Tra le squadre chiamate al salto di qualità definitivo in questa stagione ci sono in prima fila i Dallas Mavericks.
Dalla notte del draft 2018, la pescata di Luka Doncic, con la complicità soprattutto degli Atlanta Hawks (che hanno comunque optato per un campione come Trae Young) e dei Sacramento Kings (la cui scelta di Marvin Bagley alla numero 3 grida vendetta), ha riportato i tanti tifosi della franchigia di Mark Cuban a pensare in grande dopo anni e anni di free agency grigie e stagioni anonime.
Quando poi nella stessa stagione 2018-19 Cuban è riuscito a portare in Texas Kristaps Porzingis, seppur ancora in recupero dal terribile infortunio al crociato, i sogni dei tifosi hanno velocemente cominciato a vedere una realtà fatta di crescita della squadra negli anni fino al ritorno stabile ai piani alti della Western Conference.
Tale crescita c’è indubbiamente stata nei mesi successivi, con Doncic, Porzingis e compagni in grado di riportare Dallas a giocare i playoff dopo quattro anni e soprattutto di tornare a entusiasmare gli appassionati con una serie che, seppur persa contro i favoriti Los Angeles Clippers, ha registrato momenti come la straordinaria tripla dell’ex fenomeno del Real Madrid per vincere gara 4.
Oggi siamo a un mese e mezzo dall’inizio della stagione 2020-21, quella in cui Dallas è chiamata a un passo ancora più grande, provando non solo a qualificarsi per la postseason, ma a giocare per vincere.
I fatti, però, sono impietosi: 6 sconfitte nelle ultime 8 gare, record di 10-14 e penultimo posto a Ovest davanti ai soli Minnesota Timberwolves. Dallas è 27° per rimbalzi nella NBA (42.8 di media di cui 8.7 da parte di Doncic) e subisce 2.7 punti in più di quanti ne metta a segno nonostante in free agency, come vedremo, avesse pensato soprattutto a sistemare la difesa.
Con questi numeri non si va lontano. Analizzando le vicende sul campo che stanno dietro queste statistiche in effetti vengono alla luce moltissimi problemi per la squadra allenata da Rick Carlisle, molti dei quali di natura più mentale che tecnica.
I Mavericks quest’anno devono vincere, lo abbiamo scritto, anche perchè le loro scelte ai prossimi draft sono state cedute ai Knicks per il 2021 e per il 2023 nell’affare Porzingis.
In questa situazione in cui la pressione sulle spalle del roster di Carlisle è già molta si sono inseriti tantissimi stop per giocatori essenziali nel sistema di gioco del coach ex Pacers, primo fra tutti l’esordio ritardato per Porzingis a seguito di un’altra operazione, questa volta al ginocchio destro il cui infortunio lo aveva già costretto a saltare quasi tutta la serie contro i Clippers.
Dallas è però stata funestata nel corso del mese di gennaio anche da varie assenze causa Coronavirus di cui hanno fatto le spese Jalen Brunson, Dorian Finney-Smith, Maxi Kleber, Dwight Powell e Josh Richardson, per la maggior parte specialisti difensivi.
Dover fare i conti con tutte queste assenze significa anche che al rientro dei giocatori ci sia voluto tempo per recuperarli e reinserirli negli schemi di Carlisle. In particolare Porzingis nelle sue prime apparizioni è apparso lontano dalla forma migliore giocando spesso fuori area e prendendo vari tiri da 8 metri, molti dei quali andati corti sul ferro, segno che la spinta nelle gambe ancora non c’è del tutto.
Il punto più basso di questo periodo nero per i Mavericks è però arrivato nella gara del 5 gennaio contro i Golden State Warriors in cui Carlisle poteva avere a disposizione tutti i membri del suo roster.
