Analizzare il percorso delle squadre NBA dopo le prime partite di regular season è sempre difficile dato il rischio di conclusioni precoci molto spesso smentite nel corso dell’avanzamento della stagione, sia nel bene che nel male.
L’inizio di stagione dei New Orleans Pelicans, già ultimi nella Western Conference con solo una vittoria su 7 gare (peraltro contro una formazione non di primo piano come i Minnesota Timberwolves) ha però già mostrato problemi molto evidenti al di là del misero bottino iniziale della franchigia di casa in Louisiana.
I Pelicans vengono da un’annata assolutamente deludente che sarebbe dovuta essere l’inizio di una nuova era con il vero debutto di Zion Williamson, nuovo volto della franchigia dopo la partenza di Anthony Davis (e già il ciclo di The Brow non aveva portato più di un secondo turno playoff con un secco 4-1 subito dai Warriors nel 2018 in una delle due sole apparizioni in postseason nella permanenza di Davis).
Ma la discussa gestione di coach Stan Van Gundy e l’apporto sotto la media del supporting cast, Steven Adams ed Eric Bledsoe in primis, ha prodotto come risultato il non riuscire nemmeno a partecipare al play-in tournament chiudendo all’undicesimo posto a Ovest a pari merito con l’eterna delusione Sacramento Kings e vanificando la stagione da All Star di Williamson con 27 punti di media frutto di un 60% abbondante dal campo.
La prima mossa della dirigenza in risposta a questa stagione fallimentare è stata salutare Van Gundy, che pure era stato firmato con un quadriennale previa penale da 5.2 milioni di dollari versata al precedente coach Alvin Gentry. Al posto del veterano ex Pistons i Pelicans hanno puntato sull’esordiente Willie Green come capo allenatore di una squadra che ha poi visto le partenze di Bledsoe, Adams e anche del play titolare Lonzo Ball (sui sostituti ci soffermeremo più avanti).
Tuttavia anche questa volta i problemi fisici di Zion hanno messo i bastoni tra le ruote alla propria franchigia. Williamson ha dovuto infatti nuovamente operarsi al piede destro; inizialmente si pensava potesse tornare per l’inizio del campionato, saltando “solo” la preseason (virgolette d’obbligo per un aspetto fondamentale nella preparazione dell’annata) ma la situazione è poi peggiorata a vista d’occhio dato il pessimo stato di forma fisica in cui si trova attualmente l’ex prima scelta del 2019.
L’ex Duke è infatti visibilmente ingrassato e secondo il reporter Jake Fischer del Bleacher Report avrebbe superato le 300 libbre di peso (circa 136 kg). Al di là dell’indubbia gravità degli infortuni subiti da Williamson, il peso che ha raggiunto e che gli impedisce addirittura di iniziare la stagione non è imputabile alla fatalità degli eventi e per un ragazzo di soli 21 anni che gioca molto di potenza ed esplosività (per usare un eufemismo…) una condizione fisica di questo tipo può assolutamente dirsi inadeguata.
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New Orleans ha dovuto quindi iniziare la stagione senza la sua stella e leader designato e i risultati sono stati al limite del disastroso.
Dopo la sconfitta casalinga contro i Kings, gara assolutamente alla portata dei Pelicans che però oltre a perdere sono stati quasi sempre sotto nel punteggio, Willie Green ha provato a motivare la sua squadra elogiandone l’etica del lavoro e dichiarando che sarebbe stata solo questione di tempo per iniziare a vincere.
Le parole del coach non hanno però trovato conferma nella gara immediatamente successiva che ha visto anche i New York Knicks, squadra comunque di tutto rispetto e in ottima forma, espugnare lo Smoothie King Center; al di là della qualità degli avversari la squadra non convince e guardandola giocare saltano all’occhio alcuni gravi problemi.
Primo fra tutti, la difesa. I Pelicans prendono canestro nei primissimi secondi dell’azione e spesso non fanno in tempo a organizzarsi nella propria metà campo che già gli avversari arrivano a un tiro facile o ad una penetrazione.
