Le liste mi sono sempre piaciute. Magari non saranno importanti ma penso che siano inevitabili. A chi non è capitato di elencare le cose che si sono fatte o quelle ancora da fare ? O il numero dei paesi visitati nel mondo o banalmente il foglietto della spesa al supermercato ?
La NBA la pensa allo stesso modo e per il suo anniversario ci regala la sua lista dei 75 giocatori più importanti dei suoi primi 75 anni. Quelli che seguono sono i nomi scelti, 76 in realtà e non 75 per via di un pari merito.
Per ognuno dei 76 giocatori giocherò un poco affibbiandogli un titolo e poche parole, non più numerose della lunghezza di un tweet. Buon compleanno, nostra cara NBA !
Kareem Abdul-Jabbar
“Il gancio-cielo da 38.000 punti”
Il più prolifico scorer all-time, l’eleganza di un gesto che è il più iconico della storia NBA. 6 titoli, dominio assoluto, un intellettuale sopraffine.
Ray Allen
“Il tiro più bello”
Il tiratore più grande prima di Steph, il suo jumpshot resta però il più bello, il più puro. Quella tripla per il pareggio in maglia Heat contro gli Spurs è il momento numero 1 della storia delle Finals.
Giannis Antetokounmpo
“Uno scherzo della natura”
Già MVP e già campione, mai abbiamo visto un ragazzino venuto da così lontano costruire una leggenda dal nulla, da quel fisico smilzo da rookie. Un bravo ragazzo in un mondo di iene, si merita tutto.
Carmelo Anthony
“Mid-range level”
Ieri l’altro nella NBA il gioco sotto canestro dettava legge, oggi quello da tre. Nel mezzo c’è Carmelo, in tutti i sensi. Incompiuto ma talento vero, due punti facili nella sua zona.
Nate Archibald
“La strada per arrivare ad Iverson”
Point guard con tanti punti nelle mani in un’epoca di big man dominatori sotto canestro. Veloce come una visione per gli anni a venire.
Paul Arizin
“Le fondamenta di una power forward”
Può sembrare buffo rivedere oggi gli highlights degli anni ‘50 ma era l’ala grande più efficace e più spettacolare della sua generazione.
Charles Barkley
“Le spalle e la bocca più larghe”
MVP con i Suns ma mai campione, rimbalzista fenomenale e ad inizio carriera anche un atleta fuori dal comune. Ne ha sparate tante e continua a farlo, sopra le righe, provocatore e istrionico, protagonista in campo e fuori.
Rick Barry
“Il tiro libero”
Due mani sotto la palla e via a spingerla su dalla lunetta. 90% in carriera per un’immagine indelebile. Il primo a portare il titolo nella Baia, padre di 4 professionisti tra i quali Brent che disdice il tabù “White men can’t jump”.
Elgin Baylor
“La sfortuna di una superstar”
Gli anni ‘60 sono i suoi con pochi altri. Atleta decenni avanti ai suoi contemporanei, talento purissimo. Si ritira il giorno prima della serie di 33 vinte dei suoi Lakers, proprio all’inizio della stagione del titolo. Campione ad honorem.
Dave Bing
“Il sindaco”
Ordinanze in campo ai suoi Pistons, guardia che segna e dirige. Diventa sindaco della città decadente del terzo millennio, l’opposto dei suoi tempi quando la classe operaia era in paradiso.
Larry Bird
“Il più grande bianco di sempre”
Larry e Magic, gli anni ‘80, la rivalità tra Celtics e Lakers. L’ala piccola nell’olimpo del suo ruolo, il tiratore infallibile, il contadino vincente.
Kobe Bryant
“Al fianco di MJ”
Nessuno si è tanto avvicinato a Michael Jordan quanto lui, di sicuro nel suo ruolo. Ha saputo trionfare anche senza Shaq e Phil Jackson zittendo tutti. Ha vinto anche un Oscar ma non la benevolenza del fato.
Wilt Chamberlain
“Il numero 100 scritto a penna”
Il dominatore degli anni ‘60, i numeri astronomici irripetibili. A quanto pare anche sulle donne portate a letto. Quel foglietto scritto a mano, 100 punti in una partita. E’ stato tante cose ma sempre oltre misura.
