32-50, 25-47, 34-38: mai negli ultimi tre anni gli Washington Wizards hanno registrato una stagione chiudendo in positivo nel record. Tre anni che nella Capitale sono stati duri, eccetto la piccola scintilla dell’anno scorso arrivata con la qualificazione ai play-in e poi l’eliminazione per mano dei 76ers al primo turno.
Sembrava lontana l’epoca dell’impressionante duo Beal-Wall, anche se il livello di prestazioni di Westbrook nell’anno passato aveva ridato qualche energia ad una squadra ormai stagnante nelle posizioni più infime della classifica.
Ma era chiaro che agli occhi della dirigenza Westbrook non sarebbe stato nemmeno la risposta a breve termine, anzi solo una mera pedina di scambio per arrivare a giocatori che si sarebbero incastrati nel sistema di gioco di coach Wes Unseld.
Così, in una maxi-trade che ha coinvolto 5 squadre, gli Wizards hanno ceduto Westbrook ricevendo Kuzma, Harrel, Caldwell-Pope, Dinwiddie e Aaron Holiday. Più che un rebuild, una rivoluzione di una rapidità simile a quella della attuale Chicago di Donovan.
La sola differenza con i Bulls è che il front office di Washington non ha avuto fretta di portare stelle già affermate (alla DeRozan o Vucevic) risparmiandosi quindi quella che sarebbe stata un’inevitabile spesa di draft capital o di molti milioncini per i contratti. Al contrario, ha investito su giocatori giovani o giocatori di esperienza ma non ancora completamente cotti che hanno effettivamente dato una spinta in più ad un roster che sembrava eccessivamente Beal-dipendente.
Un sonoro 10-5, quarto posto a Est dietro solo alla rivelazione Bulls e alle corazzate Miami e Brooklyn: questo è il risultato di questo investimento. Un inizio senza dubbio tanto inaspettato quanto motivato da effettivi miglioramenti nella prestazione sul parquet e nel lavoro da parte del front office, come già accennato prima, per portare gli uomini giusti a roster.
3 credo siano i principali motivi del precoce successo (ma durerà?) dei Maghi della Capitale, chiusi dulcis in fundo da un nota bene che credo sia doveroso esplicitare.
1) La difesa
L’anno scorso la statistica del defensive rating recitava 112.3, ventesimo dato peggiore della lega. Oggi, ad appena qualche mese di distanza, la medesima statistica è scesa a 103.8, quinto dato della intera NBA dietro solo a Golden State, Clippers, Phoenix e Miami.
Una crescita esponenziale per quanto riguarda le prestazioni nella metà campo difensiva che spiega come, pur avendo subito un calo nelle prestazioni offensive rispetto all’anno scorso (da un offensive rating di 110.7 a 103.8), la squadra sembra molto più in controllo delle partite e il record ne è la più lampante testimonianza.
2) La crescita dei giovani con l’innesto dei veterani giusti
La cresciuta difesa di Washington deve moltissimo a due fattori imprescindibili per il successo di una qualunque franchigia: giovani in crescita e veterani in grado di farli crescere.
Esempio lampante di giocatori della prima categoria è l’israeliano Deni Avdija, ex-Maccabi e reduce da una pessima stagione da rookie conclusa con 6.3 punti, 5 rimbalzi e 1 assist a partita, sicuramente non ciò che ci si aspetta da una nona scelta assoluta con potenziale da top 3 o 4.
Quest’anno il giovane, giocando qualche minuto di meno, viaggia a 6 punti a partita, accompagnati da 6 rimbalzi, 1 assist e 1 stoppata. Quindi dove starebbe la crescita? Difesa, difesa, difesa.
Avdija l’anno scorso aveva avuto ben poco successo soprattutto per la sua timidezza, che fosse offensiva o difensiva. Quest’anno invece nella propria metà del campo è passato da un defensive rating di 109.9 ad uno di 96.9, un miglioramento impressionante. La sua imprescindibilità in questo fondamentale è il fatto che quando l’israeliano siede in panchina il defensive rating della intera squadra passa da un 96 a 106.
Ancora più importante, però, è la sua presa di coscienza di questo suo punto di forza tanto che ormai, quando in campo, si prende sempre la responsabilità di marcare la stella della squadra avversaria, indifferentemente dal fatto che sia un 1 o un 3 o un 5. Per intenderci, ha difeso egregiamente contro giocatori del calibro di Butler, Durant, Antetokounmpo per dirne solo tre.
Insieme a lui, e al giovane rookie Kispert da Gonzaga che presto riuscirà a sopperire alla mancanza, non colmata da Bertans, di un tiratore puro, tre veterani della lega hanno garantito enorme miglioramento alla squadra di Unseld.
Partendo dalla difesa, sorprendentemente (ma non troppo) Dinwiddie. Arrivato in estate da Brooklyn, è il classico esempio di “scommessa che paga” in quanto reduce da un grave infortunio al ginocchio che lo aveva costretto a giocare solo le prime tre partite della stagione scorsa.
