Il basket è uno sport che, come tutti, può essere crudele ma raramente ingiusto. È uno sport che provoca sudore e lacrime e che premia chi è più disposto a tuffarsi sul parquet, chi è pronto a sudare di più.
Anche questa volta gli Dei del Basket hanno ricompensato chi ha dato e dimostrato di più nel rettangolo di gioco: i Milwaukee Bucks. Certo, si può definire crudele il 4-0 che i Cervi hanno rifilato a Miami, ma (e da tifoso di Miami mi fa male dirlo) non è fortuito né immeritato.
Partiamo dai dominatori della serie: la squadra di Budenholzer.
I Bucks, in Gara-1, sembravano su una strada simile a quella dell’anno scorso nella bolla di Orlando. Vicini, sempre vicini a quella vittoria che tanto manca nei playoff a Giannis e compagni ma, per qualche motivo, arrivavano sempre corti. L’anno scorso l’emblema è stato proprio la serie contro la stessa Miami, finita con un indegno 4-1 in favore degli Heat ma giocata sempre, in ognuna delle 5 gare, sul filo del rasoio.
Cosa mancava allora ai Bucks? Un finisher, uno che potesse alleggerire il peso dell’attacco dalle mani di Antetokounmpo.
Tornando a Gara-1, i Bucks, in una partita giocata con sorpassi e controsorpassi, sono sopra di 2 a una manciata di secondi dalla fine. Palla a Butler, tre secondi sullo shot-clock, attacca in uno contro uno Giannis (Difensore dell’Anno in carica, nonché MVP), lo batte e appoggia un facile canestro sulla sirena: overtime.
Ecco che tornano i fantasmi della stagione precedente. Gli overtime si giocano ancora in un crescendo di botta e risposta tra le due squadre. Dieci secondi dalla fine, 107 pari, palla nelle mani di Middleton: penetrazione dentro l’area, step-back buttandosi indietro, solo rete, 0.5 secondi al termine. Gli Heat, con un timeout, si portano nell’altra metà campo. Rimessa a cercare la loro stella Jimmy Butler, tiro in sospensione, stoppata di Jrue Holiday, sirena. I Bucks vincono Gara-1.
Ora, questa era stata la gara più brutta giocata dagli Heat (fino a quel momento) degli ultimi due o tre mesi, ed era sorta a molti la paura che, essendo arrivati così vicini alla vittoria con una prestazione pessima, i Bucks non avrebbero retto. Dall’altra, però, sembrava che qualcuno si fosse fatto avanti proponendosi come finisher, su entrambe le metà campo.
Le altre tre gare è inutile raccontarle, basti dire che i Bucks hanno letteralmente demolito i nero-rossi della Florida, vincendo con un distacco totale di 80 punti, segnando contro la quinta migliore difesa NBA una media di 122 punti. Merito di Giannis? Sono 24 punti, 15 rimbalzi e quasi 8 assist a partita, sarebbe anche normale dargliene atto.
La mia risposta, però, è un categorico no, anche se non posso toglierli il merito di aver propiziato lo sweep con un’abilità di playmaking che prima dimostrava solo a spizzichi e bocconi. Ma la verità è che non è stato lui quel famoso finisher, e che molti sono stati gli elementi decisivi che hanno causato questo trionfo.
In primo luogo, bisogna dare i meriti a Budenholzer. Ha capito che il grande problema di Miami era la difesa del pitturato perché non era in grado di sostenere l’attacco aggressivo di due big bodies come Lopez e Antetokounmpo. Ha sempre tenuto infatti nella formazione sempre due lunghi, in rotazione tra gli stessi Lopez, Giannis e con loro Portis, sempre più uomo chiave.
L’effetto causato era o un facile post-up o una penetrazione che portavano, grazie al vantaggio fisico, a due facili punti, oppure, se la difesa collassava verso l’interno per creare un muro, uno facile scarico per un letale tiro da tre. La presenza di lunghi contro il solo Adebayo per Miami ha creato anche un indubbio vantaggio per quanto riguarda i rimbalzi offensivi, che sono stati addirittura 15 a partita (con 45 difensivi, arrivando alla cifra pazzesca di 60 a partita, 10 in più rispetto alla seconda squadra in quella statistica).