Bob Cousy
“La rivoluzione palla in mano”
Ha visto tutto con grande anticipo, trattava la palla negli anni ‘50 come si vede fare oggi. 6 titoli con i Celtics in piena dinastia, tutte le point guard venute dopo gli devono un doveroso tributo.
Dave Cowens
“Grinta e determinazione”
Non è stato il talento più puro ma ha combattuto come nessun altro. Un altro grande esempio dello spirito vincente dei Boston Celtics di ogni epoca. Due anelli negli anni ‘70.
Billy Cunningham
“Il direttore d’orchestra”
Allenatore naturale, anche quando giocava. Un leader vero, il suo nome è legato indissolubilmente alla città di Philadelphia al quale ha dato un titolo in entrambe le vesti.
Stephen Curry
“Greatest shooter of all time”
Ha rivoluzionato l’NBA come Copernico col sole, inaugurando la stagione del predominio del tiro da tre, dal logo addirittura, del quale è ovviamente l’interprete principale. Leggero e spensierato, la sua mentalità vince oltre il basket.
Anthony Davis
“Con LeBron per lasciare il segno”
Difficile giudicare chi è ancora in attività ma sul talento non si discute, poi vedremo se l’accoppiata con LeBron porterà ben più del finora unico titolo. Completo e immaginifico, un lungo moderno che spariglia il banco.
Dave DeBusschere
“La mente del trionfo dei Knicks”
Di quella doppia squadra dei Knicks due volte campione degli anni ‘70 era qualcosa di molto vicino al cervello dinamico che tutto organizza. Lucido e intelligente più degli altri, essenziale e letale.
Clyde Drexler
“La migliore guardia dell’era Jordan”
Titolo lapalissiano e non ironico, solo MJ era più grande di lui tra anni ‘80 e ‘90. Avrebbe meritato di più nel suo prime ma con Hakeem ha avuto la sua ricompensa. Favoloso atleta, fine ed elegante.
Tim Duncan
“I fondamentali del gioco”
L’ala grande da copertina del libro, ha insegnato basket e mentalità vincente. La purezza dei suoi movimenti, lieve come il tiro alla tabella. Dinastia Spurs da 5 titoli, con coach Pop ha formato la più grande accoppiata tra intellettuali del gioco.
Kevin Durant
“Scorer”
E’ nella discussione sul più grande attaccante della storia, col solito MJ permettendo. Segna comunque e dovunque, praticamente impossibile fermarlo. Ha perso un po’ di credito andando ai Warriors ma in fondo lo abbiamo già perdonato.
Julius Erving
“Il dottore sta operando”
Doctor J è stato il brand più potente degli anni ‘70 e ‘80, vola ancora sopra le nostre teste. Vorrei solo ripensare nella mia di testa a quel layup contro i Lakers, quello in cui, no, un attimo, non so spiegarlo a parole. E’ troppo bello e corro a rivederlo.
Patrick Ewing
“NY anni ‘90 ruvida e bella”
Negli anni ‘90 New York è la città di Seinfeld e di Friends ma entra nei cuori degli americani e del mondo anche per questo centro dalle mani troppe educate per essere vere. Peccato, entrambi avrebbero meritato il titolo.
Walt Frazier
“Razzle and dazzle”
Lo dice nelle sue telecronache spesso, è un concetto difficile da tradurre ma che spiega almeno un po’ quel suo stile così anni ‘70. Arrivava pitonato al Garden solo per entusiasmare, come quella gara 7 delle Finals 1970 da lui decisa.
Kevin Garnett
“Anything is possible”
Dal liceo alla NBA quando sembrava impossibile, un titolo con i Boston Celtics come premio alla carriera dopo un prime time nel freddo del Minnesota. MVP sia in attacco che in difesa.
George Gervin
“Il finger roll”
Di alcuni giocatori possiamo snocciolare numeri e premi ma è tutto più facile quando un nome è il simbolo di qualcosa di bellissimo e subito ne fai associazione. Il suo finger roll era arte pura ma la verità è che era uno scorer immarcabile.
Hal Greer
“Tough”
Un tipo tosto, un mastino palla in mano. Va dentro a piacimento nelle aree dominate dai big man in pieni anni ‘60, senza paura. Lega il suo nome a Philadelphia che porta al titolo nel 1967.
James Harden
“La rivoluzione old school”
Titolo antinomico. Il suo stile lento da palude del Mississippi è il più grande progresso degli ultimi anni. Palla in mano e stepback con tripla o dentro fino in fondo. Insegue ancora il suo titolo.
