Nel nostro power ranking relativo alla Western Conference avevamo segnalato come possibile mina vagante dell’Ovest i Golden State Warriors, tra le franchigie simbolo della NBA anni Duemiladieci con tre titoli vinti in cinque finali consecutive ma assenti dai playoff negli ultimi due anni a causa dei pesanti infortuni di Steph Curry e Klay Thompson (tra gli altri) e accompagnati dalla sensazione che il ciclo di Steve Kerr si stesse avviando alla conclusione.
Oggi, a un mese abbondante dall’inizio della stagione NBA, i Warriors sono primi nella loro Conference con solo 2 sconfitte sulle 16 gare disputate. La squadra di Kerr guarda dall’alto in basso tutti gli avversari come nella seconda metà dello scorso decennio malgrado sia ancora senza Thompson e manchi anche il sophomore James Wiseman.
Il simbolo di questa cavalcata di inizio anno non può che essere un signore su cui ormai si fa fatica a trovare altre parole da scrivere: Wardell Stephen Curry II, per tutti noi appassionati Steph.
Dicevamo che le parole giuste iniziano a scarseggiare e allora lasciamo parlare le cifre: il fenomeno da Akron sta distruggendo le retine avversarie con 29.5 punti di media, giusto uno zinzinello sotto i 32 dello scorso anno, segnando col 41.9% i 13.5 tiri da tre che spara ogni partita. Su 15 gare giocate finora Curry ha realizzato la bellezza di 85 triple ed è sulla strada giusta per superare il record di 402 bombe segnate in regular season che appartiene sempre a lui (stagione 2015-16)
Anche lo scorso anno abbiamo assistito ad uno Steph versione “uomo in missione” che al rientro dall’infortunio peggiore della sua carriera, quello al secondo metacarpo della mano sinistra datato 30 ottobre 2019, ha offerto una devastante dimostrazione della sua voglia di competere ancora al top assoluto della NBA; i Warriors versione 2019-20 però non hanno preso parte ai playoff e quindi gli sforzi della loro stella non sono stati accompagnati da un contributo sufficiente da parte del resto della squadra.
Da questo punto di vista le cose però, perlomeno per questa prima parte di regular season, sembrano essere cambiate.
Esplicative da questo punto di vista le parole di Juan Toscano-Anderson dopo la vittoria del 18 novembre in casa di una squadra in buona forma come i Cleveland Cavaliers:“È come trovarti nel bel mezzo di una rissa in strada, ma con te c’è Mike Tyson. Sei sicuro di passare senza problemi, tanto c’è lui a stenderli tutti”.
In questa gara Curry ha guidato i suoi Warriors a una rimonta dal -13 di fine terzo quarto con 20 punti personali nella sola ultima frazione di gioco.
Poter giocare al fianco di una stella come Steph è una costante iniezione di fiducia per i suoi compagni di squadra e di pressione per gli avversari, consapevoli di poter subire da un momento all’altro tanti punti in pochi secondi per i pazzeschi tiri da tre che Curry prende e imbuca con regolarità.
In breve, se sei compagno di Steph sai di avere a disposizione un leader assoluto che in qualsiasi momento può tirare fuori un canestro letteralmente dal nulla. Se sei un suo avversario, invece, ti tocca uno sforzo immane per cercare di contenerlo e molte volte tale sforzo si rivela inutile perchè la magia arriva comunque.
Tutto ciò si traduce in situazioni come il succitato parziale di 31-8 con cui i Warriors hanno concluso la gara di Cleveland. Curry ha preso in mano la squadra bombardando dall’arco, i Cavaliers hanno visto sgretolarsi le certezze che li avevano portati alla doppia cifra di vantaggio e contemporaneamente la difesa dei Warriors è salita di livello sbarrando la strada verso il proprio canestro.
Il cambiamento dei Warriors non riguarda però solo la fiducia e la mentalità ma anche qualche ritocco al roster. La scorsa stagione l’infortunio di Klay Thompson aveva spinto Golden State alla disperata ricerca sul mercato delle ultimissime occasioni di un sostituto e questo ha portato a Oakland Kelly Oubre Jr. che ha però deluso le aspettative (e infatti è stato ceduto a Charlotte dopo una sola stagione; curioso da questo punto di vista che una delle due sconfitte dei Warriors sia avvenuta proprio con gli Hornets)
Col passare dei mesi è emerso che la squadra di Kerr aveva già in casa il sostituto di Thompson: Jordan Poole.
A partire da metà stagione 2020-21 l’ex Michigan, al terzo anno in NBA sempre militando nei Warriors, ha guadagnato sempre più minutaggio a suon di punti segnati ed è oggi la guardia titolare di Golden State grazie ai suoi 17.5 punti a gara (anche se con un non esaltante 30% da tre su 7 tentativi a gara)
Ovviamente siamo ancora lontani dall’essere una superstar come Thompson ma nel primato di Golden State il contributo di Poole è stato prezioso oltre ad evidenziare un giocatore in costante crescita e che sta sicuramente godendo dei benefici, di cui parlavamo, che porta l’avere Steph Curry in squadra.
