Dal 2017 tifosi e appassionati hanno apprezzato la crescita degli Utah Jazz che dopo la fine dell’indimenticabile era Stockton-Malone-Jerry Sloan avevano alternato stagioni da tanking ad altre in cui i progetti di ricostruzione non avevano sortito gli effetti sperati.
Il mancato rinnovo dell’allora giocatore di punta Gordon Hayward sembrava presagire l’ennesima ripartenza da zero per la franchigia di Salt Lake City, ma la scelta al draft di Donovan Mitchell ha invece segnato l’inizio della rinascita per i Jazz che con l’aggiunta negli anni di altri pilastri della squadra come l’esperto Mike Conley nell’estate 2019 e il futuro Sixth Man of the Year Jordan Clarkson a dicembre dello stesso anno hanno potuto costruire un roster affiatato e completo che sotto la sapiente guida di Quin Snyder disputa regolarmente i playoff dal 2016-17 e lo scorso anno ha dominato la regular season della Western Conference fermandosi in semifinale contro un’altra big come i Los Angeles Clippers anche con più di un pizzico di sfortuna per i problemi fisici di Mitchell.
Quest’anno quindi Utah partiva sicuramente tra le favorite a Ovest e in effetti ha occupato stabilmente i piani alti della classifica insieme ai campioni uscenti di Conference dei Phoenix Suns e ai devastanti Golden State Warriors.
Il 2022 però sta vedendo i mormoni in un momento di difficoltà che li ha visti vincere solo 2 delle 7 gare disputate in questa prima metà di gennaio e soprattutto nel mezzo di una losing streak di 4 sconfitte consecutive come non accadeva dal febbraio 2020.
Come è ovvio che sia il brutto periodo per i Jazz si sta ripercuotendo sulla classifica della Western Conference dove la squadra di Snyder ha perso contatto con Suns e Warriors e subito il sorpasso anche dagli spumeggianti Memphis Grizzlies che invece hanno interrotto venerdì notte una striscia di ben 11 successi di fila.
Ora Utah è terza con 29 vittorie e 14 sconfitte; non è certo una situazione preoccupante visto anche il considerevole margine di 5 vittorie sui Dallas Mavericks quinti ma probabilmente ce n’è abbastanza per parlare di crisi Jazz.
Sicuramente il roster è stato falcidiato da numerose assenze come peraltro è accaduto a tantissime altre squadre a causa della recrudescenza nella diffusione del COVID-19 e del conseguente ingresso di vari giocatori negli Health and Safety Protocols. Tra essi per quanto riguarda Utah possiamo iniziare da Rudy Gobert, anima difensiva della squadra e da anni uno dei giocatori più importanti in assoluto della lega.
A Utah dal 2013, nel corso degli anni il francese si è imposto come uno dei migliori rim protector del campionato e la sua presenza nella propria area, dove stoppa senza pietà qualsiasi cosa gli capiti a tiro (lo scorso anno è stato il migliore in assoluto per lui quanto a media stoppate, ben 2.7 a gara, a fronte di un 2.2 in carriera) è anche in questa stagione un forte deterrente al penetra e scarica dei play avversari mettendo anche pressione ai tiratori sul perimetro.
In attacco non è mai stato dotato di un grande tiro, ma negli anni il pick and roll con Mike Conley lo ha reso indispensabile anche nella metà campo avversaria dove la presenza al suo fianco di ottimi 3&D come Jae Crowder prima e Royce O’Neale adesso ha anche consentito ai Jazz di lasciare libero sfogo al talento offensivo degli esterni, primo fra tutti Mitchell.
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In assenza di Gobert è stato soprattutto Hassan Whiteside a fare le sue veci nello spot di centro titolare ma proprio quando l’ex Heat veniva da una doppia doppia, seppur nella sconfitta contro i Detroit Pistons ultimi a Est (su cui torneremo) è toccato anche a lui fare i conti col virus ed entrare nei protocolli di sicurezza.
Il gennaio dei Jazz ha quindi visto i mormoni in sofferenza soprattutto in area. Ciò si è ripercosso però anche nella difesa sul perimetro dove gli avversari tirano molto più tranquilli. Esempi esplicativi sono le due partite contro due squadre senza ambizioni di successo, prima i Pacers che hanno messo praticamente sul mercato i loro pezzi pregiati (e infatti le voci di trade riguardo Myles Turner, per dirne uno, sono già tantissime) e poi i suddetti Pistons.
Dopo aver subito 37 punti da Fred VanVleet nella prima delle 4 L di fila infatti Utah ha concesso a Indiana il 48.3% da tre di squadra e a Detroit, squadra che normalmente tira col 31.3% dall’arco, addirittura il 51.4%.
Tra le sconfitte dei Jazz di questo mese sono in particolare queste due a risaltare: le assenze hanno sicuramente condizionato il roster ma sulla carta non si trattava di impegni troppo proibitivi per una squadra che vuole puntare all’anello.
E a seguito di questa doppia sconfitta è arrivato anche un pesante -20 dai Cleveland Cavaliers reduci, a proposito di assenze, dalla perdita per la stagione del proprio playmaker e leader emotivo Ricky Rubio. Di contro i Jazz erano menomati in area ma potevano schierare le altre loro stelle, da un Donovan Mitchell che è andato comunque due volte sopra i 30 punti sia con i Pacers che con i Pistons a Mike Conley passando per Jordan Clarkson.
L’inizio dell’anno solare ha quindi visto un primo vero periodo difficile per Utah e un pesante banco di prova per la tenuta mentale della squadra, sulla quale qualche dubbio era sorto anche nella serie contro i Clippers dello scorso anno dove gli avversari avevano perso per infortunio Kawhi Leonard ma hanno comunque eliminato i mormoni grazie a un devastante Paul George e soprattutto alla crescita decisiva dei giocatori di supporto (pensiamo a Reggie Jackson ma anche a Terance Mann) Questo non è accaduto per Utah nella semifinale West del 2021 e non è accaduto finora in questa striscia di sconfitte.
La gara di questa notte contro i Nuggets, vinta 125-102, è stata in questo senso una importante iniezione di fiducia ed ha visto il ritorno in grande stile del centro francese che con 18 punti e 19 rimbalzi si può dire abbia pareggiato la solita mostruosa prestazione dell’MVP in carica, un Nikola Jokic in losing effort da 25 punti, 15 rimbalzi e 14 assist.
Il valore dei Jazz è ormai comprovato e consolidato ma dal punto di vista della reazione ai momenti difficili è necessario ancora un piccolo, ulteriore passo avanti. Utah ha nell’affiatamento e nel sistema di gioco di Quin Snyder uno dei suoi punti di forza, ma ci vuole meno di quanto si pensi per ritrovarsi dal competere per le posizioni di vertice a lottare per difendere il fattore campo in postseason.
Sotto la copertura di un tranquillo (si fa per dire) insegnante di matematica si cela un pazzo fanatico di tutto ciò che gira intorno alla spicchia, NBA in testa. Supporter della nazionale di Taiwan prima di scoprire che il videogioco Street Hoop mentiva malamente, in seguito adepto della setta Mavericks Fan For Life.