John Havlicek
“Il cuore dei Celtics”
Ha avuto il tempo di passare dalla dinastia di Bill Russell a quella da protagonista negli anni ‘70 per 8 titoli in totale. “Havlicek stole the ball !” è la frase più famosa di una radiocronaca NBA. L’immaginazione era ancora al potere.
Elvin Hayes
“The Big E”
E come easy, palla a lui sotto canestro e segnare due punti. Agile, tecnico e forte fisicamente, esattamente l’opposto di Wes Unseld col quale porta i “furono” Bullets al titolo nel 1978.
Allen Iverson
“La risposta ai nostri problemi”
L’idolo di una generazione, la mia per inciso. Mai si era visto tanto talento palla in mano e tanta classe per segnare in una guardia di appena 1 e 80. Il 2001 è l’anno di grazia da MVP ma nonostante scippi gara 1 ai Lakers non viene ricompensato.
LeBron James
“Il secondo migliore di sempre”
Già pronto da rookie, lo era già dal penultimo anno di liceo. E’ il volto e il padrone della NBA da quando ci è entrato, solo MJ gli sta sopra. Ha anche mantenuto la promessa di far vincere Cleveland, casa sua. Quando abdicherà la lega navigherà a vista.
Magic Johnson
“No-look per la gloria”
E’ arrivato nel posto giusto al momento giusto ma ci ha messo del suo. Mai si era visto uno alto così con quel trattamento di palla. Non un giocatore ma una leggenda vivente che ha portato la NBA ben al di là dei propri confini. Con l’AIDS ha sensibilizzato il mondo intero.
Sam Jones
“Qui si vince e basta”
10 titoli vinti con i Boston Celtics, solo Bill Russell ne ha uno in più. Guardia perfetta negli ingranaggi di Red Auerbach, imbeccato in contropiede in un un basket avanti anni luce e immancabilmente vincente.
Michael Jordan
“The Greatest of all time”
Non servono altre parole.
Jason Kidd
“Il regista”
Non aveva tiro ad inizio carriera ma non serviva. Ha diretto i suoi su un campo da basket come nessuno. Un titolo ai Mavs da veterano, secondo di sempre per numero di assist. Un genio dell’arte della tripla doppia.
Kawhi Leonard
“E balla sul ferro quella palla…”
E poi entra. Per portare i Raptors alle Finali di Conference e poi fino in fondo al primo titolo per una squadra canadese. Ultimo tiro di gara 7. Dall’angolo. Allo scadere. Epico. Difensore epocale, svezzato da Popovich e forgiato come macchina infallibile.
Damian Lillard
“It’s Dame time already”
L’unica vera forzatura di questa lista. Lo amiamo ma è troppo presto, non ha ancora vinto nulla. Per talento altro che top 75 ma qui si premia anche altro. Logo Three e tiri vincenti per vincere una serie intera. Ci aspettiamo la sua definitiva consacrazione.
Jerry Lucas
“La memoria dei Knicks”
Un altro con intelligenza superiore di quei favolosi Knicks anni ‘70. La sua memoria era da competizione come la lettura di ogni situazione in campo. New York che vince col cervello.
Karl Malone
“Il postino non ha suonato all’indirizzo giusto”
Peccato per lui e per John Stockton, nessuno secondo me avrebbe meritato un titolo come la coppia da leggenda dei Jazz. Secondo per punti all-time dietro Kareem, è stata l’ala grande più completa e più forte della sua generazione. MJ ha faticato due volte per batterli.
Moses Malone
“Fo fo fo”
Il pezzo che mancava per portare Doctor J all’altare della gloria a Philadelphia. Un centro di spaventosa forza fisica, semplicemente comandava lui sotto canestro. 3 volte MVP e per 6 stagioni leader a rimbalzo. Incontenibile.
Pete Maravich
“Quei filmati con coach Auerbach”
Un genio ante-litteram, un artista jazz, un eroe che vedeva qualcosa che tutti gli altri ignoravano. E’ stato il più fantasioso giocatore bianco di sempre. Spiega il basket con coach Auerbach e in fondo ci dice che questo è un gioco bellissimo e divertente.
Bob McAdoo
“Eccolo il cinquantunesimo !”