A livello individuale i principali incaricati alla difesa sono dei giovani con tanta buona volontà ma senza esperienza come Herb Jones e Trey Murphy III, ma è soprattutto la comunicazione e il gioco di squadra a mancare. E’ evidente come i giocatori ancora non abbiano assimilato gli schemi difensivi di Green, che lo scorso anno si occupava in prima persona della difesa dei Phoenix Suns finalisti NBA.
I Pelicans subiscono così 111 punti tondi a gara. C’è di peggio in queste prime gare, ma si tratta di squadre comunque in crisi (i Lakers ne subiscono 116.5, i Celtics 118.3 e per ambedue è stato un inizio stagione difficilissimo) o che compensano con un attacco molto prolifico (i Grizzlies ad esempio a quota 117). Purtroppo anche dal punto di vista offensivo il piatto piange per New Orleans.
La squadra è stata costruita per correre sfruttando la potenza devastante di Williamson e senza Zion mostra tutti i suoi limiti. Bledsoe è stato sostituito da Devonte Graham che ha mostrato di saper costruire molto più per sè che per gli altri (i punti a gara per l’ex Hornets sono 17.9, ma i tiri sono 15.3 e la percentuale dal campo è inferiore al 40%). Ancora una volta quindi la regia dei Pelicans dipende molto da Josh Hart, uscito però per infortunio dopo 10′ nella prima gara del campionato con i Sixers e tornato solo due partite fa (e comunque parliamo di un giocatore da 9.7 punti e 1.9 assist in carriera…)
Dal punto di vista degli individualismi non si può non parlare di Brandon Ingram. L’ex capitano dei Lakers in assenza di Williamson dovrebbe essere il giocatore di riferimento per i Pelicans, non fosse altro per il principesco contratto con cui è stato rinnovato a novembre 2020 (quinquennale alla modica cifra di 158 milioni di dollari).
Si sta invece ripresentando l’Ingram degli ultimi anni a Los Angeles specialista in tiri forzati dal palleggio e hero ball vari; con lui in campo la palla gira poco e negli ultimi quarti delle 5 partite perse a cui ha preso parte ha fatturato la miseria di 6.4 punti di media (Ingram era assente nell’ultima gara con i Knicks).
Il miglior giocatore dei Pelicans è risultato essere Jonas Valanciunas. Togliendo il disastro assoluto da 3/19 dal campo all’esordio con Phila il lituano è il secondo realizzatore della squadra dietro Ingram (i cui punti però abbiamo visto non essere troppo incisivi), il primo rimbalzista con un pazzesco 14.6 di media e un high di 23 carambole catturate e il primo stoppatore con 1.1 di media.
Un rendimento coi fiocchi che però rappresenta, manco a dirlo, un problema perchè al rientro di Williamson, giocatore d’area che giocoforza prenderà la maggioranza dei tiri nel pitturato, l’esperto ex Raptors e Grizzlies dovrà cambiare ruolo e adattarsi a fargli da spalla.
Se l’obiettivo era il cambiamento rispetto a quanto proposto dal precedente coach, a che pro affidarsi a un altro giocatore di stazza come Valanciunas che fa esattamente ciò che era chiamato a fare Adams lo scorso anno? Misteri del management Pelicans.
La situazione a New Orleans non è affatto buona, in sostanza. Se la difesa può migliorare una volta fatte proprie le idee di Willie Green manca nuovamente un degno interprete nel ruolo di point guard, le scelte di mercato appaiono quantomeno discutibili e la condizione fisica di Zion Williamson è un grosso punto interrogativo senza contare che al suo rientro ci vorrà un periodo più o meno lungo di reinserimento che potrebbe portare nel frattempo ancora altre sconfitte.
Ai blocchi di partenza i Pelicans erano una formazione con tante promesse e una stella pronta alla consacrazione definitiva; ad oggi appaiono invece tra le peggiori del lotto e senza nemmeno, almeno per ora, volontà di tanking.
Sotto la copertura di un tranquillo (si fa per dire) insegnante di matematica si cela un pazzo fanatico di tutto ciò che gira intorno alla spicchia, NBA in testa. Supporter della nazionale di Taiwan prima di scoprire che il videogioco Street Hoop mentiva malamente, in seguito adepto della setta Mavericks Fan For Life.