I Warriors possono inoltre contare su una panchina altamente efficiente con i fondamentali cristallini di Nemanja Bjelica, la motivazione ritrovata di Damion Lee e i nuovi innesti Otto Porter Jr., Gary Payton II (proprio Lee ha elogiato la difesa del figlio dell’indimenticabile Glove dei Seattle Supersonics due settimane fa) e Andre Iguodala, al ritorno a Frisco per riformare con Draymond Green quella che è stata l’anima difensiva dei Warriors tri-campioni NBA.
Ognuno di questi giocatori ha un ruolo ben definito che svolge alla perfezione nel garantire la costruzione intorno a Curry di una perfetta macchina da gioco; d’altra parte il coach è sempre un certo Steve Kerr…
Un inizio coi fiocchi dunque per la franchigia della Baia di San Francisco. La domanda d’obbligo ora è: durerà?
Certamente il rientro di Thompson e di James Wiseman sarà fondamentale per migliorare ancora le quotazioni della squadra di Kerr ma per due giocatori che comunque avranno ampio spazio in campo sarà fondamentale verificare le condizioni fisiche del primo e la reale consistenza del secondo; Wiseman la scorsa stagione, prima d’infortunarsi al menisco destro l’11 aprile 2021, ha mostrato un potenziale importante ma ancora da esprimere a tutti gli effetti (11.5 punti di media nel 2020-21 per l’allora rookie ma con solo 5.8 rimbalzi, pochini per un 2.13)
Riguardo a Klay Thompson i tifosi di Golden State (e non solo) non vedono l’ora di rivederlo in campo e tutti noi abbiamo visto le meraviglie di Curry, ma anche di Kevin Durant, al loro rientro dai rispettivi, pesantissimi stop. Bisogna però essere realisti e considerare che Klay ha subito uno in fila all’altro la rottura del crociato e la lesione del tendine d’Achille, due tra gli infortuni in assoluto più gravi e temuti dai cestisti di ogni categoria.
Sicuramente la speranza è che Thompson riprenda ad essere l’altra metà degli Splash Brothers così come aveva lasciato i parquet ma non è detto che vada così.
Il punto interrogativo maggiore però resta la consistenza della squadra senza Steph Curry.
Abbiamo abbondantemente parlato di come il fenomenale numero 30 rappresenti un beneficio per i compagni di squadra, ma questi ultimi devono mantenere alto il livello del proprio gioco anche senza il proprio leader, che a marzo compirà 34 anni e non ha esattamente un fisico d’acciaio. Un primo test è arrivato in casa dei Detroit Pistons dove i Warriors hanno giocato senza Curry, a riposo precauzionale dopo un colpo al fianco rimediato in uno scontro involontario con James Harden nella vittoria in casa dei Brooklyn Nets.
Questo test è stato superato con riserva: la vittoria è arrivata, ma subendo una rimonta da parte della squadra di casa (attualmente penultima a Est con solo 4 vittorie su 15 gare) che dal -14 a 4′ dal termine è arrivata a giocarsi il pareggio e conseguente overtime nell’ultimo possesso della gara, sbagliando due tiri da tre (il secondo di Frank Jackson ha girato sul ferro prima di uscire per il più beffardo degli in&out)
Golden State è stata quindi rimontata da una squadra priva di troppa pressione dati l’assenza di grosse ambizioni e lo svantaggio in doppia cifra a pochi minuti dalla fine. Senza Curry a risolvere la situazione con le sue magie i Warriors sono andati molto vicini a concedere una vittoria agli inferiori Pistons.
I dubbi sulla tenuta futura dei Warriors dunque ci sono tutti ma il presente dice che in una NBA che ha visto l’ascesa di squadre come i Bucks campioni in carica, gli ambiziosi Nets, i giovani Phoenix Suns e gli affiatati Utah Jazz ad oggi il primato a Ovest è ancora in mano a Golden State e Steph Curry ha ancora tanta, tantissima fame di vittorie.
A prescindere da come andrà il prosieguo della regular season possiamo confermare ciò di cui parlavamo nel power ranking: ai playoff lato Western Conference tra le squadre da evitare per gli avversari ci saranno i Warriors.
Sotto la copertura di un tranquillo (si fa per dire) insegnante di matematica si cela un pazzo fanatico di tutto ciò che gira intorno alla spicchia, NBA in testa. Supporter della nazionale di Taiwan prima di scoprire che il videogioco Street Hoop mentiva malamente, in seguito adepto della setta Mavericks Fan For Life.