Quando uscì la lista dei 50 quasi tutti furono concordi nel dire che il grande escluso era lui. Ovviamente rientra adesso. Le sue movenze felpate hanno lasciato il segno anche in Italia. Testa bassa in panchina dietro agli Heat di LeBron.
Kevin McHale
“The Celtics spirit”
Forse li fabbricano con lo stampino o ne sono attratti naturalmente ma difficilmente un altro giocatore ha avuto in sé le caratteristiche di essere un “Celtic”. 3 titoli con Larry Bird, colonna portante e anima, combattente vero.
George Mikan
“George Mikan vs. Knicks”
Così recitava il cartellone perché era lui l’attrazione, non altro. La prima superstar NBA, il Michael Jordan degli anni ‘50 con gli occhiali in campo da impiegato delle poste. Il primo centro dominante della dinastia Lakers che prosegue con Wilt, Kareem e Shaq.
Reggie Miller
“A Spike Lee brucia ancora”
Smilzo ma scaltro, debole fisicamente ma cattivo a parole. Un tiro da tre sempre in divenire, nei playoff si esaltava ma nonostante leggendarie battaglie non ha mai portato i suoi Pacers alla vittoria. Quelle triple con Spike Lee che inveisce rimangono nella memoria.
Earl Monroe
“Black Jesus”
Un po’ di street basketball nelle arene NBA e lo spettacolo sale di colpi. Quando Federico Buffa scelse il titolo per il suo meraviglioso libro pensò a lui. Quando a Denzel Washington nacque un bimbo in He got game gli fu dato il suo nome d’arte. Onorificenze che contano.
Steve Nash
“7 seconds or less”
Con Mike D’Antoni in panchina ci ha regalato una ventata di freschezza. Un basket veloce e spensierato. Vince chi ne ha fa uno in più. Restano due titoli di MVP, il secondo dei quali ho sempre considerato una forzatura. Nonostante tutto una mente superiore.
Dirk Nowitzki
“La rivoluzione del lungo tiratore”
Prima di Steph la rivoluzione l’aveva fatta questo biondino tedesco. Con lui i lunghi tirano da fuori e i GM vanno alla ricerca della prossima gemma nascosta lontano dagli USA. Titolo e poi anche MVP doverosamente meritati.
Hakeem Olajuwon
“Dream Shake”
Ditemi di un’azione più bella per un lungo se non il dream shake, magari quello contro David Robinson. Il centro migliore della sua generazione, leader all time di stoppate ed epicentro di un back to back ad Houston pur in tempi di sede vacante con MJ mazza in mano.
Shaquille O’Neal
“Hollywood all day long”
Qui davvero si va oltre il basket. Personaggio ancor prima di giocatore, già molto prematuramente nella lista dei 50. Ha dominato soprattutto in maglia Lakers, 3 titoli d’indicibile potenza, poi un altro a Miami. Tutt’oggi non può essere fermato.
Robert Parish
“La pulizia e l’educazione”
Ha costruito un’intera lunghissima carriera, record all time di partite giocate in 21 anni, con la diligenza di un onesto professionista del rimbalzo e della difesa, contribuendo però ai grandi Celtics anni ‘80 elevando ad arte il concetto di servizio.
Chris Paul
“CP3 trotterella”
In mezzo all’area avversaria, magari si eleva per un jumpshot dal gomito mentre sempre scruta e legge tutto. Avrebbe meritato di più con qualche sua squadra ma è chiaramente tra i migliori del suo ruolo. Ultimi anni a Phoenix rincorrendo il quasi impossibile.
Gary Payton
“Il difensore più fastidioso”
Non solo ti si attaccava senza darti respiro ma dovevi anche sorbirtelo con un trash talking ficcante. Difensore supremo, l’unica point guard a vincerne l’MVP di categoria. I suoi lob volanti per Shawn Kemp sono ancora in aria.
Bob Pettit
“Fin Wilt il migliore”
Ala grande a cui mancava nulla, è stato il miglior giocatore della storia NBA scalzando Mikan ma solo poco prima dell’avvento di Wilt Chamberlain. Un solo titolo ma un impatto che va oltre.
Paul Pierce
“L’ultima bandiera dei Celtics”
Un tiratore solido che si evolve in superstar, un uomo franchigia per Boston ma a secco fin quando non arrivano in città Ray Allen e Kevin Garnett. Un closer naturale, MVP delle Finals.
