Ok, fermiamoci un attimo e mettiamo da parte il Covid e tutto quello che sta succedendo ora in NBA (e non solo). Ritagliamoci un piccolo spazio per capire ed analizzare la stagione svolta fin qui dai Cleveland Cavaliers. Una stagione che in molti non si aspettavano.
Difatti, la squadra di J.B. Bickerstaff si trova, al momento, quinta ad Est ed era reduce da sei vittorie di fila, prima di perdere in quel di Boston, contro i Celtics. Ma come ci si sono trovati qui i Cavs?
Facciamo un salto indietro e torniamo alla scorsa off-season, più precisamente al giorno del draft. Un evento cruciale nelle sorti di questa franchigia che dopo l’addio (si spera l’ultimo) di LeBron nel 2018, ha visto molte ombre e poche luci. Non voglio parlare dei record passati, perché, appunto, appartengono al passato, ma diciamo che la ricostruzione è partita da lì, dopo l’ennesima finale persa e il miglior giocatore della squadra, l’uomo franchigia per eccellenza, che prende il volo verso L.A.
Ma torniamo al draft del 2021, cioè pochi mesi fa. La lottery era stata decisamente benevola con loro dopo il record di 22-50 dell’anno precedente, perciò il GM Koby Altman si apprestava a scegliere con la numero 3 e considerando che i Cavs avevano già a roster due guardie giovani e futuribili come Darius Garland e Collin Sexton, nell’aria si sentiva odore di lungo e, per essere più precisi, quello proveniente da USC, originario di San Diego, in California. Come si chiama? Ah sì, Evan Mobley.
Due metri e tredici per 98 chili. Non un bestione, ma sicuramente un giocatore che avrebbe fatto molto comodo ad un allenatore vecchio stampo come J.B. Bickerstaff a cui avranno sicuramente chiesto dopo la cerimonia: “E ora cosa te ne fai di Jarret Allen?”
La risposta è arrivata sul campo, ma andiamo con ordine.
Non contento, l’entourage cavalleresco si è portato a casa pure Lauri Markkanen, giusto per non chiarire alcun dubbio su chi avrebbe giocato e chi no, ma soprattutto dove.
“Tranquilli” ha ribattuto il coach.
Ed ecco che arriviamo alla prima partita stagionale e, sorpresa sorpresa, sono tutti e tre in campo! Il finlandese come ala piccola (e per piccola si fa per dire visto che è alto 2.11), Mobley ala grande e Allen centro. Insomma, un quintetto vecchia maniera, con l’aggiunta di Garland e Sexton per completarlo.
In una lega di point guard, tiro da tre e small ball, sono subito piombate le critiche e, soprattutto, i dubbi che le prime apparizioni non hanno di certo scacciato, viste le due sconfitte contro Memphis e Charlotte. Ma i tre successi di fila arrivati immediatamente dopo hanno cominciato a far ricredere diversi scettici.
Quello che ha specialmente sorpreso è stata la perfetta coabitazione tra due lunghi come Allen e Mobley, i quali avrebbero benissimo potuto pestarsi i piedi, ma che, anche grazie ai compiti assegnati da coach Bickerstaff, hanno trovato una inaspettata intesa.
In attacco il rookie si trova molto più spesso lontano da canestro di quanto si possa pensare, mentre l’ex Nets rimane più guardingo nel pitturato, come dimostrano anche le sue solite alte percentuali al tiro. In difesa, invece, formano un duo difficilmente battibile, fatto di fisicità, rimbalzi e stoppate.
Ora bisognerà vedere cosa riserverà il futuro e quale strada verrà fatta prendere a Mobley, specialmente dal punto di vista della struttura fisica. Fargli mettere su massa per intimidire ancora di più gli avversari, ma perdere agilità e mobilità, oppure lasciarlo maturare solo dal punto di vista del gioco? Un dilemma che per ora non preoccupa lo staff tecnico, proprio per il fatto che questa riedizione moderna delle Twin Towers (Torri Gemelle) sta funzionando alla grande.
