A New York è la sera del lontano 26 giugno 2014, notte del draft.
Durante la scelta numero 41, in televisione è mandata in onda una pubblicità, e in questo modo non sarà mai visibile il commissioner che chiama il nome del giocatore scelto. Ma poco male, perché proprio quel giocatore, Nikola Jokic, in quell’esatto momento in cui si apriva per lui la porta della NBA era in Serbia a casa sua, e dormiva.
Suo fratello lo chiama estasiato da New York per congratularsi con lui, ma riceve solo un grugnito di ringraziamento e una chiamata chiusa bruscamente.
Sette anni dopo, quel ragazzino serbo è uno dei tre massimi candidati alla vittoria del premio MVP. Ma la cosa che forse rende tutto questo ancora più bello è che Nikola Joker Jokic non è cambiato di una virgola.
Affronta ancora tutto con la stessa flemma, tranquillità e naturalezza con cui ha vissuto la notte che gli avrebbe cambiato la vita per sempre, cioè come fosse una delle tante. È come se avesse in testa un perenne “this is what I do”, e riuscisse a realizzare qualunque cosa, anche la più difficile, come se stesse giocando nel campetto in asfalto dietro casa.
Sicuramente vedere Joker giocare ad altissimi livelli non è stata una sorpresa per nessuno, venendo da due stagioni in cui è stato un All-Star, ma vederlo giocare a questi livelli… ecco credo che pochi se lo sarebbero immaginato.
Soprattutto contando il fatto che era stato sempre uno dei giocatori con più problemi per quanto riguarda la forma fisica, e si temeva un terribile post-Bolla in questo senso. Invece, al contrario ad esempio di un’altra stella slava come Luka Doncic, si è presentato all’inizio della stagione in una forma che mai aveva avuto nei suoi sette anni di carriera cestistica americana, e il risultati è: MVP front-runner.
Questa stagione, Jokic sta registrando 26,1 punti di media a partita, accompagnati con 11,7 rimbalzi (di cui 3 offensivi) e 8,4 assist, nonché 1,7 rubate. Tutti questi dati, ripeto tutti, sono suoi massimi in carriera.
Inoltre, sta realizzando 4,7 punti su seconde opportunità (record della lega), e ciò dimostra una certa dominanza vicino al ferro. Nonostante un tiro da tre che fatica a salire sopra il 40% (questa stagione si aggira attorno al 38), da dentro l’arco le percentuali realizzative sono impressionanti: 75,8% vicino al ferro, 55,6% con il mid-range jumper, 65% con il suo caratteristico gancio, dopo aver corroso terreno al difensore con il post, e 83,1% dalla linea dei tiri liberi. Segna il 63% dei tiri da due che prende quando marcato tightly or very tightly (con il difensore praticamente attaccato insomma).
Ah, sì, me lo stavo quasi dimenticando: in tutto questo, il signor Nikola Jokic si classifica come centro.
Ma non finisce qui. Comanda la Lega in total win-shares (numero di partite decise offensivamente o difensivamente) con 4,3, in box plus-minus con 10 (cioè ogni 100 possessi segna 10 punti in più rispetto al giocatore NBA medio), in Player Efficiency Rating con 31,5 (la media del campionato è 15).
Certo questi rimangono solo dati, ma se dicono questo forse è tempo di dare a Joker il rispetto che si merita.
A chi non si accontentasse di sterili numeri consiglio di reperire e vedere la sfida contro Phoenix, e bastano i primi quattro possessi del secondo overtime. Forse allora capirà il vero problema che Jokic crea. Anzi sarebbe meglio dire i problemi.
Primo possesso di Denver: palla in post a Jokic, che viene immediatamente raddoppiato. Il risultato è un dolce passaggio per un compagno che taglia e appoggia il più semplice dei canestri.
Secondo possesso: palla in post a Jokic, che viene raddoppiato e assorbe su di sé un terzo giocatore. Il risultato è un passaggio teso di circa quindici metri in mano a un compagno che, libero da qualunque tipo di pressione, segna la tripla.
Terzo possesso: i Suns hanno imparato che raddoppiarlo è una brutta idea, lo lasciano uno contro uno. Risultato: mid-range jumper dal gomito dell’area che non fa nemmeno muovere la retina.
Quarto possesso: Jokic è lasciato ancora uno contro uno, questa volta in post. Erode terreno fino a entrare nel pitturato, per poi allontanarsi dal difensore e segnare con un morbidissimo gancio.
Non puoi raddoppiarlo né tripicarlo altrimenti trova l’uomo libero. Non puoi lasciarlo in uno contro uno perché in un modo o nell’altro il fondo della retina lo trova. La domanda rimane allora una: si può davvero fermare?
Per la questione MVP ovviamente tutto rimane aperto. Io, per quanto poco conti la mia opinione, credo che dovrebbero rinominare il premio Kia LeBron James MVP Award e consegnarlo a Nikola Jokic.
Embiid, altro importante candidato, sta facendo anche lui una stagione incredibile, ma non riesco a scegliere lui sopra un giocatore come il serbo che più lo si guarda più ci si innamora, del suo gioco e del basket. Ed ha solo 25 anni.
Si fa sempre più forte il sentimento che non bastino più Batman e Robin per fermare o almeno rallentare Joker, ci vuole qualcosa di ancora più forte… magari un Re.
23 anni, folgorato fin da bambino dal mondo americano dei giganti NBA e dei mostri NFL, tifoso scatenato dei Miami Heat e – vien male a dirlo – dei Cincinnati Bengals. Molto desideroso di assomigliare a un Giannis, basterebbe anche un Herro, ma condannato da madre natura ad essere un Muggsy Bogues, per di più scarso.