Anche se solo in tre partite, già l’anno scorso aveva fatto vedere lampi di ottima difesa (con defensive rating di 88 addirittura, ma poco realistico visto il numero di volte che ha calcato il parquet). Quest’anno, a braccetto con ottime prestazioni offensive (15.7 punti, 5.3 rimbalzi e 5.7 assist tirando con percentuali 46-35-94 dal campo), il defensive rating si è confermato ottimo con lui in campo (99, contro il 104 di quando Dinwiddie è off-court). Insomma, vista la sua qualità di all-around player non possiamo stupirci dell’interesse che questa estate Pat Riley aveva provato per lui.
Passando invece alla metà opposta del campo, Kuzma e Harrell -entrambi ex-Lakers- sono i trascinatori offensivi della squadra oltre a Beal.
Kyle Kuzma sembra rinato, dopo essersi scrollato di dosso la pressione che una piattaforma come lo Staples Center (ormai destinato sacrilegamente a diventare Crypto.com Center) gli metteva addosso. Sta realizzando una stagione da 14.1 punti, 9 rimbalzi e 2 assist a partita e giocando davvero un basket che piano piano si avvicina a giustificare (o quasi) per quale motivo i Lakers abbiano ceduto Ingram e non lui nella trade che ha portato AD dai Pelicans.
Rimangono però, nel gioco dell’ex-gialloviola, due enormi falle. La prima è che ha una free-throw percentage del 51% (per intenderci, DeAndre Jordan ha il 63%). La seconda è una evidente fatica a integrarsi nel sistema difensivo, che porta il defensive rating a crescere vertiginosamente quando Kuzma è seduto in panchina, tanto che passa da 105.9 a 95.7. Con un po’ di cattiveria si potrebbe dire che la migliore difesa per Washington è avere Kuzma in panchina.
Trez Harrell, dalla sua, sta giocando una stagione strepitosa, e sembra tornare quel giocatore devastante che era con la canotta dei Clippers. Senza dilungarmi troppo sulle caratteristiche di un giocatore ben conosciuto, mi limito a illustrare la sua stagione con semplici dati:
- In 28 minuti, mette a referto 17.5 punti, 8.5 rimbalzi (di cui oltre 2 offensivi), 2.5 assist.
- Ottavo migliore field-goal percentage della lega, con il 66%, e settimo effective field-goal percentage con 64.3%.
- Terzo in true shooting percentage con il 70%.
- Quinto in PER (player efficiency rating) con 28
- Quinto in win shares con 2.8.
- Primo in offensive rating con 140 punti ogni 100 possessi
- La differenza di offensive rating della squadra tra quando lui è in campo o fuori è impressionante. Si passa da un 97.5 quando è in panchina ad un 110.1 quando è in campo.
Insomma, Harrell è tornato un giocatore devastante nella metà campo avversaria.
3) No Beal? No problem
L’anno scorso, Washington era Westbrook e Beal dipendente, soprattutto nel periodo in cui quest’ultimo sembrava non riuscisse a segnare meno di 30 punti a partita. Quest’anno ha fatto un passo in più verso l’essere una squadra di ottima classifica: è più indipendente dalla sua stella indiscussa.
Senza Beal, infatti, Washington è 3-0, pur essendo comunque partite “semplici” sulla carta, cioè contro Orlando, Indiana e New Orleans e l’offensive rating addirittura migliora da 103 a 108. Avere in questo una lunga serie di giocatori che possono sostituire e riempire il buco l’asciato da Beal nello scoreboard ha aiutato gli Wizards ha diventare una squadra più competitiva.
Ovviamente, in tutto questo Beal sta disputando una stagione ai suoi soliti livelli registrando 24 punti, 5.3 rimbalzi e 5.7 assist anche se la percentuale da tre è scesa notevolmente rispetto all’anno scorso toccando il punto più basso della sua carriera con il 28%.
Nota Bene
Tutto questo senza che ancora abbiano toccato il campo due giocatori che l’anno scorso erano stati imprescindibili come Hachimura e Thomas Bryant. L’ultimo spingerà sempre più fuori dalle rotazioni Gafford, anche se dalla fine della scorsa stagione l’ex-Chicago sta giocando ad un egregio livello.
Per quanto riguarda l’ala giapponese è difficile predire dove sarà inserito nelle rotazioni, ma spero vivamente che non rubi minuti né ad Harrell (quando è usato come 4) né a Kuzma o Kispert, ma piuttosto a Bertans che negli ultimi anni sta giocando un basket way below his paygrade.
La morale della favola è che Washington è contender a sorpresa? No, perché sarebbe fantascienza. Semplicemente questo inizio di stagione ha dimostrato l’ottimo lavoro dello staff e del front office capitolino che hanno assemblato una squadra che lotterà, a meno di tracolli colossali, per un posto nei prossimi playoff. Rimane tuttavia troppo presto, a mio modo di vedere, per definirli una mina vagante.
Credo che comunque un 10-5 per iniziare la stagione sia musica per le orecchie di qualunque tifoso dei Maghi.
23 anni, folgorato fin da bambino dal mondo americano dei giganti NBA e dei mostri NFL, tifoso scatenato dei Miami Heat e – vien male a dirlo – dei Cincinnati Bengals. Molto desideroso di assomigliare a un Giannis, basterebbe anche un Herro, ma condannato da madre natura ad essere un Muggsy Bogues, per di più scarso.