Mobley è decisamente uno dei candidati a rookie dell’anno, mentre Allen sta migliorando le sue medie in rimbalzi e punti che sono, per ora, ai massimi in carriera.
Ma se da una parte le cose stanno andando decisamente nella direzione giusta, dall’altra le brutte notizie non sono tardate ad arrivare, tanto che Collin Sexton si è dovuto fermare dopo appena 11 gare giocate per la rottura del menisco sinistro che lo terrà lontano dai campi fino alla prossima stagione.
Un duro colpo, specialmente per l’attacco dei Cavs dato che la ventiduenne point guard garantiva almeno 20 punti ad allacciata di scarpe, come dimostrato nelle due annate precedenti. C’è da dire, però, che Sexton non aveva iniziato benissimo e stava tenendo una media di 16 a gara con 2.1 assist (tutti e due minimi in carriera), ma con un minutaggio (28.7), va detto, decisamente più scarso rispetto alle tre stagioni svolte fin qui dall’ex Alabama.
La sua assenza è comunque stata colmata bene dallo spagnolo Ricky Rubio che viene usato prevalentemente in uscita dalla panchina, ma che sta collezionando numeri da titolare, compresi i minuti (28.4). L’ex Jazz e Timberwolves, infatti, segna 12.6 punti a cui aggiunge 6.6 assist e 3.9 rimbalzi. Il suo impatto offensivo, in termini di realizzazione, non è sicuramente di alto livello (tira con il 35.7% dal campo ed il 33.5% da tre) e nemmeno lontanamente paragonabile a quello che avrebbe potuto dare un giocatore come Sexton, ma almeno Rubio si comporta come un playmaker vecchia maniera, smistando palloni non appena ne ha l’occasione, come dimostrano gli 8.3 assist che avrebbe se giocasse 36 minuti a partita. Un dato niente male per la NBA odierna.
Ma se lo spagnolo non è in grado di sobbarcarsi il peso dell’eredità – si fa per dire – allora ci pensa Garland. Il terzo anno proveniente da Vanderbilt sta, difatti, finalmente rispettando le attese che c’erano su di lui (fu quinta scelta assoluta al draft 2019), tanto che sta guidando i Cavs per punti segnati (19.4) e assist (7.3). Sicuramente l’assenza del suo compagno di reparto sta giovando alle sue prestazioni, ma Garland non solo sta migliorando per la terza stagione di fila le sue cifre, bensì sta dimostrando anche più maturità e più leadership, seppur condivisa con i veterani della squadra.
Veterani che rispondono anche al nome di Kevin Love, utilizzato ormai come specialista del tiro dalla media e lunga distanza, ma che può sempre dire la sua anche sotto le plance, come sostituto di Mobley e/o di Allen.
Come detto prima, la perdita di uno come Sexton si è fatta sentire, specialmente in fase offensiva, dove Cleveland non sta collezionando numeri invidiabili per essere una squadra ai primi posti della Eastern Conference e della lega. Infatti, i Cavs realizzano appena 106.8 punti di media (diciottesimi in NBA) con un offensive rating di 109 (sempre diciottesimi). Ma è dall’altra parte del campo che gli uomini di Bickerstaff stanno facendo la differenza.
Cleveland è terza per defensive rating (103.5), settima per percentuale dal campo concessa (44.1%), terza in quella da tre punti (32.6%) e seconda per punti concessi (101.4). Insomma, cifre impressionanti che giustificano la stagione che stanno avendo i wine&gold.
Detto questo, ora i playoff non sembrano più essere un sogno, ma un obiettivo concreto (Covid permettendo), anche se nella città dell’Ohio sanno che devono rimanere con i piedi per terra ed il fatto che non stiano facendo molta notizia vuol dire che ci stanno riuscendo bene.
Personal trainer e grande appassionato di sport americani. Talmente tanto che ho deciso di scrivere a riguardo.
Seguitemi su Twitter: https://twitter.com/nlippolis88
One thought on “Cleveland Cavaliers: giovani, old style e vincenti”