Il risultato è stato una sconfitta per 147-116 che rappresenta un disastro su tutta la linea, sia offensiva, con 50 tiri da tre presi in totale dai Mavericks nella gara (di cui 20 a bersaglio) sia difensiva, con 31 punti di scarto sul groppone, 147 punti subiti con 7 Warriors in doppia cifra e la resurrezione del discusso Kelly Oubre Jr. che contro Dallas ha messo a segno 40 punti con il 70% dal campo e 5/6 dall’arco.
La rivincita di questa notte con la vittoria di Dallas per 134-132 non ha certo messo da parte i problemi che sta incontrando il roster texano che apparentemente non sembra aver risolto le magagne difensive dello scorso anno, malgrado gli innesti di Richardson e di James Johnson, a cui si è aggiunto un attacco che non gira più.
Inoltre i Mavericks non riescono ancora a gestire i vantaggi subendo molto spesso rimonte come nella scorsa stagione: anche nell’ultima gara contro Golden State erano in vantaggio 131-124 a 3′ dalla fine prima di subire l’ennesima rimonta, che non si è concretizzata solo per il canestro da tre punti di Kleber a pochi secondi dal termine.
Se l’attacco stellare dei Mavs dello scorso anno si sta trasformando in una farraginosa macchina da forzature la responsabilità passa però anche da chi, tra le altre cose, questo attacco in campo deve farlo girare: Luka Doncic.
Lo sloveno è sempre protagonista di giocate fantastiche e numeri da capogiro: è il primo realizzatore (27.9 di media) assistman (9.5 a gara) e come accennato anche il maggior rimbalzista. In questa stagione è andato già in tripla doppia 6 volte, è sempre in doppia cifra e ha registrato nell’ultima gara un season high di 42 punti, forse proprio per rispondere a dovere alle critiche piovute inevitabilmente anche su di lui, per quanto talvolta piuttosto velleitarie (su tutte l’improbabile analisi di Shaquille O’Neal secondo cui Dallas avrebbe bisogno di un fit leggermente migliore di Doncic come potrebbero essere, sempre secondo Shaq, Bradley Beal o Russell Westbrook)
Se considerare Doncic un gradino sotto le due guardie dei Wizards (che, ricordiamolo, hanno vinto finora solo 5 gare) è un’opinione dal riscontro quantomeno dubbio, l’ex MVP dell’Eurolega non è comunque esente da colpe.
Prima del 7-12 di stanotte contro i Warriors, Doncic da tre punti rasentava a stento il 31% e nonostante ciò a gennaio ha comunque preso 7.7 tiri da tre a gara; al di là dei numeri, comunque, è stato soprattutto il suo atteggiamento in campo a convincere poco.
Forse condizionato dalle molte partite giocate senza tanti titolari Luka ha giocato troppo spesso 1 contro 5 in attacco, forzando penetrazioni a cui seguiva spesso qualche parolina di troppo nei confronti degli arbitri o palleggiando troppi secondi per cercare il suo tipico tiro da tre in stepback, mandando quindi l’attacco fuori giri. La voglia di vincere non è mai mancata nello sloveno, ma non può e non deve assolutamente trasformarsi in egoismo se l’obiettivo è la vittoria.
L’insofferenza di Doncic, le moltissime rimonte da situazioni di vantaggio e l’attacco ricco di forzature dall’arco sono segnali che quello che sta mancando ai Mavericks, attualmente, è la tenuta mentale dovuta alla volontà, per non dire necessità, di conseguire risultati immediati e alle contemporanee avversità cascate a pioggia sul roster.
Per questo è necessario che la franchigia texana recuperi la serenità e la concentrazione se vuole tornare definitivamente ai livelli dei tempi del leggendario Dirk Nowitzki.
Sotto la copertura di un tranquillo (si fa per dire) insegnante di matematica si cela un pazzo fanatico di tutto ciò che gira intorno alla spicchia, NBA in testa. Supporter della nazionale di Taiwan prima di scoprire che il videogioco Street Hoop mentiva malamente, in seguito adepto della setta Mavericks Fan For Life.