E onore a Coach Bud anche per avuto il buonsenso (che fino all’anno scorso non aveva dimostrato) di tenere in campo un giocatore come Forbes, che da Gara-2 è diventato protagonista di una esibizione di tiro (18.3 punti con il 53% da tre) ma che obiettivamente sulla carta non è il migliore dei suoi uomini.
In secondo luogo, diamo merito al front-office. Hanno portato, anche a costo elevato, dei pezzi mancanti fondamentali: Portis (in free agency), Holiday e Tucker su tutti, nonché lo stesso Forbes. Al livello della Harden-trade? Il campo risponderà alla domanda.
Per quanto riguarda il campo, come già avevo scritto, nei playoff si vince con la difesa, punto. E qui per i Bucks le partite le ha vinte una difesa stratosferica. Per darvi una idea, tra i giocatori del quintetto di partenza delle prime tre gare, il meno efficiente difensivamente è stato… Giannis Antetokounmpo. Giannis ha avuto un defensive rating di 95.4, Holiday di 91.7, DiVincenzo di 91.9, Middleton di 89.9 e Lopez di 87. Cifre mostruose. Se poi si aggiunge che dalla panchina entra un certo PJ Tucker…
Tucker, Giannis e Holiday (i tre migliori difensori nel roster dei biancoverdi) hanno preso a rotazione l’incarico di marcare Butler, e lo hanno limitato egregiamente a 14.5 punti a partita con il 26.7% dal campo e il 26.7% da tre (un anno fa contro i Bucks aveva registrato 23.4 punti con il 53% dal campo e il 46% da tre). Lopez, dalla sua, ha cancellato dal campo Adebayo, l’altra stella di Miami, facendolo tirare addirittura solo con il 45% dal campo.
MVP indiscusso di questa serie è Jrue Holiday, la trade più azzeccata insieme a quella di Harden. Ha giocato una serie veramente superba: 122.5 di offensive rating, 91.7 di defensive rating e +24.5 net rating di media (contate che Giannis ha registrato una media di +10 a partita). Tanti tanti applausi a Brook Lopez che ha accompagnato una grande serie difensiva ad un apporto importante in attacco (110 offensive rating e 15 punti a partita). L’unica nota dolente è l’infortunio di DiVincenzo, che costringerà Bud a mettere in rotazione Teague o, come spero per i tifosi Bucks, a spremere più minuti dalle gambe di Holiday, Connaughton e Forbes.
Dove possono arrivare i Bucks? L’ho già detto e, per chi volesse conferme della sensatezza della mia frase, si riguardi le partite di Milwaukee con Miami. Milwaukee non è una minaccia per i Nets, semplicemente perché vedo invertiti i rapporti di forza: credo infatti che siano i Nets a dover essere considerati una minaccia per i Bucks. Irving verrà marcato da Holiday, Harden sarà preso da Middleton e Tucker a turno, Giannis pedinerà Durant.
E dall’altra chi è veramente in grado di fermare Giannis quando carica a testa bassa, marcando insieme Middleton e Holiday e tenendo d’occhio il matchup Lopez-Jordan (o, peggio mi sento, Griffin)? Per non parlare di Forbes on fire… Tutto questo tenendo conto che la difesa è il maggiore punto interrogativo dei Nets e si troveranno (se eliminano i Celtics ovviamente) di fronte il primo attacco della intera NBA. Lo dico ora, Bucks in finale di Conference, ma anche un passettino oltre.
Fear the Deer
Andando ora sulla sponda della Florida, c’è ben poco da dire su statistiche e prestazioni degne di nota. Dal primo all’ultimo sono stati annientati da una difesa soffocante, e non sono stati in grado di reagire usando la loro caratteristica Heat culture. Butler responsabile? Coach Spoelstra responsabile? Credo sia giusto dire che, come in Assassinio sull’Orient Express (scusate lo spoiler), la colpa è di tutti, ognuno ha fatto la sua parte.