Scottie Pippen
“Non c’è Jordan senza Pippen”
Probabilmente non ci sarebbe stato niente dei due three-peat in casa Chicago Bulls anche per l’immenso Michael Jordan senza il suo aiuto. Difensore di livello superiore con grandi contributi in attacco, in “The last dance” si sente offeso dal trattamento economico.
Willis Reed
“Il cuore del capitano”
C’è tutto in quell’immagine. Reed è il capitano dei Knicks ma infortunato per gara 7 delle Finals del 1970. Entra comunque in campo zoppicando, segna i primi due canestri e dà la carica per la conquista del titolo. Un eroe oltre ogni altra considerazione.
Oscar Robertson
“Mr. Tripla Doppia”
Il primo giocatore totale della storia. Nel 1962 chiude la stagione con 30,8 punti, 12,5 rimbalzi e 11,4 assist di media. Vincerà un titolo a Milwaukee nel 1971 da veterano facendo da balia al giovane Kareem.
David Robinson
“L’ammiraglio in alta uniforme”
Della triade dei grandi centri anni ‘90 prima di Shaq (insieme ad Olajuwon ed Ewing) è forse il meno talentuoso ma è stato anche scoring champion oltre che due volte campione. Un uomo solido d’altri tempi, sul campo e fuori.
Dennis Rodman
“Il pazzo re dei rimbalzi”
Ha fatto parlare di sé per troppe cose, ai limiti ed anche oltre la follia. E’ doveroso però ricordarlo per cosa era da giocatore. Semplicemente il miglior rimbalzista di sempre, per 7 volte leader in stagione. Gli abbracci col dittatore coreano Kim vengono dopo.
Bill Russell
“Il volto della vittoria”
11 titoli vinti, ha più anelli che dita. Possiamo chiuderla qui se non fosse doveroso citare il suo impegno come ambasciatore del gioco. Difensore supremo, tutti dovrebbero imparare da lui come si sta sul campo e al mondo. Oltre a come saper vincere.
Dolph Schayes
“La prima all-around star”
Sapeva fare tutto, compreso tirare da lontano, arte di fatto ignota per un lungo negli anni ’50. Campione nel 1955 a Syracuse e poi allenatore, interprete essenziale di uno spettacolo agli albori.
Bill Sharman
“Il primo grande tiratore”
Possiamo sorridere dello stile guardando quei vecchi filmati ma il rispetto della storia ci impone di ricordarsi che all’epoca lui era il massimo in questo gesto. Dai Celtics della dinastia Russell ai Lakers di Wilt come coach. Sempre vincente.
John Stockton
“La point guard”
La definizione del ruolo. La purezza. L’arte di passare la palla e di dirigere l’orchestra. Leader all-time per assist e palle rubate. Il mio cuore sta ancora a quelle doppie Finals di fine anni ‘90 contro i Bulls. Grazie per lo spettacolo ad ogni modo, MJ era davvero troppo.
Isiah Thomas
“A smiling bad boy”
Back to back da superstar di quei Pistons cattivi che poterono annoverare tra le illustre vittime anche il giovane Michael Jordan. Piccolo con tanti punti e con tanto estro, era davvero l’epitome di un modo di essere. Ti ammazzava sorridendo.
Nate Thurmond
“La prima quadrupla doppia”
Successe nel 1974, con 22 punti, 14 rimbalzi, 13 assist e 12 stoppate. Lungo di talento all-around, ironicamente nativo di Akron, Ohio, luogo noto più tardi per essere stato la culla di LeBron e Steph.
Wes Unseld
“Il miglior centro di 2 metri”
Tozzo e con spalle larghissime, non lo spostavi mai di forza. Nonostante fosse alto appena 2 metri giocava da centro ed era un rimbalzista favoloso. MVP delle Finals ‘78 vinte con i Washington Bullets.
Dwyane Wade
“Da Shaq a LeBron sempre decisivo”
Il turning point in quel momento improbabile nelle Finals 2006 lo firma lui. Ne vincerà altri due col caro amico LeBron. Guardia di incredibile freschezza, veloce e potente, ha contribuito con i suoi movimenti a riscrivere le regole del suo ruolo.
Bill Walton
“Il fricchettone rosso”
Vince un titolo da protagonista nel 1977 con Portland, poi da veterano con i Celtics di Larry Bird. Entra nell’olimpo nonostante una carriera rovinata dagli infortuni. Un anticonformista in ciabatte prestato al gioco.
