebayo, e lo ha fatto egregiamente. Per lui sono 7 punti e 6 rimbalzi a partita, con un rendimento statistico evidentemente viziato dal minutaggio limitato di inizio stagione

2- Scelte al draft che pagano

Qui i nomi da fare sono due, ma non sono nomi qualunque.

Bam Adebayo, quattordicesima scelta del 2017 da Kentucky, prima dell’infortunio al legamento del pollice (da cui ha appena recuperato), stava viaggiando a 18 punti con il 52% dal campo, 11 rimbalzi, 3 assist, 1 rubata. Frutto prelibato di una strategia eccezionale di Miami, che spesso sceglie giocatori ancora acerbi e dà loro tempo per crescere. Adebayo nasce sotto l’ombra di Whiteside, e poi ecco che il centro oggi ai Jazz è scambiato quando Adebayo è reputato pronto ed è lasciato spazio alla sua esplosione. Miglioramenti enormi in attacco, e ancora ulteriori margini disponibili per il jump shot, e una difesa da first team all-defensive. DNA Heat.

Il secondo è Tyler Herro, tredicesima scelta del 2019 da Kentucky anche lui. Dopo una stagione da rookie assolutamente ai limiti dell’incoscienza, l’anno scorso sembrava aver fatto un passo indietro. Quest’anno è tornato un nuovo giocatore: difesa miglioratissima, così come il ball-handling, incisività in attacco anche grazie ad alcuni accorgimenti di coach Spo che gli hanno permesso di avere meno responsabilità e agire da vero e proprio shooter. 

I risultati sono: 20.6 punti a partita con il 39% da tre, 5 rimbalzi, 4 assist e un sixth man of the year in probabilissimo arrivo.

3- La fame degli undrafted players

Dei 15 del roster, ben 7 sono undrafted ma hanno avuto un impatto assolutamente devastante in questa stagione.

Nelle ultime 15 partite, quelle dove l’assenza di Butler e Adebayo era contemporanea, hanno trascinato, insieme a Lowry e Herro, la squadra ai successi e al terzo posto a Est. Passando velocemente in rassegna i più notabili:

  • Duncan Robinsonsharp shooter ormai noto in NBA come uno dei migliori tiratori da tre. Dopo aver iniziato l’anno con percentuali molto basse, Spo si è inventato per lui un ruolo da seventh man, aiutandolo a ritrovare fiducia nei suoi mezzi, e con questa anche la sua mira da cecchino. Siamo al 34% da tre in stagione con 11 punti a partita, ma nelle ultime 15 diventano 13 i punti con il 38% da tre.
  • Max Strus, ennesimo tiratore, titolare ultimamente al posto di Robinson e con ragione. Nelle ultime 15 sono 19 punti a partita, con il 44% da tre e una molto maggiore affidabilità difensiva.
  • Gabe Vincent, con il duro lavoro di fare da vice-Lowry, ma con l’abilità di prendere fuoco dalla lunga distanza e, nell’altra metà campo, difensore devastante sul perimetro. Nell’ultimo periodo, 14 punti a partita con il 40% da tre e 5 assist.
  • Omer Yurtsevenundrafted rookie dalla Turchia, ha preso il posto di Adebayo (causa infortunio) e poi anche di Dedmon come titolare a centro. Risultato? Ultime 15 da 12 punti e 13 rimbalzi a partita (11 partite di fila con almeno 12 rimbalzi, franchise record), e una abilità di playmaking innaturale per i suoi 213 cm. Il front office di Miami ha ricevuto i complimenti per questa trovata sia da Monty Williams che da Doc Rivers, che ha detto “I don’t know where they keep finding these guys from. It pisses me off.”
  • Caleb Martin, addirittura in un two-way contract, ma che ha guadagnato progressivamente la fiducia di Spo tanto che le ultime partite compare nei 5 titolari. Nelle ultime 15, sono 12.7 punti con il 35% da tre e il 54% dal campo, e, guarda caso, una difesa soffocante. Per intenderci, è sesto in tutta la NBA (dietro a gente come Draymond Green, Jrue Holiday, Robert Williams) per Defensuve Field Goal Percentage con un mero 33.9% dal campo concesso agli avversari  (contro i 31.1% di Holiday, primo per distacco sui 32.2%di Draymond).

Importante sottolineare come Vincent, Strus e Yurtseven sono sotto contratto ancora tutta la prossima stagione, ad una cifra straordinaria: 5.4 milioni in tre.

Per tutto questo ci sono solo due persone da lodare: coach Spo e Pat The Godfather Riley. Spo che riesce ad ottenere il meglio anche dalle seconde o terze scelte (ma lo sono davvero?), e Pat Riley perché è Pat Riley, semplicemente il GM migliore di tutta la NBA che sbaglia raramente un colpo ed è in grado di pagare il giusto le persone giuste. Inchiniamoci davanti al capolavoro di questi due professionisti.

Ah, in tutto questo per Miami deve rientrare Oladipo, giusto per parlare dell’ennesimo giocatore perfetto per il sistema di Heat culture.

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