Butler non ha alzato l’asticella, Adebayo non è stato in grado di fornire offensivamente e difensivamente delle prestazioni sufficientemente convincenti, Dragic sembrava la brutta brutta copia di quello degli scorsi playoff così come Herro e Robinson (efficace da tre solo nella prima partita della serie). Ad Ariza, Dedmon e Iguodala chiedere più di così sarebbe anacronistico.
Spo ha sicuramente colpa nella gestione della pressione (ha lasciato troppo spesso la palla in mano ad un Butler in isolamento che era evidentemente tartassato dalla difesa soffocante avversaria) e soprattutto ha fatto, probabilmente, la sua parte per quanto riguarda la mancanza di motivazione. Poi, è davvero colpa di un allenatore se i suoi giocatori mettono circa il 30% delle wide-open threes? Non ne sono troppo convinto…
Colpa di Pat Riley che ha sbagliato il mercato? Ha preso un giocatore molto forte come Oladipo per un pacchetto di fazzoletti, ha avuto sfortuna per l’infortunio ma forse già solo questo tentativo di all-in su un giocatore di dubbia tenuta fisica può essere indizio di una rassegnazione per quanto riguarda una effettiva corsa alle finali NBA. È comunque uno scambio che gli ha permesso di mantenere ampia flessibilità per la prossima estate. Ha sicuramente sbagliato, per ora, la scelta al draft di Achiwa ma chi lo sa, magari tra due anni sarà un giocatore di sistema fondamentale.
Arrivare a chiamare Miami una squadra non da playoff ? Ecco, credo che questo sia esagerato sia perché va a tagliare le gambe ad una stagione in Florida che, pur tra alti e bassi, li ha portati nuovamente nel basket che conta, sia perché va a diminuire il merito di una difesa dei Bucks che ha reso tutto, ma davvero tutto, difficile per la squadra di Coach Spo.
Una nota leggermente fuori tema la vorrei dedicare ai tifosi di Miami che hanno reso la serie meno amara cantando MVP a Nemanja Bjelica invece che lanciare popcorn, bottigliette o sputi ai giocatori avversari. Sempre meglio prenderle sul ridere le cose mi sembra, no?
Mi sembra ovvio che l’obiettivo di Miami sia e debba essere quello di rimanere come una presenza fissa nella postseason NBA. Questa offseason c’è un profondo lavoro di ricostruzione da mettere in atto. Voci dicono che ci sia distanza tra Butler e la dirigenza proprio nella offseason che dovrebbe invece portare l’estensione di contratto dell’ex-Bulls.
Sono voci, credo, innocue, perchè non c’è squadra più perfetta per Butler che quella di South Beach, quindi penso che alla fine il contratto sarà firmato. Insieme a lui rimarrà Adebayo… riguardo agli altri la porta è aperta, soprattutto perché Miami è la seconda squadra con più cap-space della offseason dietro alla sola New York.
Uno tra Nunn e Robinson (o potenzialmente entrambi) andranno via in free agency, soprattutto perché le richieste si aggirano intorno ai 15-20 milioni annui. Dragic probabilmente anche se ne andrà, 18 milioni in un anno sono obiettivamente troppi. Verosimilmente anche Ariza, Dedmon e Iguodala andranno via, lasciando liberi 30 milioni solo per arrivare al salary cap, arrivando fino ai 60 della Luxury Tax.
E già si vocifera, in caso di una fallimentare corsa alle Finals dei Clippers, di una possibile collaborazione Butler-Leonard in quel di South Beach. Di certo e certificato non c’è nulla, sicuramente però Leonard si adatterebbe perfettamente alla cultura degli Heat e aggiungerebbe quella terza stella tale da poter loro permettere di tornare a lottare per il titolo.
E se non sarà lui, saranno altre importanti opzioni. Perché ci sono tre cose certe al mondo: la morte, le tasse e Pat Riley che odia perdere.
23 anni, folgorato fin da bambino dal mondo americano dei giganti NBA e dei mostri NFL, tifoso scatenato dei Miami Heat e – vien male a dirlo – dei Cincinnati Bengals. Molto desideroso di assomigliare a un Giannis, basterebbe anche un Herro, ma condannato da madre natura ad essere un Muggsy Bogues, per di più scarso.