Quest’anno il titolo di MVP è “up for grabs”, a disposizione di tutti. Forse è arrivato il turno di Joel Embiid, o forse no.
I Sixers combattono alla pari con i Nets per la supremazia della Eastern Conference, e il suo centro contro un’allegra brigata di contendenti per il riconoscimento individuale.
C’è Jokic probabilmente come suo maggiore rivale poi via via tutti gli altri, Steph, Giannis, Harden, Doncic e quel LeBron James fermato dall’infortunio che sarebbe ancora il mio favorito.
Portare a casa il titolo di migliore giocatore dell’anno è davvero un enorme traguardo, non fatevi ingannare dalle dichiarazioni sul “vincere l’anello è la cosa più importante, il resto non conta”. Per Embiid lo sarebbe ancora di più.
30 punti di media a partita, 11 rimbalzi e il 51% dal campo attestano la sua candidatura ufficiale, oltre che l’arrivo definitivo del suo “prime”, il periodo di maggiore grazia fisica, tecnica e mentale per un giocatore.
Ecco, anche su questo specifico punto per Embiid lo sarebbe ancora di più. La sua storia è tanto semplice quanto complessa.
Due temi e tre modelli.
Due temi: è partito da zero e ha subito numerosi infortuni.
Tre modelli, in ordine cronologico : Luc Mbah a Moute, Kobe Bryant e Hakeem Olajuwon.
Un approdo, la NBA, un sogno, il titolo di MVP, già a partire da quest’anno. Andiamo con ordine.
Primo tema. Davvero nessuno è arrivato oggi a questi livelli partendo si da zero, direi come tutti, ma prendendo in mano per la prima volta una palla da basket a 16 anni.
Nel suo villaggio in Camerun, la non dolcissima Yaoundè, il già alto e slanciato Joel si era messo in testa di diventare un giocatore di pallavolo. Bene ma non benissimo.
Il padre aveva paura della durezza del basket e allora via con le schiacciate e i muri a rete. Era anche bravo Joel, una promessa del gioco di Mila e Shiro ma questo villaggio ha un figlio già famoso.
Primo modello. Luc Mbah a Moute. E’ stato un giocatore di medio livello ma passerà alla storia non per i suoi anni tra i pro NBA ma per aver organizzato un camp nel posto giusto, casa sua, al momento giusto, gli anni adolescenziali di Joel.
Il ragazzo è acerbo ma “quello che ce l’ha fatta, quello che vive in America” lo prende sotto la sua ala protettrice e lo fa innamorare del gioco. Niente di più per ora: Joel è magrissimo, ha fondamentali risibili, del resto non può fare altrimenti visto che fino ai 16 anni non aveva praticamente nemmeno mai visto un campo da basket.
A Joel questo “baskèt” con accento coloniale alla francese inizia a piacere, è già alto, ha ottima mobilità, è un progetto in fondo fattibile.
Il secondo step allora viene naturale ed è anche più importante che scendere in campo e tirare una palla dentro ad un canestro.
Secondo modello. Kobe Bryant. Joel lo vede nelle videocassette, siamo nel 2009, ok, le videocassette nel 2009 sono già demodè ma evidentemente non ancora in Africa.
Di Kobe prende lo spirito di sacrificio, la voglia, la grinta, la determinazione. Con Mbah a Moute scopre un mondo, con Kobe la chiave d’accesso per entrarci a pieno titolo.
E’ grazie a lui, lo dice sempre tutt’oggi nelle interviste, che è diventato un giocatore, che ha cioè inserito il gioco al primo posto dei suoi obiettivi fino a farne una missione. L’America è lontana ma si avvicina sempre di più in parallelo ai suoi progressi sul campo.
Si, tutto bello, ma dove vuoi andare Joel ? Cosa vuoi diventare ? Sei alto e snello, un centro diremmo, anche se stai iniziando inspiegabilmente a trattare bene il pallone con le mani.
Terzo modello. Hakeem Olajuwon. Joel, questo qui, guardalo, impara da lui, copialo in ogni sua mossa. Devi diventare come questo nigeriano, restiamo in Africa, questo qui.
Questo qui sarebbe il miglior centro “puro” della storia NBA, il leader all-time in stoppate, il “sogno” da Houston verso il mondo intero.
Centinaia di videocassette, sempre loro, va bene, mentre in America postano video su Youtube con gli smartphone le care vecchie VHS gli spianano la strada. Proprio verso gli USA, l’arrivo, l’approdo sperato.
Quindi ricapitoliamo, è tutto maledettamente semplice. Un ragazzino alto e smilzo gioca a pallavolo nelle polverose strade di un villaggio del Camerun. Arriva il figliol prodigo Luc Mbah a Moute e gli fa scoprire il basket. Arriva Kobe e gli fa scoprire la mentalità per andare avanti. Arriva infine Hakeem e gli indica la via, concreta. Copia e incolla Joel, è quello giusto.
Il resto lo sappiamo. Che giocatore è Embiid? E’ Messi che copia e incolla Maradona, niente di meno.
Da Hakeem ha preso tutto, ogni sua movenza, e se possibile ci ha aggiunto anche parecchio perché “The Dream” tra le altre cose non aveva certo quel range di tiro, addirittura da dietro l’arco.
Ma ci siamo dimenticati qualcosa. Secondo tema. Gli infortuni. Tanti, troppi, lo hanno azzoppato. Per questo motivo questa sua stagione meravigliosa andrebbe premiata perché non c’è mai stata e non per colpa sua e forse non ci sarà più.