Jerry West
“La migliore guardia fino ad MJ”
Il titolo obbligato sarebbe stato “The Logo”, vero, ma vorrei insistere sul credito che aveva fino all’avvento di guardie più atletiche. L’unico MVP delle Finals pur avendole perse. Se possibile si migliora da GM. Sua la scommessa Kobe Bryant liceale.
Russell Westbrook
“L’erede di Big O”
Molto criticato, eppure nessuno dai tempi di Kobe e Iverson gioca così tanto con cuore e con passione. Tre stagioni da tripla doppia di media. Bestiale. Eppure ancora insegue quel titolo che ora forse arriverà con l’aiuto di LeBron.
Lenny Wilkens
“Natural born coach”
Strano e inusuale nome in questa lista che passa alla storia più per la sua attività come allenatore che come giocatore. E’ stato a lungo il più vincente di sempre, superato da Don Nelson e ora tallonato da Popovich.
Dominique Wilkins
“Lo spettacolo vivente”
Solo con Michael Jordan ci si divertiva di più e difatti le loro sfide alla gara delle schiacciate sono leggendarie. Al di là dello show era un giocatore vero, visto a fine carriera anche a Bologna per una memorabile stagione in maglia Fortitudo sponsorizzata Teamsystem.
James Worthy
“The last piece for the Showtime”
Negli ultimi tre titoli Lakers anni ‘80 la sua firma è ben visibile, non troppo di meno di quella di Magic e Kareem, direi alla pari. Irripetibile ala con sensibilità fuori dal comune, corre sempre in contropiede nei ricordi dei fan imbeccato da Magic.
Direi che la lista per festeggiare i 75 anni di storia NBA è ben equilibrata. Ovviamente non possono mancare le polemiche per chi ne è rimasto fuori. Klay Thompson per esempio l’ha presa molto male e si è auto incollato sulla maglia il numero 77, credendo di essere il primo dei non eletti.
Non penso sia così, ci sono altri a cui si dovrebbe dare priorità. Non saprei scegliere tra Vince Carter e Tracy McGrady. Se ci sono Paul Pierce e Anthony Davis dovrebbero starci anche loro ma è esattamente la discrepanza tra chi vince un titolo e chi invece no.
Un titolo l’ha vinto anche Kyrie Irving e anche da protagonista ma evidentemente per i giurati non a sufficienza fuori dall’ombra di LeBron. E poi è un personaggio troppo scomodo, specie in questi giorni per la questione del vaccino.
Molti hanno dato la palma di “biggest snub” a Dwight Howard ma non sono d’accordo. Troppo immaturo e scostante. Chi invece avrebbe meritato è sicuramente un’altra coppia, Tony Parker e Manu Ginobili. Qui i titoli ci sono, ben 4 insieme, ma entrambi soffrono di uno stereotipo impresso nella mente di troppi americani. Sono due stranieri che a giudizio di molti sono stati non sufficientemente spettacolari.
Chi c’è di più ? Qualche nome old school, tipo Alex English, Adrian Dantley, Walt Bellamy e Bob Lanier ma non grido allo scandalo. C’è più dibattito su Bernand King, idolo della New York anni ‘80.
C’è stato poco riguardo per Dikembe Mutombo, una stoppata vivente, per Pau Gasol, attore protagonista dei titoli Lakers con Kobe e per Joe Dumars, un sottovaluto irrimediabilmente cronico.
Nota dolente ma rispettosa per chi sicuramente, e dico davvero sicuramente ci sarebbe entrato se non fosse stato per gli infortuni. Penso a Penny Hardaway, a Grant Hill e a Derrick Rose.
Ci rivedremo con NBA 100, con Luka Doncic e Nikola Jokic. Quando uscì la lista NBA 50 ne fecero un prodotto sfizioso nel mezzo più tecnologico allora sul mercato. Il CD-ROM.
Ricordo che passavo giornate intere a goderne il contenuto, con gli highlights di pochi secondi che sono entrati nella mia testa e ancora vi albergano.
Era il 1996. Era la NBA di Michael Jordan e di un rookie appena uscito dal liceo di nome Kobe.
“E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure…”
Drazen Petrovic Kresimir Cosic Arvidas Sabonis Tony Kukoc