E’ chiacchierone, a volte anche sciocco, iperattivo sui social come un bambino nel famoso negozio di caramelle o come un carcerato trentennale che riscopre la vita a piccoli assaggi ma se davvero tutto continua ad andare avanti come dovrebbe, va bene, Hakeem non potrà mai essere superato però è strano, l’ho già detto, ne avrebbe anche di più della leggenda dei Rockets, movimenti dei piedi a parte e nemmeno di tanto.
Comunque sia porta con sé il soprannome più bello degli ultimi tempi, forse di sempre. Nonostante tutto, per lui come per tutti, siamo in movimento, siamo in processo.
Bella parola, Processo. Possiamo finire sul banco degli imputati, possiamo uscirne condannati, possiamo vincere la nostra causa. E se fossimo noi i giudici? E se avesse ragione Kakfa, se siamo solamente nelle mani di un destino cieco di cui non sappiano nulla ? No no, meglio stare alla lettera.
Il suo, di processo, è il percorso, è vedere un arrivo in fondo ai sacrifici. Quindi non so se diventerà MVP o se potrà mai vincere il titolo NBA, tutto è possibile.
Nonostante tutto, “Trust the Process”.
“E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure…”
Sorry, ma Hakeem è di un’altra categoria, livello Jordan, Magic, Bird, Duncan.
Capisco che in un’epoca di centri scarsi Embiid brilla, ma finora non ha vinto niente, non ha fatto vincere niente e non pare nemmeno un leader emotivo (senza contare lo stato di salute mediamente cattivo).
Certo, può vincere l’MVP perchè se l’ha vinto Antetokoumpo…
Anche secondo me The Dream ancora Joel non lo ha raggiunto.
Ma penso che molto sia colpa dell’evoluzione del ruolo del Centro nel basket moderno: ormai sono diventati o dei rimbalzisti/shut-down center da doppia doppia fissa, ma con poco arsenale offensivo, oppure minacce sui tre livelli con una capacità decente di playmaking, combinata però con una riduzione delle capacità/responsabilità difensive.
Hakeem nasce e cresce e gioca in un’era dove il centro ed il power forward erano ancora caposaldo di molte franchigie. Era il core offensivo E difensivo dei suoi Rockets, con Drexler principale arma di supporto.
Ora il gioco si è spostato, i centri sono cambiati. Non sono più scarsi, giocano diversamente.
Questo articolo evidenzia bene come Embiid meriti riconoscimento per il percorso che ha fatto, che ha dell’incredibile. Ha potenziale per essere un film Hollywoodiano, davvero.
I centri sono spesso snobbati nell’era moderna, ma trovo che giocatori come Jokic ed Embiid abbiano ridato molto alla posizione proprio con l’evoluzione che hanno compiuto.
Giannis poi, dai, almeno uno dei due titoli lo ha meritato. Non è il primo MVP che ai playoff buca inesorabilmente: purtroppo è normale quando costruiscono male attorno a te. Ed in effetti, un limite ce l’ha, messo in evidenza dai Celtics e dagli Heat l’anno scorso con il loro “muro difensivo”. Ma lì è quando di devi affidare ai compagni, e lui non l’ha potuto fare. A basket si gioca in 5, anche Jordan il suo aiuto lo ha avuto.
Dico questo rimanendo dell’idea che LeBron James sia ancora il miglior giocatore sul campo, a prescindere.
Ma quest’anno, l’MVP potrebbe andare a chiunque. E se vincesse Embiid non sarebbe poi così ingiusto.
Il gioco l’hanno voluto cambiare gli allenatori, per andare dietro allo small ball. Nessuno li ha obbligati, ma le nuove regole hanno favorito l’anti-basket di D’Antoni (che era divertente ai Suns e patetico a Houston) per via del fenomeno-Golden State sbocciato con Curry.
Spurs, Celtics e Lakers col centro vero ci hanno vinto titoli di recente, quindi è solo una scelta.
Ricordo che pure Akeem ha cominciato col basket tardi perchè era un asso della pallamano.
Lebbros appare come il più forte perchè sa fare tutto. Secondo questa linea l’MVP attuale è Jokic.
L’altro MVP inutile è stato Westbrook: una stagione passata ad affossare la squadra per gonfiare le sue statistiche.
E’ ovvio che si vince di squadra, ma l’MVP si valuta proprio su quello: Antetokoumpo è un prodigio fisico ma senza di lui i Bucks giocano pure meglio: qualcosa vorrà dire, no? Senza Lebbros invece i Lakers valgono la metà.
Ti dico, io l’anno scorso ho pensato che l’MVP dovesse andare a LeBron. Non è la prima volta che glielo tolgono dalle mani. Ma credo che il primo titolo MVP di Giannis fosse meritato.
I Lakers hanno vinto recentemente con un centro importante piazzando Davis al 5, ma non è che Davis sia un centro vecchia scuola, anzi. È decisamente moderno, considerato il range di tiro e le skill da guardia che possiede, a cui però abbina anche capacità difensive degne di DPOY.
Per questo dico che il ruolo non è scomparso ma è cambiato in molti aspetti, e per un periodo non ci sono stati centri versatili tanto quanto quelli di adesso.
Spurs hanno vinto con un 4, Celitcs pure. Duncan e Garnett non erano centri puri. Lo stesso i Mavs con Nowitzki. Per un periodo il centro è scomparso, o meglio non è più stato il “pezzo di riferimento” per gli schemi offensivi della lega, perché la tendenza al tiro da tre ed al gioco perimetrale la facevano da padrone. Ora alcune squadre stanno riprendendo anche il gioco in post e mid-range, ma in ogni caso i 5 hanno dovuto mutare in caratteristiche.
E senza Embiid i 76ers avrebbero fatto la stagione che hanno fatto?